So bene che questo articolo può interessare alle poche persone desiderose di sapere chi è stato Michele Gortani, il personaggio al quale è stato dedicato l’abisso più importante scoperto dalla nostra Commissione nei 135 anni della sua storia. Nell’assurda gara al record di profondità ingaggiata con la XXX Ottobre di Cesare Prez il Carso Classico rivelò la sua modesta potenzialità speleoge-netica, anche sul Monte Nevoso che sfiora i 1800 metri. Allora non si recepì il significato del messaggio pervenuto dai Monti Lessini, che indicava come i territori alpini fossero i più idonei a dar grandi soddisfazioni in questo campo. Tuttavia i materiali e le difficoltà logistiche erano di per sé ostativi ad affrontare grotte più profonde di 400 metri e con lunghi tatti orizzontali nei quali trascinare le pesanti attrezzature, per non parlare di un abbigliamento inadatto alle basse temperature e all’acqua, problemi manifestatisi drammaticamente alla fine degli anni ’50 dell’altro secolo nell’Abisso Polidori, da raggiungere con una marcia estenuante, portando il cordone da 22 mm lungo 200 metri. In quel 27 agosto 1963, mentre giravo estatico tra sempre nuove forme di pietra del Canin, tornai sul Col delle Erbe dove ero stato un mese prima con Pino Guidi e Berti Kozel e mi colpì la grande frattura che solcava il tavolato verso il Col Spric contornata da un reticolo di fenditure che simulava l’aspetto di un mare congelatosi nel parossismo di una tempesta. Là sotto stava fin dalla notte dei tempi la smisurata creatura dagli infiniti diverticoli ostici all’uomo, nei quali si sono rifugiati i guriuz, i nani trogloditi dall’alito gelido, la cui lotta contro gli invasori del loro mondo ha fatto sin qui otto vittime. In questi ultimi anni alcuni abissi di vecchia esplorazione sono stati collegati ad altri vicini, compreso il Boegan, da noi ritenuto sul momento e con l’ottica carsica, l’unica vera grotta del Canin, ma durante la prima discesa in quello che sarebbe diventato l’abisso Gortani si capì subito che eravamo entrati un una dimensione spaziale diversa. Tuttora, dopo 55 anni, si fanno sul Canin sempre nuove scoperte e attualmente mancano poche decine di metri per arrivare alla giunzione di sistemi chilometrici in cui il ‘sistema Gortani’ (attualmente esteso per una trentina di chilometri) fa da cerniera. Giunzione che creerebbe, con i suoi 90 chilometri di gallerie e le decine di ingressi, il complesso più lungo d’Italia. Nulla di tutto ciò poteva essere immaginato dal giovane friulano Giovan Battista De Gasperi che nel 1910 vide ad Ovest del Bila Pec quelle che considerò insignificanti fratture di origine tettonica (Fenomeni carsici del Monte Canin, Mondo Sotterraneo, 1914). Pensava di tornare lassù a meglio indagare, ma la guerra lo congiunse al fratello Giuseppe, caduto nel 1902 sul Monte Civetta. Michele Gortani nacque nel 1883 in Spagna, dove il padre Luigi – ingegnere – si trovava per motivi di lavoro. Nel 1904 si laureò a pieni voti a Bologna in scienze naturali e nello stesso anno ebbe l’incarico di assistente di cattedra nell’Università di Perugia, carriera poi proseguita nelle università di Torino, Pisa, Cagliari, Pavia ed infine nel 1924 nuovamente a Bologna ove insegnò sino al pensionamento avvenuto nel 1953 e poi – come professore straordinario – sino al 1958. Nel 1903 fondò, assieme a due compagni e con il favore del prof. Capellini, suo maestro, la Società Speleologica, società che per un anno diede alle stampe alcuni numeri della “Rivista italiana di speleologia”, primo bollettino italiano specializzato nel settore. Il suo precoce interesse per le strutture carsiche e per l’idrologia sotterranea, la sua competenza in questa branca delle geografia fisica lo portarono nel 1929 alla Presidenza del neo costituito Istituto Italiano di Speleologia e, dopo la seconda guerra mondiale, alla presidenza della Società Alpina Friulana, della Società Filologica Friulana e, dal 1954 sino alla morte, del Circolo Speleologico e Idrologico Friulano. Gortani era attratto da ogni aspetto dell’ambiente ed in particolare dalle formazioni rocciose; per sua ventura la sua famiglia viveva nell’area dove è presente la più ampia varietà delle rocce sedimentarie ordoviciane dell’Età primaria, avendo, in comune con la Sardegna, gli antichissimi livelli nella forra del Rio Uqua. Camminatore instancabile, Gortani percorse ogni angolo della sua Carnia e queste ricognizioni gli servirono per comporre tre fogli della Carta Geologica d’Italia, rivelando l’eccezionale interesse petrografico della regione da poco annessa al territorio nazionale. Associato alle principali società geologiche d’Europa, Gortani fu consulente dell’A-GIP e dell’ENI per la ricerca del gas naturale e degli idrocarburi, attività che lo portò in vari paesi del Nord Africa. Dopo il disastro del Va-iont fu incaricato di esaminare la condizione di altri invasi, ma si rifiutò – era ormai ottantenne – di andarvi in elicottero, sostenendo che bisognava andare sui luoghi a piedi. Oltre alla figura di eminente scienziato, Gortani è stato anche un uomo pubblico, essendo stato deputato del Regno d’Italia e poi, senatore della Repubblica, collaborò attivamente alla stesura della nuova Costituzione. Era profondamente legato alla terra d’origine – la Carnia – ed alla sua gente, per la quale si prodigò a rischio della vita in aiuto dei profughi dopo Caporetto e soprattutto durante l’occupazione dei cosacchi nel 1944. Malgrado il carattere schivo e un po’ burbero, Gortani riceveva chiunque avesse bisogno dei suoi consigli e al ritorno da un’uscita in Carnia Carlo Finocchiaro, il Maestro, portò me e Marino Vianello a conoscere il suo genius loci, allora riconosciuto come il maggior geo-logo italiano. Questa fama ha oscurato la sua qualità di grande botanico – una passione ereditata dal padre – le cui raccolte floristiche sono conservate nel civico Museo di Udine, città dove il suo ricordo è tenuto vivo dai soci anziani del CSIF, il prestigioso sodalizio speleologico – il primo fondato in Italia – che lo vide dapprima socio, poi discreto ma sempre presente nume tutelare, ed infine Presidente. A 53 anni dalla morte gli studi di Gortani hanno perduto parte della loro attualità, un destino comune ai lavori di altre discipline scientifiche, anche più moderne, mentre pare si sia estinta quella categoria di scienziati la cui mente era capace di spaziare in campi diversi. Oggi portano il nome di Michele Gortani il Museo di Tolmezzo dedicato alla civiltà contadina della Carnia, da lui voluto ed allestito, un complesso sotterraneo nei gessi bolognesi, la Grotta Michele Gortani e l’Abisso Gortani sul Canin. Per quanto riguarda la dedica di quest’ultimo mi pare – ma non ne sono sicuro – che fui io a fare la proposta, a ciò indotto dalla mia ascendenza carnica, ricostruita dal 1678. In alternativa si deve pensare a Finocchiaro, che conosceva bene e stimava Gortani, ma è ormai una questione senza importanza e che non interessa più a nessuno, come tutte le cose del passato. Inizialmente siamo stati noi a dare ai nuovi abissi del Canin i nomi dei nostri speleologi scomparsi dal Boegan a Vianello, Davanzo Picciola, le tre vittime del 1970, seguiti poi da altri Gruppi Grotte che hanno voluto così onorare i loro personaggi di spicco (Prez, Comici, De Gasperi, Seppenhofer, Novelli). In seguito, sia per l’esaurirsi di figure degne di memoria che per l’avvento di una generazione meno tradizionalista, la nomenclatura abissale si è fatta fantasiosamente goliardica, fino a toccare il fondo nell’unico meno mille del versante italiano del Canin con la versione slovena del beneamato cunnus. A ben vedere la scoperta e l’esplorazione dell’Abisso Gortani hanno dato inizio ad una sorta di reazione a catena che non si sa dove potrà portare, forse al superamento di quel teorico spartiacque ipogeo posto tra i due versanti del Canin, una prospettiva aperta dal rinvenimento ad alta quota di un’estesa cavità a ridosso del confine di Stato, una situazione geologica impensabile per lo stesso scienziato carnico, che un biografo ha definito buono, semplice, generoso e pio. Nei lontani anni ’60, che ci videro protagonisti, dedicargli un grande abisso sul Canin ci era sembrato un doveroso omaggio alla memoria di uno studioso che tanto aveva dato alla speleologia. A distanza di parecchi decenni si è rivelata una scelta felice: le dimensioni e l’importanza di quel sistema sotterraneo che generazioni di speleologi italiani e stranieri ci hanno fatto crescere sotto gli occhi sono tali che quel nome verrà ricordato, nel nostro ambiente, ancora per parecchio tempo.
Dario Marini