L’obiettivo della spedizione del 2018 è quello di proseguire le attività di ricerca nelle zone indagate nelle spedizioni precedenti, il sito interessato si trova nella zona del lago Ponarit, su delle costole calcaree che rimontano verso la parte sommitale del monte Hekurave, dominanti la vallata Dragobi -Valbona. Posizionato il campo a quota 2000 m, impieghiamo la prima giornata a raggiungere e scendere il pozzo siglato K1; essendo il più distante, coglieremo l’occasione per spingerci in zone ancora non indagate e morfologicamente promettenti. Il K1 si presenta come un enorme imbuto franoso, ad una certa profondità si verticalizza fino a raggiungere un primo fondo, nella visita precedente era stato individuato un secondo salto, non disceso. Purtroppo le nevicate tardive della primavera hanno depositato alla base del primo pozzo una certa quantità di neve che non ha avuto il tempo di sciogliersi e la prosecuzione risulta occlusa da un gelido tappo. Utilizziamo il tempo rimanente della giornata a raggiungere la zona adocchiata nel 2014 e soprannominata in maniera irriverente “conca del Boegan”, per una vaga somiglianza con la domestica depressione caninica, con rammarico il cratere calcareo risulta completamente intasato da massicci depositi di ghiaie. Vaghiamo per alcune ore in vallate e su crinali completamente sgretolati e macinati da millenni e glaciazioni; di pozzi, gallerie o ingressi di ipogei rarissimi abbozzi, tutti immancabilmente ingombri di clasti di varia grandezza. Rientriamo al campo seguendo una via diversa nella speranza di un colpo di fortuna che purtroppo non avviene. Si tenta quindi con la grotta siglata K5, il materiale posizionato il giorno prima all’ingresso e il sentiero pulito precedentemente con la motosega, tramutano l’avvicinamento in una piacevole scampagnata sul far del giorno. La cavità, già rilevata fino alla sommità di un pozzo non sceso a circa 100 m di profondità, risulta comoda e con morfologie interessanti, armiamo la verticale inesplorata che, dopo circa 40m, chiude ottusamente su un fondo composto dal solito intasamento di ghiaie. Disarmiamo rapidamente e rientriamo alle tende per un rapido briefing per un eventuale cambio di obiettivi. Decidiamo di spostare il campo al lago Ponarit per proseguire le ricerche a quote leggermente inferiori, ove speriamo di evitare gli intasamenti presenti in altitudine. Avvisato telefonicamente il nostro contatto indigeno Leon, ci viene garantito che la mattina successiva i cavalli saranno presenti per il trasloco. Alle prime luci dell’alba smontiamo le tende e la cucina, i sacchi sono già pronti dalla sera, alle 10 compaiono da una cresta cavalli e conduttori. Dopo i convenevoli di rito carichiamo il materiale per ridiscendere il sentiero fino al lago. Riassembliamo il nostro habitat, rimontiamo il campo sotto gli sguardi condiscendenti dei malgari del posto. Approfittiamo della presenza degli indigeni per farci indicare l’ingresso della Shpella Drago-nit, visitata a suo tempo da Lucio Comello ma estremamente difficile da trovare. Partono motivati Baxa e Rossana al seguito delle improvvisate guide locali. L’avvicinamento risulta infernale, un ghiaione ripidissimo disseminato da tronchi d’albero caduti, massi in equilibrio precario e frasche impenetrabili conduce nei pressi dell’ingresso della cavità. Arrivati alla base della parete, ove si dovrebbe trovare il pertugio, i locali cominciano a dubitare sulla loro effettiva conoscenza della posizione della grotta, dopo più di un’ora di ricerche infruttuose, desistono e ritornano a valle. La giornata successiva si va a ritrovare una grotta vista e in parte scesa da Lucio e Aldo Fedel alcuni anni prima. Andiamo già pronti a tutto. Solito avvicinamento albanese: traccia incerta all’inizio, ghiaione ripidissimo e alla fine paretine da capre funambole. L’ingresso lo troviamo quasi subito, una condotta che si apre in parete a 3-4 metri sulla parte sommitale di un canale, con aria cospicua in uscita. Il primo pozzo chiude a circa 20 m, a metà della discesa una finestra immette in un breve salto da 7 metri. Da qui inizia un pozzo leggermente obliquo chiaramente tettonico, di discrete dimensioni. La partenza è funestata da due terrazzi carichi dal solito marciume pietroso. Arrivati sul fondo l’ennesimo tappo di massi chiude la prosecuzione. Buttiamo un paio di sassi tra le fessure ma non succede niente finché Baxa, supportato dal solito culo che lo fa sopravvivere nelle avversità, imbrocca il punto giusto e il sasso precipita nel vuoto. Pozzo stimato 40-50 metri di buone dimensioni con aria in uscita in quantità. Proviamo a spostare i macigni ma sono incastrati dal loro stesso peso. Con un paranco a catena ed un’ora di lavoro siamo certi che il pozzo potrà diventare accessibile. Usciamo. Intanto Lucio, annoiato dall’attesa, trova nelle vicinanze altre due fessure soffianti che necessitano di lavori di forzatura. Il rientro al campo è come sempre funestato dall’orografia e dalla vegetazione albanese. Portando, successivamente, la posizione su carta si evince che la grotta si apre sul bordo di un altipiano le cui risorgenze si trovano ad una certa distanza e non lontano da Querec-Mulaj. Battuti ma non domi il giorno seguente si ritenta Drago-nit, non tanto per orgoglio quanto per il bel nome da dare ad una grotta: Shpella Dragonit!! Nonostante il ghiaione della tribolazione, stavolta Prometeo è dalla nostra e dopo mezz’ora troviamo l’ingresso. Si tratta di una paleo-risorgenza parzialmente occlusa da argille e sparute concrezioni. Passata la strettoia che aveva fermato i nostri alla prima visita, troviamo un’altra fessura intransitabile. Più avanti gli ambienti sembrano più comodi ma il lavoro di forzatura della strettoia richiederebbe un impegno eccessivo dove le prospettive e le aspettative sono ben altre, se la stessa grotta si trovasse sul nostro abusato Carso avremmo stuoli di onesti lavoratori ipogei armati di ogni ritrovato della tecnologia moderna intenti a violare questi infimi passaggi, da tenere comunque in considerazione vista la presenza di una discreta corrente d’aria in uscita. Addio al Ponarit. Approntati i sacchi e gli zaini veniamo raccolti dai fuoristrada che ci riportano a Bajram Curri, le montagne silenti approvano!
CONCLUSIONI
Si potrebbe ipotizzare che i fenomeni carsici alpini in Albania siano diversi da quelli a cui noi siamo abituati. A certe quote sono presenti in superficie (in parte nelle grotte) grandi quantità di sfasciumi, probabile indizio che queste montagne sono state soggette a maggiori e più lunghi periodi di aggressione da parte degli agenti atmosferici e climatici rispetto ai massicci carbonatici di casa nostra. A quote più basse le cavità sono state preservate da questo fenomeno e quindi sono più probabili da trovare. Siamo sempre portati a pensare che, in determinate condizioni geologiche e climatiche, tutte le zone si comportino come il nostro Canin o come il Col delle Erbe dove, se la notte devi urinare, rischi di cadere in qualche orrendo baratro; purtroppo non è così. La sfida che si presenta è di capire qual è l’approccio migliore per cercare le grotte, senza dilapidare inutilmente risorse materiali ed umane, quest’ultime ormai così rare. Queste considerazioni sono fatte nel momento in cui non abbiamo ancora visto ed esplorato tutte le parti che compongono questo massiccio compreso tra Bajram Curri-Valbona-Theth-Lekbibaj e quindi speriamo che la grande cornucopia, rorida di abissi insondabili, sia ancora da trovare.
Lorenzo Marini