Ricordi, racconti, rimembranze

Pubblicato sul n. 70 di PROGRESSIONE

Era una bellissima mattinata di tarda primavera dell’anno cinquanta del secolo scorso, quando – avevo undici anni – chiesi a papà di portarmi a vedere l’imbocco della Grotta Noé. Dalla stazione delle Ferrovie di Aurisina, ove allora abitavo con la mia fami­glia, per comode carrarecce e marcati sen­tieri si arrivava alla grotta in una ventina di minuti.

Si rimane sempre sconcertati ammirando quell’enorme voragine ed il desiderio di scen­dervi mi colpì all’improvviso. Ci riuscii una de­cina di anni dopo, insieme a papà, assicurati in tandem dai consoci della “Commissione Grotte”. Dopo una breve sosta ci dirigemmo verso Nord, rasentando la Grotta delle Radici e la Moser, sede quest’ultima di scavi archeo­logici, alla fine del diciannovesimo secolo, del professore che ha dato poi nome alla cavità. Piegando poi nella nostra passeggiata verso Ovest, passammo vicini al posto dove, de­cenni più tardi, il Gruppo Grotte “Carlo Debeljak” aprirà l’accesso ad una serie di pozzi che portarono ad un’enorme caverna dedica­ta a “Marilena del Gobbo”. Superata la linea ferroviaria dopo qualche centinaio di metri ci inoltrammo in una mo­desta zona prativa in cui il succitato Gruppo Grotte qualche anno più tardi individuerà e aprirà l’ingresso della “Grotta dei Vasi”, ca­vità in cui i nostri avi neolitici raccoglievano l’acqua di stillicidio, presumo l’unica potabi­le della zona. Dopo un altro centinaio di me­tri sfiorammo la “Grotta dell’Inverno”, vasta e articolata cavità venuta alla luce negli anni ottanta grazie all’impareggiabile cercatore di grotte, consocio e amico, Roberto Prelli. “Ho trovato un pozzo di una trentina di metri an­cora da aprire nei tuoi dominions” mi disse con sottile ironia.

Passati oltre l’autostrada, ossia la camionale 202 di allora, senza patemi d’animo (il traffico era quasi inesistente ed il pericolo di essere investiti quasi nullo), passammo vici­ni all’ingresso della caverna Tripoli, grotta in cui, qualche anno dopo, visitai, non senza difficoltà, le sue diramazioni superiori. Anco­ra qualche decina di metri verso Occidente, e i nostri passi rasentarono la fessura che in un lontano giorno futuro sarebbe diventata la “Grotta Tom”, ossia la Grotta Tullio Tommasini, valente speleologo della Commissio­ne Grotte deceduto nel 1979 a seguito di un incidente stradale. Il Gruppo Grotte “Carlo Debeljak”, scopritore della cavità, con squi­sita generosità e gentilezza ha voluto dedi­carla al nostro compianto socio.

Scendendo lungo la camionale raggiun­gemmo in breve l’ampio orifizio della “Grotta dei Colombi”, oggi un po’ disastrato dai lavori per l’ampliamento della sede stradale. I lavori eseguitivi hanno ostruito i pozzetti vi­cini che portavano alle cavernette laterali del pozzo d’accesso, dove solitamente si fanno gli armi per la visita della cavità. Oggi per raggiungere quel punto è necessario com­piere un traverso mozzafiato. Sorridendo, il papà mi ha raccontato come in questa grotta abbia sicuramente salvato la vita al fratello minore Guglielmo, otto anni, che da solo, all’insaputa di tutti, con una corda per stendere il bucato, si era calato sino al primo ripiano. Per fortuna la corda corta non gli aveva permesso di scen­dere nel pozzo sottostante. Notando a casa la mancanza della corda e del fratello, gli venne il sospetto che il bambino, molto viva­ce, stesse combinando qualcuna delle sue. Di corsa raggiunse la grotta e lì vide il fratellino, incapace di risalire, piangere sul scivoloso ripiano. Sperando che la corda per il bucato non si spezzasse sotto il suo peso, si calò fino a lui e, dopo averlo legato, lo issò in superficie. Sono sicuro, in quella grotta, Guglielmo provò maggior timore ed appren­sione che durante la guerra, quando, come bersagliere motociclista, combatté nell’an­sa del Don durante la campagna di Russia. Dopo Nikolajevka venne fatto prigioniero, passando poi nelle file dei partigiani. Negli ultimi giorni della guerra, dicono, venne a casa alla guida di un carro armato. Delle sue vicende belliche non so altro, anche perché non voleva parlarne.

Come “preda di guerra” mi portò una balalajka con la quale mi divertivo a strimpel­lare. Papà, raccontandomi questi fatti, sorri­deva, poi ad un tratto si ammutolì di colpo. Gli chiesi il motivo di questo suo repentino cambio di umore. Mi disse che durante la guerra non aveva potuto salvare una per­sona uccisa senza pena né colpa. Caporal maggiore dei bersaglieri di stanza nei dintor­ni di Postumia, papà un giorno ricevette l’or­dine di recarsi con la sua squadra sul Monte Re o Nanos, che dir si voglia, per perlustrare le zone circostanti a detto monte. Vista la natura carsica del luogo, voleva approfittare della situazione per cercare l’in­gresso di qualche grotta. Scendendo in una radura notarono ai margini del bosco una capanna di boscaioli che sembrava disabi­tata. Ma non era così! Udirono un rumore di frasche smosse e poi dal bosco un civi­le venne loro incontro sorridendo. Disse di essere il proprietario della capanna e che si era nascosto per paura che fossimo truppe tedesche. Papà gli rispose che dovevano ispezionare la capanna, al che lui non si op­pose minimamente; per di più trasse da un baule un fiasco di vino e invitò gli altri ber­saglieri ad una sana bevuta. Nella capanna si parlava un misto di italiano e di sloveno. Il civile disse che voleva imparare bene l’ita­liano in quanto, dopo la guerra, si sarebbe trasferito in Emilia ove si erano sistemati dei parenti. Era una persona piuttosto istruita, educata, cosa non tanto confacente ad un boscaiolo. Comunque, se pure fosse stato un partigiano o un ribelle, anche qui che dir si voglia, ai bersaglieri non impostava un fico secco.

Mentre allegramente sorseggiavano il vino un vociare all’esterno li mise in appren­sione; guardando dalla finestrella videro nella radura antistante un plotone di alpini coman­dati da un tracagnotto Sergente Maggiore. Il papa si presentò al sottufficiale esibendo i documenti relativi alla loro missione in quel­la zona. Il sergente annuì, poi gli chiese che era il civile lì presente. Lui rispose che era un boscaiolo venuto su per fare legna per l’inverno. Disse pure di avere ispezionato la capanna, non trovando nulla di sospetto. Il sottufficiale ordinò ad uno dei suoi alpini di legare le mani al civile per poi condurlo a val­le dove verrà sottoposto ad un interrogatorio più approfondito.

Papà non voleva che quel malcapitato civile passasse sotto le forche caudine di un interrogatorio senza dubbio poco ortodosso, pertanto fece osservare al sergente che il civile era suo prigioniero e toccava a lui il compito di portarlo al proprio comando (cosa che al papà non passava neanche lon­tanamente per la testa: voleva soltanto per guadagnare tempo nell’attesa che quell’al­tezzoso sottufficiale se ne andasse con i suoi alpini). Costui con un breve cenno del capo fece sciogliere le mani al civile, il quale si incamminò verso la capanna per prendere le sue cose. Non riuscì a fare dieci passi che stramazzò al suolo colpito da una fucilata sparatagli alla schiena da qualche alpino. Il papà, infuriato per quell’azione delittuosa, prese per il bavero il sergente gridandogli in faccia “Brutto assassino!” Questi estrasse il suo revolver e lo puntò sulla fronte di papà sibilandogli fra i denti “Sì caporale, continua così che sei su una buona strada!”

I bersaglieri, vedendo che gli eventi pren­devano una brutta piega, spianarono i loro mitra contro gli alpini, che, presi alla sprovvi­sta, non ebbero il tempo per reagire. E papà “Ragazzi non facciamo puttanate! Abbassate le armi!”. Le abbassarono sì, ma solo dopo che il sergente rinfoderò la pistola e se ne andò con i suoi alpini. Seppellirono il pove­retto ai margini del bosco, sotto una frondo­sa betulla. Un bersagliere, per rimembranza, incise sul tronco una croce con le iniziali del boscaiolo o presunto tale. Probabilmente i suoi resti non sono sta­ti mai recuperati e giacciono tuttora in terra non consacrata. Comunque la zona della sua sepoltura era tanto bella e serena che le sue ossa hanno potuto fare a meno di quel sacramento.

Alla fine i bersaglieri scesero a valle per il consueto rapporto.

Bosco Natale Bone