Luciano Filipas – Valsantamarina 26.06.1939 – Trieste 21.06.2025
Se ne è andato anche Luciano Filipas, un vecchio grottista che ha lasciato un segno indelebile nella speleologia giuliana. A giorni Luciano – Ciano per gli amici – avrebbe compiuto 86 anni. Era nato il 26 giugno 1939 a Valsantamarina, presso Fiume e si era trasferito con la famiglia a Trieste nel 1947. Aveva assolto gli studi dapprima a Fiume, quindi a Trieste ed infine a Udine ove si era diplomato geometra all’Istituto Zanon; poi, non soddisfatto di quel titolo di studio (e del futuro che gli si prospettava) aveva studiato radiotelegrafia e ottenuto il brevetto di radiotelegrafista. Al termine del servizio militare, svolto in Marina, aveva trovato impiego quale ufficiale marconista sulle navi del Gruppo Finmare, navi che lo avrebbero portato a toccare i porti di tutti i continenti.
Nel 1957, diciottenne, entrava nella Società Alpina delle Giulie ove incontrava l’alpinista e speleologo Dario Marini con cui stringeva un rapporto amicale destinato a durare decenni contrassegnati da discese in grotta e salite in montagna.

Dotato di un fisico eccezionalmente robusto, corredato da una ferrea determinazione, assieme al Dario Marini operava nella Commissione Grotte della S.A.G. diventando ben presto uno degli uomini delle squadre di punta, sempre pronto ad affrontare le imprese più difficili (e spesso anche più pericolose) dagli anni ’50 agli anni ’80, sia sul Carso come nel resto d’Italia: abisso Kamikaze, abisso Polidori nelle Alpi Carniche, Spluga della Preta nel Veneto, Stufe di San Calogero in Sicilia, ma anche all’estero (cenotes dello Yucatan).
Il lavoro che aveva scelto lo teneva lontano da Trieste anche per lunghi periodi permettendogli, però, di salire sulle montagne dell’Africa, del Centro America, del Giappone. Nello specifico approfittava delle pause nei vari porti per intervallare il tran tran della vita a bordo con salite sulle montagne prossime agli stessi. Fra un imbarco e l’altro, oltre a partecipare all’attività esplorativa della Commissione Grotte, percorreva il Carso alla ricerca degli indizi di nuove cavità, indizi che con opportuni lavori di scavo il più delle volte riusciva a trasformare in grotte che andavano ad arricchire il Catasto Speleologico. La sua attività di ricercatore e di scavatore si è quindi concretizzata in decine di nuove grotte, alcune di notevole interesse per bellezza o dimensioni; di molte aveva contribuito pure alle operazioni di rilevamento: sono una trentina i rilievi firmati anche Filipas. Fra le tante cavità legate al suo nome possiamo ricordare l’Abisso Kamikaze, l’abisso Luca Kralj (il quarto meno trecento del Carso triestino) e soprattutto la Grotta Lazzaro Jerko.

Lazzaro Jerko. E’stata l’opera che ha finito per inserire il suo nome nel libro d’oro degli speleo giuliani meritevoli di ricordo. Il raggiungimento di un tratto del fiume sotterraneo per eccellenza, il Reka-Timavo, nella Grotta Lazzaro Jerko, non solo è stato allora il secondo meno 300 del Carso triestino ma anche la prova della possibilità di trovare ulteriori strade per raggiungere il fiume nascosto.
Ne primi anni ’60 del secolo scorso questo futuro abisso era soltanto una fessura soffiante in una dolina ubicata fra Percedol e Monrupino: nel 1966 una prima campagna di scavi finiva una trentina di metri sottoterra, alla base di un pozzo reso pericoloso dalla presenza di pareti franose. Non miglior successo ebbe una seconda campagna di scavi intrapresa negli anni ’80: gli uomini della Boegan rendevano agibile un pozzo parallelo che però alla stessa profondità presentava i medesimi problemi e pericoli. Nel 1996 Luciano Filipas, concluso il ciclo lavorativo, veniva posto in quiescenza. Quiescenza che gli ha permesso di riaffrontare i problemi lasciati in sospeso: appena sbarcato riprendeva gli scavi nella Grotta soffiante di Percedol, la futura Grotta Lazzaro Jerko.
Organizzato il lavoro in maniera professionale (preso in affitto il terreno, predisposta una baracca per deposito materiali e vestimenta, un grosso parco materiali per puntellare le frane incombenti) dopo anni di duro lavoro – vi entrava a scavare due-tre volte alla settimana da solo o assieme a compagni da lui coinvolti nell’impresa che allora sembrava disperata – nel 1999 dopo oltre 400 uscite raggiungeva, a 150 anni dalla scoperta del fiume sul fondo della Grotta di Trebiciano, le grandi caverne sul cui fondo scorre il Reka-Timavo. Impresa per cui un anno dopo ricevette dall’allora vicesindaco Damiani un riconoscimento ufficiale.
Dopo quel successo altri scavi, altre grotte aperte ed esplorate; nei primi anni del nuovo secolo affrontava una piccola “piria” in una valletta sul fianco SSW della Vetta Grande. Una lunga campagna di scavi gli permetteva di giungere al fondo, a meno 307 metri dalla superficie, di questo abisso che viene da lui dedicato alla memoria di Luca Kralj, proto speleologo (o meglio, Grottenarbeiter) dell’Ottocento.

Negli stessi anni i lavori per la terebrazione delle gallerie della grande viabilità triestina intercettavano una grande grotta: la Grotta Impossibile, il cui ingresso veniva chiuso con una porta blindata. Al fine di poter proseguire le ricerche in questa interessante cavità (attualmente poco meno di sei chilometri di sviluppo su 275 di dislivello) nel biennio 2010-2011cercava, trovava e apriva – sempre con vigorose campagne di scavo – due nuovi ingressi che permettono ora allo speleologo di completare esplorazioni e studi nella grotta.
Gli ultimi anni sono stati per lui piuttosto pesanti; il fisico molto provato cominciava a dar segni di stanchezza. Ma non il suo spirito. Nel 2010, superata la soglia della settantina, nonostante vari problemi alla spina dorsale, si univa alla squadra della “Boegan” che aveva iniziato la ricerca del mitico fiume sotterraneo nell’87 VG, una grotta soffiante presso Fernetti. Vi scendeva per molti anni (sino a 120 metri di profondità) a dare la sua opera di provetto scavatore, rivelatasi spesse volte preziosa.
Poi alcuni delicati, ma purtroppo non risolutivi, interventi alla schiena hanno avuto la meglio sulla sua forte fibra impedendogli discendere ancora in quel mondo sotterraneo che era diventato un po’ la sua vita. Vita che si è chiusa la notte fra il 20 e il 21 del giugno 2025. Pochi giorni prima di quello che sarebbe stato il suo ottantaseiesimo compleanno.
Il gruppo di vecchi amici che nel 2006 avevano iniziato gli scavi all’87 VG hanno deciso di dedicare questa grotta a lui, l’abisso Luciano Filipas. L’ultima cavità in cui era sceso a scavare.
Per la Commissione Grotte Eugenio Boegan
Pino Guidi
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Ho conosciuto Ciano molto tardi, dopo la conclusione della sua impresa più eclatante: il Timavo raggiunto alla Lazzaro Jerko.
In altre cavità come la Kralj, l’ 87, l’Impossibile ed altre ho avuto modo di conoscere un uomo intelligente, ardito ma mai scioccamente temerario, di stampo quasi ottocentesco anche grazie alla sua vita professionale di marinaio (d’elite) e giramondo. Il suo motto, solo apparentemente scherzoso, era “che la mano sia sempre collegata al cervello”. E lui ne era l’esempio migliore; grande programmatore che non disdegnava affatto l’impegno personale nei momenti chiave.
Ma forse la cosa che lo rendeva veramente particolare era la grande capacità di aggregazione di compagni di grotta, ed anche di vita, che era in grado di proporre unita a grande considerazione per i giovani, peraltro contraccambiata dagli stessi che lo hanno considerato un maestro.
Purtroppo la salute ingravescente degli ultimi anni ci ha privato quasi totalmente della sua compagnia, ironica ma sempre rispettosa, e degli sbuffi di fumo del suo inseparabile sigaro, da signore d’altri tempi.
Fabio Feresin
