La zona “oscura”

 

La zona “oscura”

La zona “Oscura”, detta anche “zona afotica”, è la fascia in cui si ha di norma la mancanza totale di luce e nella quale non si sviluppa più alcuna forma vegetale “verde”, dotata cioè di clorofilla. In un tipico pozzo carsico questa fascia è generalmente compresa fra i 40 m di profondità ed il fondo. Non è difficile tuttavia, in tale ambiente, rintracciare microscopici Funghi saprofiti (muffe) – i vegetali più adatti alle molteplici condizioni di vita sotterranea – colonie sia di Alghe Azzurre (Cianoficeae, con i generi Gleocapsa, Aphanocapsa, Chrococcus, Scytonema, Oscillatoria che presentano tuttavia sempre tallo sterile), sia di Alghe Verdi (Cloroficeae, con i generi Chlorella, Hormidium, Pleurococcus che si riproducono talvolta per scissione) e così pure popolazioni di Batteri e di Virus, viventi sulla sostanza organica in decomposizione, quali rami, tronchi ed organismi vari.
Eccezionalmente si possono rinvenire plantule di Muschi, che tuttavia vegetano in condizioni assai ridotte se non proprio in situazioni di estrema severità. Fra i Muschi con maggior capacità di penetrazione, tanto da potersi sviluppare nella totale oscurità, ricordiamo l’Isopterygium mullerianum.
Scarsi in tale ambiente appaiono inoltre i Licheni, ed anzi la più antica loro menzione in grotta è dovuta a J. Maheu (1906). Essi, più per effetto dell’umidità relativa che per la mancanza di luce, subiscono profonde modificazioni nella morfologia dei talli, che tendono a disgregarsi: l’alga di conseguenza non sopravvive ed il fungo vegeta con difficoltà, completamente deformato con le ife tendenti ad assumere un aspetto pulverulento e, nelle zone di elevata umidità, anche al disfacimento (Tomaselli, 1949). Mentre i Licheni vivono, ben conformati ed integri, soltanto sino ad 1/90 dell’intensità luminosa totale esterna, nella presente zona “oscura” possono spingersi soltanto alcune loro forme “imperfette”(es. Lepraria).
Si può mettere in rilievo il fatto che, mentre l’umidità condiziona il rigoglioso sviluppo dei Muschi, delle Epatiche e dei Funghi, le Alghe ed i Licheni sono capaci di sopportare un ambiente alquanto secco, potendo colonizzare anche la roccia nuda.
Nella zona “oscura” trovano un particolare e favorevole sviluppo i Funghi se esistono sostanze organiche con cui le loro spore vengono a contatto; allora essi possono presentarsi sotto forma di esili tappeti di muffe sul guano deposto dai pipistrelli oppure con le sembianze di lunghissime radici ramificate che si irradiano fantasiosamente sulle pareti. L’assenza totale della luce e l’umidità dell’aria relativamente elevata rappresentano pertanto le condizioni di crescita essenziali dei Funghi cavernicoli che, in rapporto alle loro forme di sviluppo nel mezzo epigeo, evidenziano molto spesso delle caratteristiche modificazioni strutturali. Fra queste, notevole è la perdita della facoltà di produrre spore e talvolta del completo apparato sporifero. Tuttavia, sicuramente troglobi sembrano essere soltanto alcuni microscopici Funghi parassiti di insetti.
Da ciò si può escludere che, nelle grotte, esistano vegetali troglobi obbligati (come già sottolineato da Ivancich nel 1926, da Giacomini nel 1937 e da Tosco nel 1956), ad eccezione di alcune particolari specie fungine vincolate ad insetti o ad altre forme troglobie che essi parassitano (ad esempio le Laboulbeniales).
Nel 1911 Antonio Valle, aggiunto al Museo di Storia Naturale di Trieste, pubblicò alcune note sulla flora della Grotta di Trebiciano (17 VG) nella quale mise in evidenza l’enorme quantità di forme sterili di Miceli (generi Blyssus, Fibrillaria, Hypha, Ozonium) e la presenza di Rhizomorpha subterranea. Vi rinvenne pure alcuni esemplari di Agaricus myurus, di Leuzites sp. e di Polyporus sp.
Le spore e le gemmule di Funghi (anche di quelli “imperfetti”), varie specie di Alghe – ma anche di Licheni e di Briofite – provengono dall’esterno, generalmente con le correnti d’aria (“Hohlenwetter”), con i corsi d’acqua, con l’acqua di stillicidio o con il terriccio introdotto dal passaggio dell’uomo o di animali. Una volta completato lo sviluppo, quali microrganismi unicellulari essi sono in grado di colonizzare, per primi, i substrati rocciosi. Possono vivere isolatamente oppure in colonie e, per metabolizzare, hanno bisogno di acqua e di sali minerali. In particolare, evolvendosi, le Alghe Azzurre e quelle Verdi ma anche i Cianobatteri (Batteri azzurri, dal gr. kyanos = azzurro) producono sulle pareti e sulle superfici stillicidiose la formazione di patine cromatiche (generalmente verdi-rossastre, grigio-bluastre o verdi-azzurre), di aspetto viscido e gelatinoso, conosciute come “strisce d’inchiostro”.
A tale proposito, fra i Batteri – gli effettivi intermediari del metabolismo in grotta – che utilizzano vie alternative alla fotosintesi, vanno ricordati i Ferrobatteri (che trasformano il ferro in idrossidi di ferro nelle terre rosse carbonatiche), i Solfobatteri (che fissano lo zolfo della decomposizione di sostanze organiche) ed i Calciobatteri (che sono generalmente responsabili dell’annerimento delle concrezioni nelle zone prossime agli ingressi delle cavità).
Si ricorda che una delle branche più interessanti e significative della speleologia è proprio la Speleobatteriologia, termine questo coniato dal Vandel in una sua ponderosa opera. Precursore di questa disciplina fu Endre Dudich che, a partire dal 1930, ravvisò nei batteri una fondamentale funzione nei cicli alimentari degli organismi cavernicoli (Rivalta, 1983).
Gli organismi autotrofi fotosintetici possono peraltro svilupparsi negli ambienti ipogei provvisti di impianti di illuminazione artificiale. Notevoli contributi, relativi alla presenza di vegetali in grotte dotate di sorgenti elettriche luminose, sono quelli a carattere generale di Klaus Dobat (a partire dagli Anni 60) e quelli relativi al Carso classico di Friedrich Morton (Anni 40-60).

In uno studio recente (Polli & Sguazzin, 1998), che considera gli aspetti vegetazionali – sia delle Piante Vascolari che del componente Briologico – della Grotta Gigante (2 VG) sul Carso triestino, vengono prese in esame, oltre alle specie presenti ai due imbocchi della grande cavità, anche quelle prossime ai punti interni di illuminazione artificiale.
E proprio la flora soggetta ad illuminazione artificiale deve essere considerata come una forma particolare della vegetazione cavernicola. Essa include le piante autotrofe che si sviluppano sia nelle cavità naturali sia in quelle artificiali, attorno alle sorgenti di luce elettrica. Da sottolineare il fatto che gli effetti delle lampade sulla vegetazione circostante provocano una duplice azione: oltre alla luminosa anche quella termica e ciò man mano che si prendono in considerazione gli organismi progressivamente più vicini alla sorgente luminoso-termica stessa.