Un poema latino su di noi

 

UN POEMA LATINO SU DI NOI

 

Mai, credo, al mondo un gruppo speleologico ebbe l’onore di essere celebrato con un dottissimo poema in esametri latini. Oggi il gruppo speleologico nel Guinness dei primati per essere il più antico in vita del mondo ha questo altro primato. Flavio Fontana, ingegnere nucleare, docente di fisica al Politecnico di Milano, direttore del laboratorio di ricerche della Pirelli è anche un finissimo latinista, che ha già prodotto dotti poemi quali De bello derbyco sul derby Milan Inter e De reditu Ronaldi in cui canta il celebre calciatore. Avendogli regalato una copia del mio poemetto Lazareide, Flavio, che non ha mai visto una grotta speleologica in vita sua ma ha fervida fantasia, ha prodotto in ben 1122 esametri (per fortuna corredati da traduzione in italiano) una mirabile storia che ci ha per protagonisti.
La storia comincia con la dea Cerere che viene nella nostra sede ad implorarci di liberare la figlia Proserpina rapita negli inferi. Mentre Ciaspa (Franco Gherbaz), insigne per valore, porta Cerere a bere un calice al bar Cin Cin:
.. ducém libeát clarúm virtúte Ciáspam1
éxtra aedés sequiér Cincínqu(e) intráre tabérnam.
si organizza la spedizione sotto il comando di Ciano, con il supporto del Mago delle grotte (Giuliano Zanini)

…………………………….… Hís ignota latébra

núlla diú quoniam ìnveniéndi excéllet in árte

quí popul(o) ádtonitó tot(a) ín Tergéste vocátur

iúre “Magús specuúm”…

e con altri illustri personaggi, quali Topo (al secolo Franco Besenghi) e con la preziosa assistenza elettrica di Lucio Comello di cui il poeta, riprendendo una nota del mio poemetto, dice:
………………. iam lúx mage lúmine Lúci
lúceat”…
che in italiano significa “le luci di Lucio lucion di più”. Altri personaggi sono Nico Zuffi e Umbertino Mikolich

quibus néqueánt numerór(um) arcána latére

(ai quali non possono restare nascosti i segreti delle matematiche).

e Angelo Dureghello famelico di vincere gli aerei baratri:

víncer(e) (a)ethériós baratrós de vértice lápsus

Vengo citato immeritatamente anch’io, nel ruolo di un aedo, nonché consolatore di Proserpina per mezzo di una bottiglia di grappa Nonino.
Entrati nella grotta Lazzaro Ierco, gli speleisti sono raggiunti da Ulisse in persona, che nel suo viaggio cantato da Omero accumulò una grande esperienza in fatto di grotte, come attesta Polifemo. Scesi nei pozzi, il Mago indica uno stretto pertugio in cui la squadra passa strisciando:
. Ex foveá Zephyrús sudóre madéntes

laétatur léviór, longínqu(i) et flúminis óffert

(dalle profondità un lieve venticello rallegra gli speleologi madidi di sudore ed offre una premonizione del fiume lontano).
Descritta la discesa nella Lazzaro, si conclude il primo libro. Nel secondo, gli speleisti e l’astuto Ulisse, arrivati al Timavo, gonfiano i battelli. Il Mago, inseguendo gli odori, indica che si deve risalire il fiume. Inoltratisi, trovano un tempietto su cui versi greci (che non riporto avendo pietà dei lettori) indicano due strade e ammoniscono che quella di destra porta alla morte. Ma Topo deride la scritta e indica di andare a destra. Sfidando le acque ribollenti i prodi cantano una nota canzone grottistica:
Plúrim(um) inést Carsó specuúm: ratióne docébo

ómnes qua lìceát vobís lustrare: labóre

ét costánti(a) opús tantúm. Loca cóndita fúndo

cònseqiér poterúnt scalís et fúnibus úsi.

Spélaí domitór, macté o fortíssime víndex

mácte, Senéx quoniám latét atr(o) in cárcere cláusus”
Che, come è noto, nella versione originale suona: “In tuto il Carso xe grote in quantità / se te vol veder una te dirò come se fa / basta coraggio e bona volontà / scala su scala sul fondo te rivarà / Oilè grotista oilé / el vecio xe in canon”.
Abbandonato il Timavo arrivano nel Flegetonte. Trovano feroci uccelli, le Arpie, ma Lucio, estratte delle lampade dalla sua bisaccia, le acceca con dei lampi allo xeno e queste cadono morte dopo essersi scontrate con le rocce. Ma l’avventura non è finita. Trovano pure Cerbero con tre teste, ma il Mago accende un o dei suoi famosi fumogeni puzzolenti e lo lancia nelle gole del mostro che guaisce fuggendo. Arrivano così ai campi elisi i cui abitanti fanno loro festa. Da lì i grottisti, divisi in due schiere comandate da Ciano e da Lucio (assistito da Topo) vanno all’assalto dell’erebo: maneggiano un tronco d’albero come un ariete desiderosi di travolgere le porte e lo battono mentre un possente coro canta “La mula de Parenzo”:

árietís mod(o) eás cupidí subvértere tráctant

súblic(am)et íncutiúnt pulsú, dum “Múla Parénti”

cóncinitúr resonánte choró, …

Minosse se la squaglia per la porta più vicina, le Erinni si caricano di bagagli e fuggono anche loro, Alletto pazza di paura porta fuori del palazzo le Furie terrorizzate. E anche Proserpina, finalmente trovata, sviene per l’angoscia. Plutone scongiura i suoi famigli di portarlo via con loro, deriso dalla sola Tarpea che stringe in mano un fascio di serpi. Ciano fa una filippica a Plutone, chiamandolo lurido vecchiaccio (spúrce senéx) e Lucio lo prende a calci. Quanto a me, il mio compito é di rianimare Proserpina con la grappa già citata.
Nel libro terzo e ultimo gli speleisti godono un breve riposo mentre Proserpina li intrattiene con le sue canzoni. Seguendo le indicazioni del Mago e l’arte topografica di Nico Zuffi ora avanzano verso la città di Dite. Il Mago scopre un piccolo pertugio che deve essere allargato, e qui il poeta descrive l’arte di Giuliano nel rompere la roccia con i suoi famosi microcunei:
………. Cúneús rutiláns cui véstit utrímque

lamina ăéna latús, sapiénti cómparat ástu

Finalmente, dopo altre peripezie entrano in un’immensa caverna: la Grotta Gigante in cui il poeta mi assegna il compito di spiegare a Proserpina la funzione dei pendoli geodetici. Lo faccio, rinviando per maggiori approfondimenti alla professoressa Braitemberg. Finalmente si esce rivedendo la luce. Fendiamo la folla che si precipita travolgendo un cordone di vigili urbani. Si fa gran festa e gli abitanti di Prosecco dispiegano bandiere e cantano in coro in lingua slovena:

. éxplicuér(e) omnés vexílla fenéstris

ét cecinére choró Slovénis vócibus ómen.

Fatta una rituale cena nella trattoria Milic con mangiata fra l’altro di chiffeletti:

Móx chifeléta geréns saturátur Mílic abúnde

íngreditúr renovátqu(e) epulás…

La dea Cerere consegna agli ardimentosi grottisti preziosi doni e dopo un discorso di commiato in cui cita la Grotta impossibile, parte su un cocchio tirato da due leoni.

Roberto Barocchi