ADDIO A GIANNA CIAK, GROTTISTA DELL’ALTRO SECOLO (1944 – 2022)
È sempre cosa triste porgere l’estremo saluto a una persona cara stendendone una

breve biografia. Anche se può sembrare una bestemmia, a volte è più difficile accomiatar-si da un amico che non da un parente: l’amico te lo scegli tu, secondo le tue inclinazioni, i tuoi desideri, le tue speranze, la tua visione del futuro. I parenti – padre, madre, fratelli e sorelle, zii, cugini – te li trovi imposti, un po’ come il colore degli occhi o dei capelli.
Se è difficile parlare serenamene di un amico scomparso, molto di più lo è quando la persona in questione era un’amica che è poi diventata la tua sposa, una persona che ti ha accompagnato per 58 anni lungo l’accidentata strada della vita. Altrove avevo scritto troppo brevi anni, e mai frase è stata più aderente alla realtà. Persona che ti ha amato, che ti ha supportato (e sopportato), che ti ha dato due bellissime e care figlie, che ti ha reso la casa un porto sicuro e sereno, cui tornare felice, a fine lavoro, ogni sera. Persona che ti ha reso la vita degna di essere vissuta e ricordata. Sto scrivendo di Gianna Ciak, amica che dal giugno 1966 al suo cognome aveva aggiunto quello di Guidi, il mio. Al lettore non interessa conoscere la risposta emotiva che questa scomparsa ha provocato in me, a lui importa capire perché il suo ricordo trova spazio sulle pagine di questa Rivista speleo. Ed è questo suo interesse che cercherò di soddisfare. Spiegare brevemente il ruolo che ha avuto nella speleologia Gianna Ciak, nata a Trieste l’8 gennaio 1944 e diventata grottista vent’anni dopo.
Appunto. Nell’aprile 1964, quando aveva vent’anni, lo speleo della nostra Commissione Giorgio Pertoldi – suo vecchio amico – vedendola un po’ turbata per problemi suoi l’aveva invitata a partecipare ad un’escursione in grotta con i grottisti dell’Alpina. Da buon amico le aveva procurato un casco ed una tuta, attrezzatura sufficiente, a suo avviso, per scendere alla Noé: legata alla vita la fune di sicurezza Gianna si era fatta senza problemi i 65 metri di scaletta, il giro della grotta e quindi era risalita, assistita dalla corda di sicurezza, veloce e senza problemi.
A quella sua prima uscita eravamo presenti pure io e Beppe Baldo, giovani allora sentimentalmente privi di legami. Dopo le prime uscite fra i due Gianna scelse me, non so perché, qualche malalingua aveva avanzata l’idea fosse stato il fascino dell’orrido, del primitivo. Fatto sta che da quel momento abbiamo fatto copia fissa; il 25 dello stesso mese Gianna ed io eravamo sul Carso a scendere ed esplorare il Pozzo dei Ciclami, aperto la domenica precedente. Sul ripiano, a metà grotta, un primo bacio suggellava per noi il fidanzamento ufficiale.
L’esperienza alla Noé del 12 aprile le era piaciuta, e così questa ragazza, digiuna di ogni conoscenza tecnica ma tanto ricca di entusiasmo e volontà di fare e di conoscere, con il nostro gruppo è scesa via via in quasi tutte le più belle o interessanti grotte del Carso. Infatti nel biennio seguente, sino al nostro matrimonio, Gianna ha fatto tantissime uscite: posso qui menzionare le discese alla Gr. Plutone, all’Ab. di Samatorza, alla Gr. Natale, all’Ab. del monte San Primo, alla Gr. dell’Elmo, alla Gr. Jablenza, all’Ab. di Opicina Campagna, alla Gr. di Ternovizza. Tutte fatte allora con le scalette, la tecnica su corda era ancora di là da venire. Nel 1965 dopo aver frequentato il primo corso di speleologia partecipava ufficialmente anche alle ricerche condotte nel Friuli, Pradis e Canin soprattutto.

Fra le tante uscite di questo primo intenso periodo ricordo in particolare quella alla Grotta Nuova di Rupinpiccolo, 1145 VG. C’erano, oltre a Gianna ed allo scrivente, Dario Marini, Mario Gherbaz, Beppe Baldo, Tullio Piemontese, Umberto Costa, Mario Battiston, Adelchi Casale, Bosco Natale Bone, Elda Elzeri, amici quasi la metà ormai scomparsi. Nel risalire in arrampicata un passaggio nella caverna centrale, il cedimento di un appiglio la faceva cadere e battere il volto: insanguinata risaliva senza difficoltà, ma aiutata sui pozzi, sino all’esterno e veniva poi portata con la sua 600 da Bosco al Pronto Soccorso della Croce Rossa Italiana, allora sito al pianterreno del Palazzo delle Ferrovie, in Piazza Vittorio Veneto. Contusioni varie e il labbro superiore bucato che veniva sistemato con alcuni punti. Ma l’incidente non era riuscito a fermarla: due settimane dopo eravamo di nuovo in Carso, il mattino alla Caverna Generale Ricordi e poi, al pomeriggio, a Borgo Grotta Gigante a fare allenamento su scala.
Diventata mia sposa dal 1966, prima che le gravidanze e la cura delle figlie mettessero limiti al suo entusiasmo e ne riducessero notevolmente il tempo libero, era con me nelle mie uscite infrasettimanali (allora lavoravo alle Imposte di Consumo, con turni che mi mangiavano domeniche e feste comandate ma mi lasciavano liberi giorni infrasettimanali) per scavi, rilievi o anche soltanto per il piacere di vedere una nuova grotta. Un’attività di tutto rispetto, anche considerati i tempi: visitare abissi di 90-100 metri con le scalette, ancorché superleggere, in due non era cosa da poco. Quando poi sono arrivate le nuove tecniche aveva voluto imparare – per farlo eravamo andati alla Grotta Verde – a servirsi per la risalita su corda (utilizzando i Gibbs, pratica allora molto in auge).
Anche divenuta madre ha comunque proseguito l’attività speleo, ancorché ridotta, coinvolgendo pure le figlie. Nel 1976 aveva portato nella Grotta nuova di Santa Croce, 4884 VG, la figlia maggiore (nove anni), lasciando fuori con me la più piccola, da lei condotta nella stessa grotta qualche anno dopo, assieme alla sorella. Grotta che le bambine, incantate dalla bellezza del luogo, vollero chiamarla Grotta Cenerentola.
Poi l’avanzare degli anni e l’insorgere di problemi sempre più gravi di salute le impedirono di mettere tuta, imbrago e casco, limitando la sua attività alle escursioni in grotta post Congressi e Convegni speleo, manifestazioni cui mi accom

pagnava sempre, ove fosse possibile, in Italia come in Austria, Ungheria, Jugoslavia, Bulgaria, Grecia. L’aggravarsi dello stato di salute – interventi alla schiena, ai piedi, ai polsi – l’avevano alfine costretta dapprima a girare con le stampelle, quindi in carrozzella: inchiodata su quest’ultima girava la città per incontrare le amiche o per fare compere, sempre sorridente. Schiacciata da un destino non benevolo, ma mai doma: quando anche uscire di casa era diventato difficile, utilizzava le tecniche messe a disposizione dall’informatica per mantenere e sviluppare rapporti e amicizie. Poi infine, nel 2022 un aggravamento la costringe per mesi a letto, a farci coraggio – a noi … – sempre con il sorriso sulle labbra. Sino all’alba del 18 dicembre 2022, quando, con una lieve stretta di mano salutò me e le due figlie, mentre i raggi del primo timido sole invernale sfioravano, per l’ultima volta, il suo sorriso.
Come tante altre grottiste che, a Trieste, nel secondo dopoguerra hanno seguito prima i fidanzati e quindi i rispettivi mariti alla scoperta del Carso sotterraneo, assistendoli e aiutandoli, anche Gianna Ciak per più lustri è stata attiva e presente nelle grotte del Carso e del Friuli, nelle operazioni di rilievo, di scavo, di esplorazione. Ma non è stato solo questo l’apporto alla conoscenza del Carso sotterraneo che si deve mettere sul suo conto. Se lo scrivente ha dato qualche contributo alla speleologia, ciò è stato possibile soltanto perché ha avuto sempre vicino un’anima gentile, premurosa e paziente. Che gli ha permesso di scrivere, di far parte di strutture di responsabilità – Direttivi dell’Alpina, della Commissione Grotte, del Soccorso Speleologico, della Commissione Centrale di Speleologia del CAI, di Comitati organizzatori di Convegni e Congressi e così via- che presupponevano continue assenze (anche di più giorni) da casa. Ecco, senza di Lei Pino Guidi non avrebbe potuto dare alla Commissione e alla speleologia quanto ha dato. Poco o tanto che sia.
Ricordo sempre, con commozione, una ventosa domenica mattina di sessant’anni fa allorché, scesi dalla corriera a Prosecco e incamminatici verso Borgo Grotta Gigante, le dissi che l’amavo tanto e che se l’attività speleo non le piaceva potevo abbandonare tutto per dedicarmi soltanto a Lei. La risposta fu che se le grotte erano la mia vita sarebbero diventate anche la sua. E così fu. Non era entrata ufficialmente nella Commissione Grotte, ai quei tempi ancora considerata un sodalizio strettamente maschile. Avrebbe potuto entrarvi qualche anno più tardi, ma il tempo era ormai scaduto.
Alle esequie a piangere la sua scomparsa, c’erano, oltre ai parenti, tanti, tanti amici. Fra questi anche qualcuno di quelli che con Lei erano scesi in grotta nei lontani anni ’60 e ’70.
Pino Guidi

Altre notizie si possono trovare nella rivista Sopra e Sotto il Carso Anno XI N. 12 pag. 51-52