LAZZARO JERKO: DESCRIZIONE A FUTURA MEMORIA
Pubblicato sul n. 38 di PROGRESSIONE – Anno 1998
Di solito la descrizione ed il rilievo di una cavità vengono pubblicati quando la sua esplorazione è conclusa e si intende quindi presentarne ai colleghi grottisti i risultati. Nel caso della Grotta Meravigliosa di Lazzaro Jerko la situazione è un po’ diversa: vengono presentati (per la terza volta: vedi Progressione 17 e 18) la descrizione e il rilievo della grotta come si presentava ai nostri occhi alla fine del 1997, in quanto già ora, mentre viene stilata questa relazione, il suo aspetto fisico è nuovamente mutato. Bisogna sapere, infatti, che seguendo sempre gli aliti beffardi che emanano vari pertugi a diverse profondità gli scavatori non appena raggiunto un fondo lo abbandonano per cercarne un’altro, spesso riempiendo ,il primo con il materiale di scavo. E già successo nel 1987, allorquando per inseguire l’aria che pareva provenire da un altro sito venne riempito il pozzo finito di scavare nel 1971. Nel 1997 raggiunto un fondo a -120, constatato che I’aria non proveniva da lì, si ricominciò a scavare a quota -12 (il fatidico incrocio in cui dieci anni prima venne deciso di aprire il pozzo B ostruendo quello A) riempiendo con il materiale di scavo dapprima la cavernetta a -25, già centro operativo e officina ove erano depositati tutti gli attrezzi e in si tagliavano i tubi che servivano a costruire le incastellature di contenimento delle frane. Scomparsa questa cavernetta il materiale, tramite un sistema di scivoli ed imbuti, viene ora inviato verso quota 38, ove il P. 12 si appresta a diventare un P. 5-6.
Prima che sia troppo tardi, quindi, passiamo a descrivere la grotta, un nuovo meno cento del Carso. Dal pozzo iniziale, 4 metri scavati in solida roccia e armati con una scaletta di ferro fissata alle pareti, scendendo a SE si perviene ad una serie di piccoli salti, sempre attrezzati con scale fisse, aperti in materiale lapideo-terroso vagamente cementato da qualche misero velo calcitico; gli ambienti sono messi in sicurezza da un’incastellatura di tubi Innocenti e reti in acciaio. A -13 un breve ripiano in cemento mette sul successivo P. 8, abbastanza sicuro (opere di contenimento in ferro e cemento) sempre scale fisse in parete che termina su di un monolite ancorato alle pareti con una grossa catena.
Qui s’apre la cavernetta-officina, completamente ricavata come il pozzo precedente dallo svuotamento del materiale contenutovi. Segue quindi un P. 11,5 una parete buona, le altre tre ingabbiate a metà del quale s’apre una diramazione graziosamente concrezionata che si adima in direzione SE. Alla base del pozzo grossi scavi hanno aperto una cavernetta (in materiale di frana e argilla), e a -38 un P. 12 costituito da un vano al quale si accede dall’alto e il cui fondo originariamente era inclinato, mentre ora è totalmente piatto in seguito al riporto del materiale di altri scavi eseguiti più in alto. Superato un ponte di roccia, si scende in un pozzo di m 14, a cui segue subito il pozzo maggiore di m 30. Entrambi sono del tutto erosi. Il primo mantiene dimensioni ridotte, il secondo invece ben presto si allarga, con dimensioni massime di m3x5.
Dal suo fondo si prosegue per una ripida china che in breve conduce ad una caverna riccamente concrezionata, avente nella parte centrale una larga e tozza stalagmite. Da qui vi sono due possibilità. Si può scendere, possibilmente con I’aiuto della corda, in una sottostante cavernetta, dalla quale, tramite un cunicolo con retroversione, si perviene ad un pozzo finale che nella parte inferiore si sdoppia e che conduce alla massima profondità di m 123. 11 fondo è costituito da un pozzetto eroso riempito da detriti. L’altra possibilità è di effettuare un’arrampicata di circa 8 metri, per giungere in una galleria soprastante alla caverna e ubicata dall’altro lato rispetto al pozzo di 30 metri. L’imbocco di questa galleria è forse il tratto più suggestivo di tutta la cavità. Il pavimento è costituito da una colata calcitica scintillante. Vi sono delle vaschette e degli interessanti gruppi colonnari. Si procede in salita e dopo una decina di metri la galleria si trasforma in un alto corridoio.
Tralasciando sulla destra un pozzo cieco che termina con una vaschetta, ci si trova in breve davanti ad un ripido e fangoso cunicolo in salita. Dopo averlo superato si giunge dal basso in una seconda caverna circolare, sormontata da un alto camino che però sembra essere chiuso. Questa caverna presenta delle belle diramazioni riccamente concrezionate. In una nicchia, ad esempio, fu notato un cristallo di calcite simile ad una piccola stalattite, lungo una decina di centimetri, che si sviluppa pressochè orizzontalmente.
Dal lato ovest, superata un’altra strettoia fangosa, questa volta in discesa, si giunge tramite un pozzo di m 7, in una sottostante galleria, anch’essa riccamente concrezionata. Lungo tale galleria s’apre un pozzo laterale di m 10 che immette in una cavernetta quasi totalmente occupata da un grazioso laghetto. Dopo una trentina di metri la galleria sprofonda in un ultimo pozzo-meandro, caratterizzato da alcuni vani sovrapposti e divisi da delle belle colate calcitiche. Nello sviluppo planimetrico si dovrebbe essere molto vicini o forse addirittura sovrapposti al ramo del fondo.
Dati catastali GROTTA MERAVIGLIOSA DI LAZZARO JERKO, GROTTA NELLA DOLINA SOFFIANTE DI MONRUPINO, 4737 VG IGM 1:25.000 Poggioreale del Carso;
posizione 1:25.000 1″ 21′ 12″5 45″ 42′ 29″5; CTR 1:5000 Monrupino;
posizione 1:5000 13″ 48’33” 8 45″ 42′ 35″O;
quota ingresso m 302;
sviluppo m 220;
profondità m 123;
pozzo accesso m 4; pozzi interni m 3,51 31 151 4 1 91 71 5 I121 14,51 30,51 61 7,41 51 6,21 +81 91 +31 71 101 91
rilevatori Pino Guidi, Umberto Mikolic, Luciano Filipas, Nico Zuffi, 1997/1998.
Pino Guidi, Umberto Mikolic
LAZZARO JERKO: ALBA O TRAMONTO ?
Quando nel lontano 1967 ebbi la ventura di ricevere la segnalazione dell’esistenza di uno strano fenomeno in una dolina presso Percedol non immaginavo, o me misero, quali ne sarebbero stati gli sviluppi e le penose conseguenze. Ancor più non potevo conoscere la conclusione, come non la conosco neppure oggi, di quella che credo essere una delle opere di disostruzione più sofferta della speleologia nostrana. Non intendo peraltro soffermarmi sui lavori eseguiti a più riprese fino agli anni ’80 dai più disparati e luminosi esperti in siffatti generi di lavori, come non intendo parlare delle varie teorie che vennero di volta in volta tirate in ballo pur di trovare una scusa per sospendere, ad un certo punto, l’ingrato compito.
Certo che se nel corso del tempo non ci fosse stato chi avesse portato avanti, magari a singhiozzo, quest’opera, chi nel disperato tentativo di sottrarsi alla mostruosità che si poteva intravedere non appena si metteva piede nel cuore del problema (e delle viscere della dolina) si era precipitato inorridito nelle campagne circostanti a cercare il conforto di una sia pur minima cavità che potesse sembrare una grotta (cosa cui all’inizio non poteva essere paragonata), se non ci fossero stati tanti volonterosi probabilmente il popolo speleo triestino avrebbe avuto modo di fantasticare su quello che invece era semplicemente un problema. Il fatto è che alla Lazzaro Jerko di problemi da affrontare ce ne sono molti. Il difficile è da dove cominciare: quali sono i principali, quali i secondari, quali affrontare prima, quali alla fin fine non esistono perché si eliminano da soli, quali sono irrisolvibili e costringono ad affidarsi alla fortuna.
È chiaro che un simile ginepraio poteva destare l’interesse soltanto di pochi (e particolari) individui sul tipo di “Figli di nessuno”, “Quella sporca dozzina”, “Se avanzo seguitemi” ecc. ecc. Credo che quanti hanno collaborato a quest’ultima tornata dei lavori riconoscono in fondo a sé stessi, almeno in parte, di essere così, e non se ne adonteranno. Certo che un addetto ai lavori difficilmente può resistere al richiamo delle ignote profondità da cui proviene se ha assistito almeno una volta alla famigerata fuoriuscita di aria in pressione che si sprigiona quattro o cinque volte all’anno dall’attuale apertura. Se poi non si lascia intimorire dai primi metri . di scale in ferro solidamente aggrappate ad una ragnatela di “Tubi Innocenti”, che danno a tutto l’insieme l’aspetto di una miniera abbandonata, può giungere in luoghi la cui bellezza consiste nella contemplazione di macigni sospesi sulla testa (e che non si capisce perché non cadono), di antichi conglomerati che il cemento dei millenni tiene ancora insieme (per quanto non si sa), per non parlare dei muri a secco che lungo le pareti dei pozzi conservano un tesoro litoide che nessuno ha mai reclamato.
Ai più favoriti dalla sorte è possibile, di tanto in tanto, udire l’inesorabile staccarsi e rotolare di antiche pietre nell’interno delle innumerevoli frane, che imitando lo scorrere di nascoste acque scivolano invisibili (e poi per fortuna si fermano) a pochi decimetri dalle artigianali ingabbiature e quindi dal corpo di chi ci striscia sotto. E come nei castelli dei fantasmi ci sono anche le catene, che qui però servono a tener sospeso un monolite che di quintali ne avrà dawero tanti: è vero che fa impressione, ma basta non guardarlo.
Praticamente sino ai quaranta metri di profondità sono queste le caratteristiche che attirano il visitatore. Più sotto però il paesaggio si banalizza e diventa dei più tradizionali. Infatti, sul più bello del divertimento un pozzo, questa volta naturale, si allarga a campana, seguito da una serie di salti intervallati da belle caverne e gallerie che portano tranquillamente a 120 metri, la massima profondità di questo ramo.
La grotta è ancora in corso di esplorazione. Anzi, più esattamente, di elaborazione. Avrete forse capito che quello che viene cercato non è un fiume, non è un abisso, non è un primato, non è un modo di vincere la noia. E per alcuni, almeno un modo libero di affrontare gli abissi interiori da cui originano le pulsioni più vive e volitive delle nostre insondate profondità: senza stereotipe scuse di stampo naturalistico o parascientifico.
Vi saranno critici che diranno che non rispettiamo le forme della natura, che abbiamo trasformato una realtà ipogea in un essere meccanico. Vi saranno altri che ci chiameranno “speleocarpentieri” e quelli che, amanti delle sculture moderne, apprezzeranno l’artistico groviglio di putrelle e tubi arrugginiti di trentasei tipi diversi. Una volta il profano non accettava le esperienze che noi grottisti facevamo considerando questa attività come una specie di malfunzionamento mentale (e noi rispondevamo nascondendoci dietro l’alibi della ricerca scientifica); oggi ai consueti detrattori rispondiamo che Lazzaro Jerko è il simbolo materializzato di un “modus vivendi” totalmente diverso: attraverso il lavoro di gruppo (di tutti i tipi purché impegnativo, purché duro, purché coerente con le proprie convinzioni, purché senza compromessi) la speleologia può anche essere un campo in cui I’uomo ha la possibilità di esplicare la parte migliore di s6 stesso, la propria attitudine a collaborare con il prossimo, la propria vera individualità. Questo è per me il “grottismo”.
Come ho accennato, la grotta ora viene nuovamente rielaborata dall’inizio (gli scavi sono ripresi da -12). 11 lavoro si presenta incerto, di prospettive apocalittiche. Fortunatamente continua ancora ad andare di moda il volontariato, mentre non sono annunciate tasse sull’uso della fantasia che, come si sa, è illimitata.
In questa breve relazione che di tecnico non ha molto, mancano in compenso tutti i dettagli pratici. Per chi si trovasse, suo malgrado, nella necessità di ripetere un’esperienza analoga in qualche desolata depressione carsica malauguratamente soffiante, ha a disposizione presso i nostri uffici personale altamente specializzato (i reduci sopravvissuti alla campagna scavi ’97-’98); analogamente saranno benvenuti tutti coloro che vorranno rimpiazzare i collaboratori andati fuori uso. Costituiranno titolo preferenziale le seguenti esperienze: ex evasi (sanno segare bene i profilati metallici), ex sette nani (hanno esperienza di lavoro in miniera), ex negrieri (direttori del personale), ex terroristi (possono sempre servire), lucciole (abbassano i costi della bolletta ENEL). Buon risultato nei lavori pesanti hanno dato anche geologi, telegrafisti, architetti, geometri, consiglieri, impiegati. Del tutto inutilizzabili Speleologi, Carsologi, poeti, alti papaveri e ministri.
Ma basta con i discorsi seri: lo sapevate che tra gli abitanti del luogo c’è già chi ci ha chiesto quando la grotta sarà visitabile turisticamente?
Ci risentiamo. Franco Florit