Pubblicato sul n. 70 di Progressione anno 2024
PREMESSE

Fra le cavità del Carso triestino che presentano un pittoresco aspetto baratroide associato a stimolanti aspetti speleobotanici, va ricordato il Baratro degli Orsi (1157/4109 VG, comune di Sgonico/Zgonik). Denominato, al momento della scoperta quale “Piccola Lépineux”, esso s’apre in una zona piuttosto selvaggia ed appartata, contraddistinta da una successione di avvallamenti dolinari e d’affilati affioramenti calcarei; più precisamente, viene a trovarsi 1200 metri a SE di Rupinpiccolo e 400 metri a NNE da “Le Girandole”, complesso residenziale posto nei pressi di Borgo Grotta Gigante. Lo si può raggiungere seguendo la buona traccia dell’elettrodotto (terna 214) che si diparte sulla destra della strada provinciale 8 di Monrupino (che collega Borgo Grotta a Rupinpiccolo), poco prima dell’accentuata curva a gomito. Dopo circa 300 m, in prossimità del pilo dell’elettrodotto contrassegnano dal N. 94, s’affossa, poche decine di m a nord-est da quest’ultimo ed in una zona costituita da subdoli karren repulsivi, l’avvallamento dirupato, dai primi esploratori denominato Baratro degli Orsi, sovrastato da un mono-lito d’inusitata altezza. Sul fianco dello strapiombo, caratterizzato da pareti compatte e verticali, s’apre lo stretto ingresso dell’ipogeo.
Ben celata dunque nell’ambiente e seppur di ridotte dimensioni, la piccola voragine racchiude, proprio per le sue particolari caratteristiche climatiche e morfologiche, una singolare vegetazione dai connotatati cavernicoli, oggetto del presente contributo. Nelle adiacenze si trovano ulteriori cavità d’interesse botanico, quali ad esempio la “Grotta presso la 4216 VG” (3719 /5196 VG) ed il pittoresco “Pozzo del Ghiro” (1017/3900 VG).
IL BARATRO DEGLI ORSI (PICCOLA LÉPINEUX, 1157/4109 VG)
L’ipogeo, alquanto stretto ed angusto, sprofonda complessivamente per 28 metri con l’ingresso (q. 288 m) che s’apre sullaparete ovest del baratro, a qualche metro dal fondo. Il pozzo d’accesso è di 6 m ed è seguito da due pozzi interni (rispettivamente di metri 2 e 19,50); lo sviluppo planimetrico è di 11 m. La scoperta avvenne nel 1959 ed il rilievo fu effettuato da Dario Marini l’11 marzo 1962. Le sue coordinate sono: lat. 45°43’03,54″ N; long. 13°46’13,94″ E.
Questo ipogeo riveste pure un interesse paleontologico. Nei depositi argillosi del fondo, fra il pietrame decalcificato, vennero infatti rinvenute varie ossa di notevoli dimensioni, fra cui due femori, attribuiti dal paleontologo Benno Benussi all’Ursus spelaeus. Con tutta probabilità le ossa pervennero nel sito attraverso un pozzo, attualmente occluso da massi e detriti, che poneva direttamente in contatto il fondo della cavità con la sovrastante depressione baratroide. Come ipotizza Dario Marini, il baratro doveva esser stato dunque un tranello nel quale erano precipitati animali di grossa mole.

L’iniziale denominazione “Piccola Lépineux”: scriveva a fianco del rilievo l’allora giovanissimo Dario Marini “Dal primo nome dato alla Pierre Saint Martin in Francia, che inizia in modo analogo, avendo però uno sviluppo ben maggiore”. Il nome voleva ricordare la somiglianza della scoperta con quella di George Lépineux, lo speleologo francese di Bagnères de Bigorre che, nel 1950, individuò in situazione analoga l’ingresso originale di un importante sistema di grotte, la Gouffre de la Pierre Saint-Martin sita nelle immediate adiacenze del confine franco-spagnolo (Foresta di Arlas, Pirenei Atlantici).
ASPETTI VEGETAZIONALI
Per analizzare gli aspetti vegetazionali della piccola voragine sono state effettuate, in questi ultimi decenni, varie specifiche visite. Poiché la prima avvenne il 9 maggio del 1986, sono quasi 40 anni che questo ambiente è sotto osservazione botanica, pur non con una regolare frequenza ma sufficiente a valutarne le vicissitudini vegetazionali. A corredo degli specifici rilievi, sono state effettuate nel corso delle visite anche opportune misure termometriche, soprattutto nei periodi primaverili ed estivi, durante i quali la differenza fra i valori esterni (ai margini del baratro) e quelli interni (sul fondo dello stesso), sono maggiormente evidenti. A titolo di curiosità, il 9 maggio 1986, alle ore 17.15, la temperatura esterna era di 18,3°C, mentre quella interna, al fondo, risultava di 7,3 °C, con una divergenza di 11°C. Misure analoghe con risultati pressoché simili sono state riscontrate in ulteriori rilevamenti termometrici effettuati negli anni seguenti. Mentre la luminosità, considerata la fitta vegetazione che ammanta la piccola voragine, diminuisce bruscamente dall’esterno sino al fondo, l’umidità relativa aumenta invece con la profondità, favorendo l’insediamento di una vegetazione dai connotati maggiormente continentali con la presenza di specie che, di norma, si sviluppano a quote più elevate. Il baratro si trova in una zona a folta boscaglia nella quale prevalgono, nello strato arboreo-arbustivo, la roverella/Quercus pubescens, il carpino nero/Ostrya carpinifolia e, in minor misura, l’orniello/Fraxinus ornus. Fra le specie presenti nella zona liminare esterna, quasi a contatto delle invadenti “sommaccaie”, si sviluppano l’edera/Hedera helix ed il termofilo pungitopo/ftusci/s acule atus (a circa 15 metri di distanza, fra gli aspri affioramenti, ne esiste un’ampia e coreografica stazione).

Si nota pure una buona diffusione dell’asparago pungente/Asparagusacutifolius. Particolarmente interessante è la presenza, sui margine meridionale, del polipodio australe/Polypodium cambricum (=P. australe), una felce che predilige ambienti termofili e che colonizza di norma i primi metri di ampi pozzi e voragini del Carso triestino nord-occidentale più basso, con esposizione rivolta generalmente a settentrione. Esempi tipici di questa Pteridofita, caratterizzata dalla forma deltoide e dalla pinna terminale lunga ed appuntita, si possono osservare nel non distante Pozzo del Ghiro (1017/3900 VG) e sul margine meridionale della classica Grotta Noè (23/90 VG). Accompagnano qui il polipodio australe alcune fronde di quello sottile/Polypodium interjectum e della felce dolce/Polypodium vulgare. Iniziando a scendere fra i massi dirupati (zona subliminare), senza l’ausilio di una corda ma con una certa attenzione, si riconoscono, fra le specie più diffuse, l’ubiquitaria felce capillare/Asplenium trichomanes, l’edera/Hedera helix, in ammassi piuttosto compatti ma anche in lunghi festoni pendenti, qualche esemplare di nocciolo/Corylus avellana, un arbusto della fusaggine verrucosa/Euonymus verrucosa, qualche sporadica presenza sia del geranio roberziano/Gera-nium robertianum che del ciclamino/Cycla-men purpurascens e le prime fronde della lingua cervina/Asplenium scolopendrium (= Phyllitis scolopendrium), che conferisce a tutto l’ambiente un carattere di continentalità. Al fondo, oltre al muschio Thamnium alopecurum, che ricopre ancora discretamente i massi del fondo, cresce qualche sporadica pianta della falsa ortica/Lamium orvala.

ASPLENIUM SCOLOPENDRIUM NEL BARATRO
Questa felce, che un tempo era molto più abbondante sia nel presente baratro che in numerose voragini dell’altipiano carsico triestino (dai rilievi risalenti agli anni ’90 del secolo scorso se ne contavano ben oltre la cinquantina), appare ora meno frequente, rarefacendosi quasi a vista d’occhio in quest’ultimi decenni. Causa di ciò è la variazione climatica in atto che comporta un aumento globale della temperatura ed una diminuzione della piovosità, fattori che influiscono negativamente sullo sviluppo di questa specie (e anche di qualche altra Pteridofita) che, di conseguenza, viene a trovarsi in situazioni maggiormente termofile e di maggior secchezza. Un sopralluogo effettuato nel baratro recentemente (aprile 2024) ha evidenziato tale stato di cose accertando l’ulteriore rarefazione o addirittura la scomparsa di un buon numero di fronde dalle pareti che un tempo lussureggiavano l’ambiente. Da notare che, sino ai primi anni del secolo in atto, alcune stazioni della lingua cervina erano presenti pure fra gli affioramenti esterni al baratro e che ben testimoniavano la vicina presenza della piccola voragine. Attualmente permangono, in forma non più florida, solamente un paio di stazioni sulla parete sinistra (ovest), per chi scende dal versante settentrionale, e qualche rara fronda al fondo del baratro, disseminata fra i caotici massi muscosi. Anche l’umidità, più marcata tempo addietro sul pietrame del fondo, è visibilmente diminuita e di ciò ci si può ben accertare constatando specialmente la progressiva rarefazione di Thamnium alopecurum, muschio che un tempo risultava molto abbondante, spesso stillante d’acqua, e che ora appare evidentemente ridotto nella copertura del fondo.
ULTERIORI PARTICOLARITÀ VEGETAZIONALI CAVERNICOLE DEI DINTORNI

Nelle adiacenze del Baratro degli Orsi si trovano un paio di grotte che, per gli aspetti vegetazionali, meritano di essere menzionate. Più precisamente, a soli 130 metri ad ovest si apre il Pozzo presso la 4216 VG (3719/5196 VG). Se la cavità appare poco rilevante dal punto di vista speleologico, risulta invece alquanto importante sotto quello botanico. Infatti, durante una battuta di zona, effettuata il 13 aprile 2016 si è notata, sul margine del pozzo, la presenza di un paio di vivaci fronde della rara felce aculeata/Polystichum aculeatum. Si tratta di una specie che, anche in seguito all’attuale processo di rimboschimento, si sta progressivamente diffondendo sul Carso triestino. È stata rilevata, per ora, in una quindicina di ipogei. È probabile che in prossimo futuro essa tenda a presentarsi ed a svilupparsi in altre grotte carsiche.
Un’altra cavità, un ampio pozzo profondo una ventina di metri, ubicato 125 metri a SSE della 4109 VG è il Pozzo del Ghiro (1017/3900 VG), meritevole di un eventuale approfondimento dei caratteri vegetazionali. Sarebbe tuttavia indispensabile esaminare in situ sia le pareti che il fondo e ciò per ricavare un quadro ben preciso dell’attuale situazione nell’ambito botanico. Si ricorda, perora, che il suo imbocco presenta una ragguardevole presenza di Polypodium cambricum e che è ancora sede di alcune rigogliose stazioni di Asplenium scolopendrium; il quale tuttavia, in seguito a recenti osservazioni, sembra anch’esso in via di progressiva rarefazione, evidenziandone una minore copertura.
È da segnalare infine che alcune marcate depressioni dolinari dalla morfologia baratroide, presenti nelle vicinanze, oltre ad ostentare ragguardevoli esemplari di rovere/ Quercus petraea, di cerro/Quercus cerris e di annosi carpini bianchi/Carpinus betulus, includono una vegetazione in cui sono presenti alcune entità floristiche dai tratti già sub-continentali. Fra queste, spiccano ad esempio Sanicula europaea, Cardamine bulbifera ed Actaea spicata.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
- Cucchi F., Montagnari Kokelj m., Muscio G., Visintini P., Zini l. (a cura di), 2023: Grotte preistoriche del Friuli Venezia Giulia, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. Direzione centrale difesa dell’ambiente, energia e sviluppo sostenibile. Servizio geologico ed., Cormons2023, pp. 159.
- Gherlizza F., Halupca e., 1988: Spelaeus. Monografia delle grotte e dei ripari sottoroccia del Carso triestino nelle quali sono stati rinvenuti resti di interesse archeologico, Club Alpinistico Triestino – Gruppo Grotte ed., Trieste 1988, pp. 320.
- Gherlizza F. e M., 2003: Orsi e Carso: ultimo domicilio conosciuto, CAT Gruppo Grotte – 19° Congr. Naz. Spel. 27-31 agosto 2003: 1-12, Bologna.
- Guidi P., 1996: Toponomastica delle Grotte della Venezia Giulia, Quaderni del Cat. Reg. delle Grotte del Friuli-Venezia Giulia, N. 6. Centralgrafica, Trieste 1996, pp. 279.
- Ivancich A., 1926: La Flora cavernicola. In: Duemila Grotte. Ed. T.C.I.: Milano 1926: 35-46.
- Marini D., 1965: Contributo al catasto speleologico della Venezia Giulia, Alpi Giulie, 60: 56-70.
- Marini de Canedolo D., 2011 : Le grotte del Carso triestino, Vol. II: 42-43, Duino-Aurisina 2011.
- Polli E., 1987: Particolare sviluppo di Phyllitis scolopendrium (L.) Newm. in un baratro (3763 VG) del Carso di Trieste, Atti e Memorie Commissione Grotte “E. Boegan”, Vol. 26: 65-72, Trieste 1987.
- Polli e., Polli S., 1989: Stratificazione microclimatica e vegetazionale in un tipico baratro (Caverna a NW di Fernetti 4203 VG) del Carso triestino, Atti e Memorie Commissione Grotte “E. Boegan”, Vol. 28: 39-49, Trieste 1989.
- Polli E., 1995: La Lingua di Cervo (Phyllitis scolopendrium [L.] Newm.) sul Carso triestino, Progressione 33, Anno XVIII (2): 38-43, dic. 1995.
- Polli e,. Guidi P., 1996: Variazioni vegeta-zionali in un sessantennio (1935-1995) nella dolina della Grotta Ercole, 6 VG (Carso triestino), Atti e Memorie Commissione Grotte “E. Boegan”, Vol. 33: 55-69, Trieste 1996.
- Polli E., 1997: Distribuzione delle Filica-les nelle cavità del Carso triestino, Atti e Memorie Commissione Grotte “E. Boegan”, Vol. 34: 101-117, Trieste 1997.
- Rassegna Speleologica Italiana, 1951: Notizie Speleologiche dalla Francia, 3 (2): 60-61, Como, Giugno 1951.
Elio Polli