Bambole del saldame e depositi di sabbia quarzifera: un nuovo filone di ricerca della Commissione Grotte E. Boegan sul Carso triestino
Dopo le prime indagini sui sedimenti della Grotta Cinquantamila di Padriciano sono continuati, anzi incrementati, e con successo, gli studi sulle formazioni di saldame volgarmente definite “bambole di saldame” oppure “bambole del Loess” oppure ancora “bambole di grotta”. Dopo le visite alla grotta Omar di San Pelagio e ad un’altra presso il cavalcavia di Fernetti, è stata la volta di tre cave presenti tra Monrupino e Rupingrande, cave piene zeppe di sabbie gialle ad elevato contenuto di quarzo, ossidi di ferro e fillosilicati. E di depositi simili ce ne sono altri, molti non rilevati assolutamente, né descritti dalle carte geologiche ufficiali. Sembrerebbe che il fenomeno sia stato volutamente ignorato per impossibilità di una decifrazione precisa. Le ricerche si sono concentrate sulle bambole, perché e come si formano, perché cambiano di forma, qual è la composizione mineralogica, se sono semplici concrezioni o frutti di erosioni differenziate e ancora strutture simili a calcretes. Certamente c’è uno stretto legame con la geo-stratigrafia del Carso triestino. Ma soprattutto quale legame c’è con il carsismo locale e con la geologia locale? E con la paleo-idrografia carsica? Sul posto continuano i rilevamenti e la raccolta sistematica di campioni, raccolta che deve essere limitata allo stretto necessario. Infatti queste aree, studiate con attenzione dalla CGEB, costituiscono dei veri e propri “geositi del Carso” che dovrebbero mantenere il più possibile le caratteristiche speciali (geo-chimiche e geo-morfologiche) che le caratterizzano. Quindi raccogliere i campioni con estrema attenzione, limitandosi all’essenziale e non esaurire il geosito. La faccenda è però più complessa: ci attendono altri campionamenti, stratigrafie dei sedimenti, verifica delle granulometrie, sezioni lucidi e sottili della bambole per l’immancabile studio micro-morfologico, composizioni mineralogiche, ed altro, se si potrà. Un settore limitato, ristretto, ma inesplorato della ricerca carsica del nostro territorio. Ma anche un settore della ricerca scientifica italiana non ancora ben esplorato. Le ricerche sono al momento condotte congiuntamente da Michele Benedet e da Enrico Merlak con l’aiuto del Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università degli Studi di Trieste
Michele Benedet – Enrico Merlak
Consegnato il 10 aprile 2014
NUOVE RICERCHE SULLE “BAMBOLE” DELLA “CINQUANTAMILA” 3978 VG GROTTA A SW DI PADRICIANO
PREFAZIONE
Nel mese di febbraio del 2013 è stata rivisitata la grotta delle “Cinquantamila” con lo scopo preciso di effettuare alcuni limitati prelievi di bambole presenti sul fondo. Nel corso dell’esplorazione a circa 70 metri di profondità, più precisamente nella caverna finale, è stato individuato un cumulo di sabbia in cui le bambole sono presenti in varie dimensioni e forme.
BREVI CENNI SULLA CAVITÀ
Sul margine di un vasto prato, a 300 m dall’uscita della Galleria “Carso” della nuova sopraelevata, a circa 350 m in linea d’aria dalla Grotta di Padriciano (12 VG), ad una quota di 357 m s.l.m., è ubicato l’ingresso della cavità 3978 VG denominata “grotta Cinquantamila” o “Grotta a SW di Padriciano” ed in fine, in gergo “grottistico”: “Grotta della bale”.
Profonda 73 m e con uno sviluppo di 300 m, ricca di speleotemi e di caratteristiche geo-morfologiche particolari, è una cavità tra le più affascinanti del Carso triestino, e meritevole di essere considerata un geosito carsico.
STORIA DELLA “CINQUANTAMILA”
La grotta prende il nome dal denaro che la Commissione Grotte dovette sborsare nel gennaio del 1959 a titolo di caparra al proprietario del fondo per ottenere il permesso di effettuarne la disostruzione e l’esplorazione, e a condizione della sua immediata chiusura ad esplorazione finita.
Dopo questa esplorazione ne seguirono altre, ogni volta concluse con la richiusura dell’entrata.
Difficile da ritrovare, scomoda da riaprire, ancor più scomoda da richiudere, contesa tra speleologi e proprietario, con il tempo fu dimenticata.
“Una grotta dimenticata” fu il titolo di un interessante articolo che uscì a nome di Franco Gherbaz sul numero 11 di Progressione nel 1983. L’autore dell’articolo era anche colui che aveva rilevato la cavità nel febbraio del 1959.
Ed in effetti di una grotta dimenticata si tratta.
Durante l’esplorazione del 1959 gli speleologi furono sorpresi, per non dire esterrefatti, dalla scoperta di antichi lavori di adattamento tra i quali: gradini artificiali, una vasca di raccolta di acqua di stillicidio, resti di costruzioni metalliche e lignee, riconducibili a ripiani e scale a pioli, tracce di escavazioni con attrezzi e mine nel pozzo finale.
È probabile che si trattasse di lavori eseguiti nell’ottocento, nella lunga fase di ricerca dell’acqua per il rifornimento idrico di Trieste.
Purtroppo gli archivi storici non contengono dati che si riferiscano a questa cavità.
L’ipotesi che si trattasse di una grotta indagata è confermata dal rinvenimento, sulla parete del pozzo principale, di una scritta scolpita “E. W. 1866”.
Come già ipotizzato da Franco Gherbaz, la “W” può ricondurci all’ing. Wallon che all’epoca operava proprio sul Carso per la ricerca di siti favorevoli al ritrovamento dell’acqua.
Nel citato articolo di Progressione si indicava specificatamente la presenza di sabbie silicee, con numerosi pisoliti, alcuni di dimensioni notevoli (200 mm di diametro), confuse (o forse non) con le cosiddette “bambole del saldame” o “bambole di grotta”.
E sono proprio le “bambole di grotta della Cinquantamila” di cui stiamo trattando nel presente articolo.
LE BAMBOLE
Le bambole raccolte sono state fotografate, misurate, pesate. È stato calcolato il peso specifico medio e sono state eseguite fotografie, in ingrandimento, delle sabbie silicee che rappresentano la componente essenziale delle bambole stesse. Una particolare attenzione è stata data alle zone di congiunzione delle sfere che compongono le bambole complesse antropomorfe, attraverso un sistema di fotografia ad ingrandimento.
Delle sabbie sono stati inoltre rilevati i gradi medi di sfericità ed arrotondamento. I dati saranno pubblicati in una prossima relazione tecnico-scientifica.
Lo scopo della ricerca è quello di:
• dare un preciso indirizzo ai ricercatori per l’individuazione dell’origine delle sabbie silicee che compongono le bambole attraverso la caratterizzazione mineralogica e l’indagine granulometrica delle sabbie stesse;
• definire il meccanismo di formazione delle bambole attraverso il processo di agglomerazione o che altro sia;
• definire la struttura ambientale che ha portato alla formazione delle bambole in determinate cavità;
• individuare i rapporti con la geologia esterna, in particolare con la formazione del flysch stratigraficamente sovrastante la compagine calcarea.
Le bambole della grotta ”Cinquantamila “ sul Carso triestino non sono mai state studiate in modo approfondito. E non sono state studiate nemmeno le altre trovate sporadicamente in diverse cavità dell’altipiano.
Il motivo è riconducibile al fatto che questo tipo di agglomerato (se di agglomerato si tratta, ma forse è meglio utilizzare il termine concrezione) è stato per molti anni, e da molti ricercatori e studiosi di carsismo, considerato come una semplice “curiosità geologica”.
Si tratta di concrezioni sabbiose, costituite prevalentemente da quarzo. Il cemento calcareo è minimo da un punto di vista quantitativo rispetto al peso della silice e nei campioni raccolti sul fondo della “Cinquantamila” la calcite è presente nell’ordine del 5% circa (e anche meno) del peso complessivo della bambola.
Secondo qualche studioso queste concrezioni si formerebbero per cementazione della sabbia silicea da parte del carbonato di calcio attraverso la percolazione delle acque circolanti all’interno dei sedimenti.
La teoria generale si basa sul fatto che quasi sempre le bambole sono rinvenute e raccolte in cavità sotterranee, in caverne o negli anfratti di roccia calcareo – dolomitica.
Un esempio fuori casa è fornito dalle bambole a complessa struttura antropomorfa di Travenanzes (Travenanzes – Puppen) trovate in corrispondenza di anfratti e grotte ma anche sui pendii montuosi (da: “La grotta delle Conturines e l’orso ladinico di Rabeder G., Frischauf C. e Withalm G. – Editore Consorzio turistico Alta Badia”).
Simili strutture sono state raccolte e studiate nei pressi del livornese e nell’area tra Moncaglieri e Cambiano (Piemonte) dove sono conosciute dai contadini col nome di poupées o bambole di terra, ma in questo caso la composizione è diversa.
Le bambole sono conosciute e diffuse anche in Francia (famose le sculture di Fontainableau che sono oggetto di esposizione museale).
Formazioni simili alle bambole sono diffuse in Messico, nel Texas e nell’Arizona, conosciute qui con il nome di “Caliche”.
Morfologicamente simili, ma diverse per composizione e struttura, sono le “Navajo Sandstone concretions” nella Stato dello Utah.
Per quanto riguarda il nostro territorio si tratterebbe in effetti di agglomerati, conseguenti ad aggregazione progressiva di particelle solide non solubili o scarsamente solubili (quasi sempre quarzo miscelato con feldspati, miche, ossidi di ferro e minerali pesanti) che indicano generalmente una evoluzione pedogenetica matura ma con differenze anche sostanziali da luogo a luogo e da minerale a minerale, sia per granulometria sia per composizione specifica.
Il che vuol dire che le bambole possono essere di diversa composizione e di diversa forma ma possono avere anche origini differenziate da luogo a luogo.
In passato queste strane formazioni rinvenute in alcune cavità del Carso venivano chiamate genericamente e impropriamente “bambole del löss” e successivamente “bambole di saldame” e “bambole di grotta”, in riferimento ai depositi clastici omogenei agglomerati e cementati in profondità in forme particolari, generalmente sferici ma anche a struttura zoomorfa o antropomorfa.
Queste definizioni riflettono un po’ l’incertezza da parte degli studiosi, conseguente a mancanza di indagini accurate sulle particelle, grado di sfericità ed arrotondamento, struttura dei cristalli, composizione mineralogica, granulometria, ecc.
Va precisato che da un punto di vista mineralogico le bambole di grotta del Carso triestino, se si esclude il cemento, hanno comunque una composizione che ricorda quella del cosiddetto “saldame” presente in Istria (Croazia).
LE “BAMBOLE” DELLA “CINQUANTAMILA”
Le bambole della “Cinquantamila” sono pseudo-agglomerati formati da quarzo, feldspati, ossidi e idrossidi di Fe, Al e Mn, minerali pesanti, probabili biotiti e fillo – silicati in genere, e tracce di argille di neoformazione, ed il tutto cementato da poco carbonato di calcio che, nel caso, funge da legante in un unico blocco cristallino.
Sono da sferiche (singole) ad antropomorfe (costituite da più sfere saldate assieme).
Il diametro varia mediamente da 15 mm a 60 mm ma può raggiungere anche i 200 mm e più.
Strutturalmente sono relativamente fragili e possono essere demolite facilmente.
Il peso specifico varia tra 2,30 e 2,40.
Sul meccanismo di formazione se ne sa poco o quasi nulla.
Attualmente i campioni di sabbia di alcune bambole raccolte sul fondo della grotta sono in fase di esame ed analisi da parte di alcuni laboratori del Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università di Trieste.
In particolare le prime granulometrie, con le curve mediane e cumulative, sono state eseguite dal tecnico operatore Maury Bussi per gentile concessione di Franco Cucchi e di Furio Finocchiaro, responsabile del laboratorio, utilizzando il sistema di difrattometria laser.
Le analisi difrattometriche ai raggi X e le analisi chimico-fisiche e al microscopio elettronico per l’individuazione precisa dei minerali pesanti e dei cristalli in genere sono in fase di esecuzione presso il laboratorio di Geochimica e Mineralogia, da parte di Davide Lenaz e Matteo Velicogna, per gentile concessione di Francesco Princivalle.
Di una bambola è stata eseguita dal tecnico Lorenzo Furlan, presso lo stesso laboratorio di Geochimica e Mineralogia, la sezione di una sfera del diametro di 20 mm, e successivamente una sezione sottile, perfettamente riuscita nonostante la fragilità di queste strutture. Lo studio in dettaglio della sezione sottile consentirà di meglio identificare le caratteristiche minerali e strutturali dei granuli e della calcite inglobante il tutto.
Le bambole sono state raccolte sul posto, nella misura e quantità strettamente necessaria alle analisi, da Michele Benedet, che ha effettuato l’esplorazione con uno studio parziale della geomorfologia della cavità portando in superficie anche alcuni campioni di argille e di concrezioni delle bambole maggiori, non trasportabili in superficie.
Le fotografie in ingrandimento sono state eseguite da Enrico Merlak che ha rilevato anche le dimensioni, i pesi ed i gradi di arrotondamento e sfericità delle particelle che compongono le bambole.
Si tratta di una ricerca complessa, appena iniziata, forse la prima in assoluto condotta in questo specifico settore con i criteri che mirano a definire esattamente composizione, provenienza dei materiali e soprattutto meccanismo di formazione.
A questa dovrebbe seguire un’indagine su tutto il territorio carsico per l’individuazione e la mappatura di altri siti sotterranei contenenti le bambole.
Resta il fatto che per la presenza di queste bambole antropomorfe la cavità può essere considerata un importante geosito del Carso Classico da proteggere, di particolare interesse per lo studio dell’evoluzione del territorio.
Michele Benedet ed Enrico Merlak