VARIABILITA’ D’USO DEL TERMINE PARACARSISMO
Con la presente, si intende procedere ad un’analisi delle vicissitudini, su alcune applicazioni della definizione – paracar-sismo – seguendo dei metodi di ricerca piuttosto discutibili, portando così tale termine al di fuori di un pratico utilizzo nelle – ricerche – carsiche.
Tale argomento, è stato affrontato da Fabio Forti (2002), per ricordare che fu il prof. Franco Anelli (1963), ad utilizzare per primo tale “termine”, in riferimento ad una proposta distintiva tra i fenomeni carsici, intesi come fenomeni del calcare, rispetto a degli analoghi processi, meno sviluppati, con morfologie ridotte, o contenute. Secondo l’Anelli ciò avverrebbe in presenza sia di rocce carbonatiche di poca potenza e limitata estensione, come tufi calcarei, calcari arenacei o arenarie calcaree, conglomerati o panchine sempre calcaree ed infine anche in calcari dolomitici, (non tratta delle dolomie), dove il termine paracarsismo… avrebbe un valore etimologico di vicinanza o di attenuazione. Tale definizione – paracarsismo – è stata adottata dall’Anelli su consiglio del prof. H. Lehmann, in occasione del 3° Congresso Internazionale di Speleologia – Vienna 1961, in sostituzione del termine proposto di: pseudo carsismo, utilizzato da una precedente e autorevole “scuola concettuale di carsismo”.
Infatti, già anni prima, M. Gortani (1933, 1948), con l’autorità di Presidente del primo Istituto Italiano di Speleologia che aveva sede a Postumia, e poi con quella dell’indiscusso Autore dei testi sulla geologia che riguardava i processi carsici, volle esprimere un concetto riduttivo, con il significato delle rocce semicarsiche, dove il R. Magistrato alle Acque, aveva sottolineato la differenza esistente con le Alpi Dolomitiche, la cui circolazione idrica si presentava diversa da quella del Carso Triestino. Su tali casi, il Gortani accettava l’idea che nell’ambito delle rocce dolomitiche a differenza da quelle calcaree, c’erano dei livelli sorgentiferi d’interstrato, che stavano a dimostrare la presenza di una carsificabilità ridotta, con un tipo di circolazione idrica del tutto simile, presente nelle rocce non carsiche, appartenenti alla categoria delle fessurate.
Ma i dubbi sulla diversa carsificabilità delle dolomie erano difficili da dimostrare, in quanto non si riusciva a comprendere come mai, nel regime dolomitico esiste si una scarsa appariscenza dei fenomeni carsici di superficie, caso mai si tratta in questo caso (nei regimi morfologici d’altopiano), per lo più di coperture terroso detritiche, che escludono ogni forma o presenza di strutture a Karrenfeld (campo solcato). Diversamente fu proprio l’Anelli a rimanere sconcertato dalla presenza di enormi gallerie (nelle dolomie) presenti nel Cavernone di Planina, in particolare nel Ramo Piuca (Pivka, Poik), il tutto facente parte del Notranjski Kras (Innerkrainer Karst – Carso della Carniola interiore). Ne risultava che: … non si poteva considerare tutto ciò come un fatto – attenuato – e così, tali enormi gallerie – dovevano – rientrare (assieme a tutto il resto) nei fenomeni carsici.
Giunti a questo punto viene da farsi una domanda: nel caso del carsismo dolomitico ipogeo siamo certi che si tratta solamente di un effetto di fenomeno carsico? Non ci sarà (anche) un possibile derivato morfologico in cui non c’entra la dissoluzione carsica, ma si tratta invece di erosione cioè di una consumazione fisico – meccanica?
Negli studi carsici quasi tutti gli Autori si sono orientati su un chimismo che comprende le formule: CaCO3, H2O, CO2, sbizzarrendosi poi in complesse integrazioni, per cui veniva affermato che la corrosione, meglio soluzione o dissoluzione carsica significasse l’assoluto per spiegare detta particolare fenomenologia, dimenticando che in natura esiste anche la parola ed i conseguenti effetti della: …erosione.
Per un più completo chiarimento sulla variabilità carsico – fenomenologica, F. Forti (1981), proponeva una distinzione tra carsismo diretto ed indiretto, nel significato che le acque nel primo caso, si riferivano a quelle meteoriche dirette sulle superfici carsiche ed i conseguenti meccanismi prevalentemente dissolutivi che provvedevano ad estenderle in profondità, creando pozzi, abissi, cioè cavità verticali. Nel secondo caso, si trattava delle acque provenienti invece da scorrimento superficiale su contermini terreni impermeabili, che raggiungendo poi zone calcaree e dolomitiche, penetravano in tali masse rocciose producendo però delle forti differenze geomorfologiche e tipologiche, tra i due tipi di rocce.
Come nel caso sopra citato delle grandi gallerie presenti nel Notranjski Kras, lo stesso fenomeno lo troviamo impostato, in un altro Complesso dolomitico (cenomaniano), nel Carso Classico, con il – Sistema Timavo – in particolare nelle:… Grotte di San Canziano, Abisso dei Serpenti, Grotta di Trebiciano, Grotta meravigliosa di Lazzaro Jerko, per cui la causa differenziale tra scarsità od assenza di un carsismo di superficie, nelle rocce dolomitiche ed una contraria larga presenza di un vasto carsismo ipogeo, deve essere per forza diversa.
Va ricordato che F. Forti (2002) a questo proposito così si esprimeva: … per cui le acque sotterranee di origine indiretta si sono scavate un ampio ed articolato sistema di gallerie lungo questo contatto stratigrafico ed hanno profondamente inciso proprio le dolomie, a causa della loro molto più facile erodibilità rispetto alle soprastanti rocce calcaree,…
Va considerato che, nel caso di un carsismo indiretto, quando si è in presenza della possibilità d’incontro con rocce dolomitiche, dove entra come dominante la possibilità erosiva, fino al presente, nessun autore di cose carsiche ha preso una posizione se definire di genesi carsica anche questi chiari fenomeni erosivi. Rimane così valido il concetto che la modalità dissolutiva superficiale nei complessi dolomitici è decisamente diversa dai fenomeni carsici, tipici dell’ambito delle rocce calcaree, per cui il termine di paracarsismo almeno in questi casi dovrebbe essere mantenuto.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Anelli F. (1963) – Fenomeni carsici, para-carsici e pseudo carsici. Giornale di Geologia, 31 (6): 11-25.
Forti F. (1981) – Il carsismo in una proposta di classificazione genetica. Atti 1° Conv. Ecol. Terr. Carsici, Sagrado d’Isonzo: 91-100, Gradisca d’Isonzo (GO).
Forti F. (2002) – Nel ricordo di Franco Anelli – I fenomeni paracarsici. Grotte e dintorni, anno 2 (3): 3-30, Fasano.
Gortani M. (1933) – Per lo studio idrologico e morfologico delle regioni carsiche e semicarsiche italiane. Atti del 1° Congresso Speleologico Nazionale, Trieste, 10-14 giugno 1933: 109-115.
Gortani M. (1948) – Compendio di geologia, vol II, Geodinamica esterna (Geologia esogena), Ed. Del Bianco, Udine.
Fabio Forti
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Nota della Redazione:
Sull’argomento del “paracarsismo” sollevato da Fabio non si è mai scritto molto e nel futuro si scriverà sempre meno. Le ragioni sono molteplici ma essenzialmente riconducibili a specifici motivi.
– Gli attuali indirizzi (ed interessi) della speleologia moderna sono rivolti alle cavità sotterranee in genere ed al sotto
suolo in tutte le sue versioni. Congressi sulle grotte di ghiaccio sono all’ordine del giorno ed anche l’esplorazione delle
grotte “in ghiaccio” sta creando sempre più interesse. Lo stesso dicasi per le cavità in rocce vulcaniche (le prime
relazioni risalgono al settecento). L’esplorazione sotterranea è seguita con interesse anche dalle strutture archeologiche che vedono negli speleologi i pionieri di nuove scoperte di reperti e, perché no, di sterratori e di preparatori delle sezioni degli scavi. Sono attive molte stazioni preistoriche e protostoriche gestite parzialmente da gruppi speleo, e questo per noi è un onore (in questo numero di Progressione è riportato un poster complesso, presentato ed accettato, sul contributo della CGEB alle ricerche archeologiche).
Anche il mondo ipogeo artificiale richiama l’interesse dei grottisti e soprattutto attrae storici, aziende pubbliche e turi-stiche.
Le grandi attrazioni speleologiche dal punto di vista esplorativo riguardano anche i tepuy venezuelani dove la roccia è essenzialmente quarzite o arenaria a cemento di quarzo: nel caso delle quarziti c’è addirittura l’intervento della dissoluzione incongruente, sempre ignorata dai carsologi, e della solubilità specifica della silice amorfa. Che dire?
Personalmente mi sono occupato di miniere in suolo carsico, dove il concetto di paracarsismo diviene estraneo poiché ininfluente, ed anche qui è vivo l’interesse speleologico. Negli ultimi Convegni speleo e in alcuni programmi RAI ci hanno fatto rivivere le meraviglie dei grandi cristalli della famosa miniera messicana: un caso dove cristallografia, mineralogia e chimica-fisica colpiscono l’interesse degli speleologi.
Numerosi sono gli studi dell’influenza del termalismo sulla speleogenesi.
È evidente che in questo contesto le differenziazioni legate a diversa composizione della roccia carbonatica destano oggi un interesse relativo in quanto non ritenuto fondamentale per l’inquadramento speleogenetico dei grandi sistemi sotterranei.
Ma il tema specifico calcari-dolomie non è mai stato comunque completamente affrontato, né risolto.
Siamo costretti a rivolgersi al Bianucci e Ribaldone (1985 – La chimica delle acque sotterranee – Hoepli) per un esame neutrale. “…/ pareri sono discordi e anche le spiegazioni … sono raramente convincenti”. Secondo Bianucci e Ribaldone c’è confusione tra solubilità di un calcare dolomitico e velocità di dissoluzione, ovvero tra equilibrio e cinetica.
Gli stessi AA non concordano assolutamente sulle differenze tra la semplice dissoluzione fisica (esempio lo scioglimento dei gessi) e l’attacco chimico: “… la dissoluzione di un elettrolita non è un fenomeno chimico ma chimico-fisico dipendente sia dalle leggi dell’equilibrio sia da quelle della cinetica…”. L’esperienza dimostra comunque che nelle acque provenienti dai calcari dolomitici il rapporto Ca/Mg varia anche di molto. E quindi il problema è tuttora aperto, e penso che lo rimarrà ancora per lungo tempo.
Per la Redazione: Enrico Merlak