YUCATAN: VIAGGIO IN UN SOGNO
Pubblicato sul n. 35 di “PROGRESSIONE” – Anno 1996
in molte fra le sue manifestazioni più esaltanti: dalle montagne dell’Himalaya alla Catena delle Ande, dalle grotte in calcare a quelle nel ghiaccio e nella lava, dai fondali del mare Quarnero a quelli dell’oceano lndiano e poi l’Africa e il Grande Nord e deserti, foreste, boschi, fiumi e animali. Pensavo di non sorprendermi più facilmente, pensavo che tutto sommato, le cose piu belle le avevo gia viste e qualsiasi altra novità mi avrebbe potuto dare solo emozioni deja vu. Fortunatamente sbagliavo. Alcune immersioni recenti nei “cenotes” dello Yucatan mi hanno categoricamente smentito: sono state, in assoluto, una delle esperienze più fantastiche che io abbia mai vissuto.
I “cenotes” sono grotte e pozzi pieni d’acqua che si aprono qua e la, nella foresta Yucateca. Piu precisamente si tratta degli ingressi ad un Carso quasi del tutto sommerso, in acqua dolce, pochi metri sotto la giungla tropicale. Chilometri di gallerie , centinaia di sistemi sotterranei e subacquei, per la maggior parte inesplorati, ai quali si accede attraverso ampi portali o poco profondi pozzi determinati dai crolli delle volte più sottili delle sale sotterranee piu superficiali. La loro esplorazione e un tuffo nella magia. Sacactum, Tax Maha, Dos Ojos, questi i nomi di quelli da noi brevemente visitati. Come astronauti nello spazio fluttuavamo nelle loro acque tepide, terse come aria, in un labirinto di gallerie e sale fantasticamente concrezionate. Di tanto in tanto I’effetto specchio tradiva sopra di noi l’aria ed allora emergevamo in duomi sotterranei dalla volta dei quali pendevano stalattiti finissime e radici assetate. In uno di questi un buco sulla volta permetteva il passaggio ad un raggio di sole che richiamo alle nostre menti la sacralità del luogo aumentandone la suggestione. Per i Maya il sole era una divinità e nella liturgia della loro religione alle divinità si offrivano sacrifici umani, sangue, cuori. Anche i cenotes erano luoghi sacri, utilizzati come ossari, forse delle vittime dei sacrifici. inoltre nelle loro cerimonie veniva spesso usata l’acqua che doveva essere purissima ed incontaminata ed essi ritenevano che la migliore, in questo senso, fosse quella di stillicidio. Cosi più nascosta la grotta, più impenetrabile il suo accesso, più pura e sacra era l’acqua. Si son trovate sale nascoste piene di cocci e di vasi sotto le stalattiti che probabilmente erano adibiti proprio alla raccolta dell’acqua per le cerimonie religiose. In una di queste sale, dopo 150 metri di gallerie sommerse, e stato rinvenuto, disteso su una roccia, lo scheletro completo di un uomo risalente a 10.000 anni fa.
Durante i nostri voli sotterranei fra le stalattiti solo qualche pesce attirato dalle luci dei fari ci ricordava che stavamo nuotando. Per quanti la conoscono sembrava di percorrere, come angeli, le gallerie della grotta “Gualtiero”: una delle piu belle del Carso triestino. La profondità massima entro i venti metri che avevamo rispettato, ci consenti di protrarre le immersioni sempre oltre l’ora. Quando i manometri segnalavano le 140 atmosfere d’aria, tornavamo indietro seguendo la sagola senza la quale perdersi non sarebbe stata cosa probabile ma, ad esempio in Dos Ojos, cosa certa: quasi trentaquattro chilometri di gallerie sommerse gia esplorate. Quarantadue chilometri nel vicino Nohoch ed in entrambi i cenotes due gruppi di americani, utilizzando gli scooter, continuano le esplorazioni con la certezza ormai di riuscire, fra breve, ad unire i due sistemi, raggiungendo gli ottanta chilometri di sviluppo. Il più grande sistema sommerso del mondo! E per lo Yucatan siamo solo agli inizi. lnfatti i cenotes esplorati finora sono quelli più facilmente raggiungibili, poco lontano dall’unica strada costiera.
Pinneggiando lentamente fra stalattiti e stalagmiti, scattammo molte fotografie. Quando in lontananza, ad un tratto, I’acqua brillava di più capivamo di essere prossimi all’uscita. Rimanevamo quindi nei suoi pressi a succhiarci le bombole fino all’ultima goccia d’aria, rovistando inutilmente fra tronchi e massi per qualche coccio maya.
Una volta riemersi potevamo nuovamente parlare e dopo ogni immersione passavamo il resto della giornata a raccontarci l’un l’altro quanto avevamo visto, quasi a chiederci reciproca conferma di non aver sognato. Ora, a distanza di mesi e di migliaia di chilometri, senza i profumi, i rumori, i sapori, i colori ed il rhum dei caraibi, non bastano le fotografie a dissipare il dubbio che non si sia trattato di uno sballo.
Tony Klingendrath
Hanno partecipato: Flavio Bacchia (Dive Baska), Tony Klingendrath (C. G. E. B.), Paolo Kolarich e Giorgio Tomasi.