Giorgio Marzolini

GIORGIO MARZOLINI – Trieste 19.10.1936 – 18.03.2009

Anni ’50, Giorgio Marzolini è il primo a sinistra (foto arch. CGEB)

Devo alla sensibilità di Pino Guidi l’occasione di poter ricordare la figura del più vecchio amico che avevo, assieme al quale ho iniziato nel 1952 a visitare le prime grotte di un Carso poco diverso da quello ottocentesco. Mi rendo conto che di lui ha sentito parlare solo qualcuno del nostro ambiente che ha più di 75 anni e che a tutti gli altri di Giorgio Marzolini non interessa proprio nulla, anche se per quarant’anni ha condotto ricerche archeologiche nelle nostre grotte, i cui risultati sono stati esposti in numerose pubblicazioni di notevole valore scientifico.

Ci siamo conosciuti nello stesso banco del “Da Vinci”, senza avere alcuna attitudine a diventare ragionieri, un classico errore dei genitori che non hanno capito le inclinazioni dei loro figli. Ci accomunava il forte desiderio di avventura che mi aveva portato già da bambino nei cunicoli delle acque piovane del Boschetto e per soddisfarlo non c’era nulla di meglio del sottosuolo carsico della zona di Basovizza, la più vicina a casa nostra. In breve trovammo due ragazzi altrettanto motivati e si costruirono due scalette di 20 metri da unire con i moschettoni, con le quali scendemmo nella Grotta del Guanto, una piccola voragine (n. 28 VG) poi distrutta dalla Cava Scoria. Avevamo una corda da 22 mm, però non si sapeva nulla di nodi e di come usarla per fare sicurezza e la cosa rischiò di finire in tragedia quando uno – sfinito per essersi issato con la sola forza delle braccia – mollò la presa, rimanendo appeso. Occorsero tre uscite per arrivare all’estremità della cosiddetta “Diciotto” (la n. 18 VG), che ritenevamo ancora inesplorata malgrado alcune tacche incise in una colata calcitica, risalenti alle ricerche di Lindner. A quel punto ci convincemmo che bisognava rivolgersi a chi conosceva le grotte e la maniera giusta per scendervi e così nel 1953 mi iscrissi alla Commissione Grotte assieme a Edi Brandi, mentre Giorgio, pur facendo attività con noi, aderì solo all’Alpina, forse perché aveva già in mente il proposito di dedicarsi ad un aspetto del mondo  ipogeo che non fosse solamente svago e divertimento fine a se stessi e nemmeno la gara a primati metrici senza senso. Esaminando i risultati da lui ottenuti si deve ammettere che era stato Giorgio a scegliere la strada giusta, mentre noi non siamo stati capaci di ricavare un costrutto o di elaborare in qualche modo l’enorme massa di dati riversati nel Catasto, la cui mole numerica può impressionare solo chi non conosce la sostanza dei suoi contenuti.

La logica avrebbe voluto che i due decidessero di continuare assieme le indagini che tanto li appassionavano, ma nell’amico Giorgio albergava già quello spirito d’indipendenza e di autonomia che ha informato tutte le azioni della sua vita, ed infatti quando nel 1959 Francesco Stradi approdò all’Alpina dando vita alla Sezione Ricerche e Scavi di Preistoria Carsica “Raffaello Battaglia” lui non lo seguì, preferendo lavorare da solo o con l’aiuto di qualche compagno occasionale e fui io a mostrargli alcune caverne promettenti, come quella degli Zingari (n. 3896 VG) ed il sottoroccia sul Monte San Leonardo (n. 863 VG), una delle poche stazioni del Paleolitico carsico. Per affrontare scavi di maggior importanza occorreva poter contare su più persone ed avere l’appoggio di un sodalizio interessato ad una nuova forma di attività, che venne da lui individuato nella XXX Ottobre, la tradizionale antagonista dell’Alpina, la quale nel 1974 mi propose di cambiare bandiera come scrittore di montagna. Mi sembra tuttavia che il Gruppo Ricerche di Paleontologia Umana, da lui costituito e diretto sino alla morte, non ebbe mai molta considerazione da parte della dirigenza, votata alla promozione dell’arrampicata estrema quale produttrice di una moltitudine di accademici. Nel suo momento migliore il Gruppo aveva un organico di una diecina di persone, grazie alle quali vennero fatti lavori di grande impegno, come lo svuotamento del pozzo iniziale dell’Abisso Cesca (n. 4650 VG) e l’imponente scavo alla Grotta dell’Edera (n. 5134 VG).

Con il suo instancabile dinamismo Giorgio effettuò sondaggi in molte altre cavità che sarebbe troppo lungo elencare e fu lui il primo ad usare il rilevatore di metalli, grazie al quale individuò due depositi di monete romane nella Grotta Alexander (n. 366 VG) e nella Grotta Gialla (n. 932 VG), già scavate da precedenti archeologi.

Nel 1970 la Soprintendenza impose alla Sezione Ricerche e Scavi di Preistoria Carsica “Raffaello Battaglia” di cessare ogni attività, mentre fu concesso al GRPU di continuare, con l’obbligo di consegnare tutti i materiali rinvenuti e di esibire i giornali di scavo. La salute di Giorgio andò declinando per sempre più gravi disturbi di natura allergica, a mio avviso causati dalla lunga permanenza nei sotterranei della Cassa di Risparmio, nei quali l’aria era introdotta da condotti i cui filtri non venivano mai puliti. Ad un certo punto la sua vita divenne un calvario fatto di gravi crisi respiratorie che richiedevano dosi sempre più massicce di cortisone, un farmaco che, alla lunga, finisce per minare l’organismo.

Fu ancora presente allo scavo in una cavità che avevo trovato a Duino (Grotta del Tasso, n. 5625 VG) contenente una sepoltura neolitica, poi rimase confinato in casa e ci sentivamo solo per telefono perché non voleva che andassi a trovarlo.

L’uomo che come me amava la natura in ogni suo aspetto si è spento il 18 marzo 2009 ed ora gli è stato rivelato tutto ciò che non è affiorato sotto la sua zappetta, dai sepolcreti dei Castellieri alle tombe dei cacciatori paleolitici.

Nei dodici anni in cui ho preso parte all’attività della nostra Sezione archeologica ho visto all’opera due personaggi fuori dell’ordinario: Stradi aveva sicuramente delle doti paranormali e quando stava nella trincea di scavo entrava in una specie di trance, come se fosse in atto un colloquio tra lui e le cose ancora sepolte. Sergio Andreolotti era invece brillantemente intuitivo e sapeva cogliere indizi sfuggiti a ricercatori di gran nome, come nella Grotta Cotariova (n. 264 VG). Marzolini invece aveva imparato da Giovanni Boschian – diventato archeologo professionista – i metodi rigorosi per condurre gli scavi, prendendo nota dell’esatta collocazione di ogni reperto nella centimetrica successione stratigrafica.

Quale primo scavatore carsico del dopoguerra va ricordato Benno Benussi, per vocazione paleontologo, con il quale ho lavorato anch’io negli anni 1953/54 agli ordini del genialoide Mario Jurca. Benussi era un uomo di vasta cultura e poteva permettersi di ingaggiare per i lavori di sterro qualche villico, uno dei quali gli indicò la grotta sul Monte Sedlo (n. 4167 VG) che porta il suo nome. Anche l’amico Giorgio avrebbe meritato lo stesso riconoscimento, ma i tempi sono molto cambiati. Da oltre vent’anni non si scava nelle caverne carsiche, nemmeno negli importanti siti  del Riparo di Visogliano (n. 5144 VG) e della Grotta degli orsi (n. 5725 VG) ed infine non ho più voce in capitolo nel battesimo delle cavità, per il quale la fantasia ha prevalso sul buon senso e sulle vecchie regole.

Il desiderio di onorare un caro amico mi ha portato inevitabilmente a parlare di un tipo di ricerche alle quali ho partecipato quale procuratore di caverne ed in veste di lavorante, le quali hanno una precisa attinenza con la speleologia, intesa come disciplina scientifica. Ho avuto modo così di conoscere alcune persone di non comune levatura, dalla quali ho imparato il giusto comportamento verso le cose della natura e nei confronti del prossimo. Questi uomini sono stati gli inconsapevoli esemplari di una razza ormai estinta, della quale faceva parte Carlo Finocchiaro, il Maestro per antonomasia, con il quale si è chiuso dopo cent’anni il periodo più significativo della nostra Commissione.

Dario Marini