La caverna Pocala

 

LA CAVERNA (GROTTA) POCALA E RUGGERO CALLIGARIS – UN RICORDO DA PARTE DI UN VECCHIO CARSISTA

Clasto di arenaria recuperato dal carotaggio SM-2 a -15

Pubblicato sul n. 62 di PROGRESSIONE
La prematura scomparsa del geologo Ruggero Calligaris, uno dei veri appassionati del Carso e dei suoi fenomeni, mi porta ad una doverosa illustrazione e considerazione sulla sua attività, in particolare nel periodo della appartenenza al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste ed in riferimento alla Caverna (Grotta) Pocala di Aurisina.
Nei miei ormai settant’anni di occupa­zione, a vari titoli e motivazioni, sugli studi inerenti il Carso triestino, Ruggero è stato uno dei tanti giovani che ho aiutato ad indi­rizzare su delle ricerche volte in particolare alla geomorfologia e idrogeologia carsica. Va solo aggiunto e considerato, che tale particolare attività è timidamente sorta sul nostro Carso agli inizi degli anni ’50 del secolo appena trascorso. Il contributo che sono riuscito a suggerire agli eventuali in­teressati, è contenuto in una indicazione di parte delle mie pubblicazioni nel volume (1) citato nella bibliografia allegata.
Di seguito sono inoltre ricordate alcune pubblicazioni delle ricerche specifiche sulla Pocala e riguardanti il contributo dato da Ruggero e di quello di altri Autori, dove non sempre viene indicato il motivo specifico di detti studi, che troverete invece illustrato nel presente lavoro.
Per una migliore comprensione di questo piuttosto complesso argomento, sono stati infine segnalati degli studi specifici concer­nenti il problema dei depositi di riempimento delle grotte, soprattutto di quelle a galleria, delle doline ed in particolare si discute sulle cause climatiche che li hanno condizionati.
La Pocala, fin dai più lontani tempi delle ricerche carsiche, è stata la cavità di maggio­re interesse per i ritrovamenti in particolare dell’Ursus spelaeus (ed altro) nei suoi depositi di riempimento. Questi risultavano significati­vamente importanti, in una chiave di lettura per le così dette ricerche preistoriche, quando i tempi per gli studi sul processo carsico erano ancora agli albori. Ma rileggendo gli studi effettuati dal Marchesetti e dal Battaglia, si evince che negli scavi archeologico-pale-ontologici, questi si fermavano con il rag­giungimento dello strato definito “sterile”, che corrispondeva quasi sempre con la presenza di argille e sabbie gialle. Quindi, per la loro ricerca, lo studio sulla continuità dei depositi perdeva completamente l’interesse di andare oltre! Diversa ed importante considerazione consisteva invece nella segnalazione che, spesso, negli strati ad ursus c’erano nella successione dei depositi di riempimento delle interruzioni determinate da strati e banchi di concrezione calcitica. Ma il tutto si fermava alla pura segnalazione, ciò che allora contava erano solamente i ritrovamenti dei fossili e dei cocci delle ceramiche, relativi alle industrie umane di quei lontani tempi preistorici.
Con il graduale succedersi degli studi geologico-carsici, si era arrivati invece ad una progressiva determinazione della tipo­logia di tali depositi di riempimento e delle loro strutture sedimentarie, nonché delle caratteristiche relative al trasporto nelle ca­vità carsiche, soprattutto in quelle a galleria. L’argomento più complesso consisteva però proprio nel trasporto, sicuramente condizio­nato da situazioni diluviali altamente selettive, protrattesi per centinaia di migliaia di anni, alternate a periodi sempre piuttosto caldi, anche se meno piovosi, in cui si sviluppa­va il concrezionamento calcitico segnalato. Inoltre, sempre da un punto di vista più carsologico generale, nel corso di molti anni si era proceduto anche all’analisi morfolo­gica di centinaia di doline con esatti rilievi di alcune decine delle più caratteristiche. Tutto ciò determinò e condizionò la certezza che attualmente i loro riempimenti terroso-detritici sono ormai da tempo (molte migliaia d’anni) in fase di progressivo assorbimento da parte delle sottostanti strutture verticali (cavità a pozzo), ivi compresi dei casi di improvvise aperture dei depositi (terroso-argillosi), creando così dei vuoti profondi anche decine di metri.
Premesso quanto sopra considerato, risulta evidente che queste caratteristiche esprimevano con una certa evidenza che la genesi di tali depositi, presenti sia nelle grotte a galleria che nelle doline, era stata re­golata da sistematiche condizioni climatiche diluviali avvenute nel corso del Pleistocene. Ma di ciò non esisteva traccia né tantomeno una valutazione conoscitiva della loro esatta potenza, oltre alle caratteristiche, tipologia ed evoluzione di tali depositi.
Con Ruggero ed in accordo con il Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, nel 1999 per la Pocala venne proposto ed eseguito un carotaggio in continuo di tali depositi, iniziando la perforazione dall’esterno, sopra­stante esattamente la posizione che era stata scelta all’interno, in corrispondenza del tratto finale della sua struttura a galleria. Il lavoro venne eseguito da una ditta specializzata in perforazioni e formata da geologi, geometri, speleologi e … carsisti. Il fondo – roccioso venne raggiunto a m 17,00. Su mia proposta si spinse ancora in profondità la perforazione di m 2,60 per essere assolutamente certi dell’esatto – punto – di fondo della struttura a galleria della cavità stessa. Risultò così che aggiungendo ai m 6,00 (dalla volta al piano della galleria nel punto della perforazione) quelli della perforazione si raggiungono m 23,00 che corrispondono alla misura della reale altezza della galleria prima dei riem­pimenti. Se ne deduce che l’attuale spazio percorribile della struttura a galleria causa tali riempimenti, rappresenta ciò che può definirsi: un relitto di cavità.
Era stato inoltre considerato, che an­che l’attuale arco di volta d’accesso della cavità, dimostrava senza ombra di dubbio il suo prolungamento verso l’alto nello spazio esterno della cavità. Con Ruggero decidemmo di fare un altro sondaggio, ad una decina di metri dal suo attuale accesso sul piano esterno, per sondare la profondità dello stesso deposito fino ad arrivare sul piano roccioso di fondo della ex galleria (trovato a m 12,40), nel tratto appunto soprastante l’assenza della sua volta. Va morfologicamente chiarito che questo primo tratto esterno della Pocala non può in alcun modo essere definito: dolina, ma semplicemente, anche in questo caso: relitto di cavità. Aggiungiamo ancora che nella tradizione speleologica tale tratto mancante – esterno – alla Pocala, come del resto anche in molti altri casi, è stata sem­pre definito anche come: cavità di crollo. In merito a tale definizione ritorneremo, nella seconda parte di questo lavoro.
Dalle varie analisi stratigrafiche, citate nella bibliografia allegata, si evince con chiarezza la natura di trasporto alluvionale localizzato e periodico, di tali depositi, consistente in una ventina di livelli sedimentari sabbioso-pelitici, con una netta prevalenza siltoso-quarzosa, con associati feldspati e dei minerali pesanti, a cui va aggiunta una soluzione argillosa. Il tutto appare inglobato con una frazione ghiaiosa di natura calcarea. Inoltre, nel corso della perforazione vennero raggiunti sia i già citati livelli di concrezione calcitica, che dei massi rocciosi ed anche degli spazi vuoti, presenti spesso (anche in casi rilevati altrove) al di sotto dei livelli calcitici.
La presenza del quarzo, nella successio­ne stratigrafica cretacico-calcarea, dell’area carsica in questione, può derivare solamente da resti delle coperture del Flysch eocenico-oligocenico, le cui rimanenti tracce sul Carso sono attualmente molto ridotte. Ne diamo un semplice esempio citando il caso pre­sente nell’estrema parte nordorientale del Carso triestino, al confine con la Slovenia, dove proprio sulla cima del V. Gradisce (M. Castellaro, Q. 741 m) in territorio sloveno, c’è ancora una copertura flyschoide sui sotto­stanti calcari eocenici, da cui si dipartono dei solchi vallivi (inattivi) che sboccano in territorio italiano nella Valle di Grozzana (Krasno Polje).
A questo proposito va ricordata un’altra iniziativa di Ruggero (et al.) riguardante appunto il Flysch in una pubblicazione del 1999, dove viene trattato il tema delle così dette marne-arenarie in facies di Flysch, che caratterizzano largamente anche la struttura idrogeologica del Carso ed in particolare il problema del corso del Fiume Timavo.
La conclusione di quanto sopra esposto ci porta alla costatazione della presenza di un fenomeno determinato da una situa­zione climatica pleistocenica di evidente tipo diluviale che al presente è stato anche attentamente valutato, in particolare sul­la tipologia ed evoluzione dei sedimenti presenti nelle doline. E’ così risultato un cambiamento climatico verificatosi con tutta probabilità negli ultimi 12.000 anni, cui è seguito nel corso di una situazione climatica (attuale) completamente diversa il graduale assorbimento di tali depositi. Tale assorbimento risulta essere alquanto palese nelle doline, un po’ meno nelle grotte, ma ciò solamente perché nelle cavità sono più difficili i ritrovamenti di evidenti e particolari segni lasciati da precedenti livelli.
Ritornando al problema delle cavità sco­perchiate (roofless cave), relativo alla parte di accesso della Pocala nella perforazione ivi eseguita, non fu registrata alcuna traccia di tale evento.
Così nel 2000 con Ruggero, proponemmo di eseguire un’ulteriore specifica indagine in altro sito. E’ stata scelta l’area delle grandi doline, poco a NW di Borgo Grotta Gigante, una località nota per dei fenomeni carsici molto evidenti con strutture morfologico-dissolutive in una associazione di micro forme, largamente presenti in alcuni vasti campi solcati (karrenfeld). Qui si trova anche un solco nella roccia calcarea, particolare evidente di un relitto di cavità a galleria dello sviluppo ad andamento orizzontale per una cinquantina di metri. Il solco ha una larghezza di 4-6 m, ed una profondità di 3-4 m. Sul suo fondo vennero eseguiti cinque sondaggi nei sedimenti, per profondità variabili dagli 8 ai 10 m prima di raggiungere la roccia di fondo di quell’antica galleria. In questi sondaggi non sono state rilevate tracce di crolli, ma solamente una successione di depositi di riempimento, di cui uno in particolare mostra­va delle evidentissime similitudini con quello esterno alla Pocala. Considerate ancora che tale concordanza si verifica ad una distanza di ben 9 km tra i due sondaggi.
Giunti a questo punto e solo per chia­rezza, ricordiamo a tutti gli interessati di studi carsici che con Ruggero eravamo sempre indirizzati a illustrare anche il perché temporale dell’avvento di detti fenomeni di scoperchiamento non dovuti al crollo, ma ad una geologicamente lunga azione dissolutiva con il conseguente abbassamento generale delle superfici carsiche, operata dalla acque di provenienza meteorica.
Sempre consultando quanto contenuto in (1) si evince che dopo oltre trent’anni di ricerche sulla dissoluzione carsica, l’abbas­samento medio di tali superfici può variare da 0,02 a 0,04 mm/anno. Ciò significa ben oltre ai 200 m in 10 milioni di anni! Tali an­tichi sistemi di grotte in strutture a galleria sono relativi ad un’antichissima ed assai particolare fase carsica, con la presenza di imponenti corsi d’acqua che hanno dato luogo alla formazione di detti sistemi di gal­lerie, poi abbandonati per il naturale appro­fondimento del sistema carsico-dissolutivo. La continuazione evolutiva della cavità in oggetto si è avvicinata, nel corso dei milioni di anni, sempre più alla superficie carsica del momento. Al Pleistocene, in quel lungo ed articolato periodo caratterizzato da intensi periodi diluviali, sono riferibili buona parte dei suoi depositi di riempimento (almeno i più superficiali). Così l’apertura della volta verso l’alto, si è verificata, non per crollo improvviso, ma con l’esasperante lentezza della sua scomparsa, alla velocità di un abbassamento della superficie rocciosa esterna, pari (almeno) ai suoi attuali 0,02-0,04 mm/anno. Così, in questo modo appare il risultato di come oggi ci si presenta il Carso come dovrebbe essere sempre interpretato nella linea spazio-tempo!
In conclusione di quanto sopra esposto, subito dopo questi sondaggi, con Ruggero stavamo progettando un ulteriore classico intervento in un’altra celebre cavità: La Grotta dell’Orso di Gabrovizza. Anche in questo caso la perforazione avrebbe dovuto iniziare dall’e­sterno, poiché qui la situazione – interna – alla cavità e relativa al suo deposito di riempimento, si presentava ottimale per la perfetta suboriz­zontalità e quindi con una migliore possibilità di ottenere una particolarmente regolare analisi della stratigrafia di tali depositi.
Per una successione di eventi e circostan­ze tutto ciò finì con un nulla di fatto! Dopo di ciò con Ruggero sull’argomento non ci fu più occasione di parlarne.
                                                                                                        Fabio Forti

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE A COMPRENSIONE ED AIUTO ALLA LETTURA DEL TESTO QUALE PROPOSTA DI STUDIO

  • (1) Carulli G.b., 2012 – Bibliografia Geologica del Friuli Venezia Giulia. Pubbl. N° 53 -Ed. Museo Friulano di Storia Naturale – Comune di Udine.
  • Calligaris r.,  Dolce s.  & Bressi  n.,   1999 –  FLYSCH Trieste tra marna e arenaria.  Comune di Trieste,  Civico Museo di Storia Naturale.
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