2013 – Dissoluzione ed erosione

 

DISSOLUZIONE ED EROSIONE

Sul n. 4 di “Cronache ipogee” (2012), è apparso uno scritto di Rino Semeraro: “Alfred Boegli: uno dei grandi…della speleologia mondiale”. Se vogliamo ulteriormente precisare, i principali “motivi” della sua notorietà in campo “speleologico” ma direi anche “carsologico”, vengono dalla definizione dei “Karren”, dalla “Mischungkorrosion” e, soprattutto dall’esplorazione, studio, rilievo, dell’esteso sistema carsico della “Hoelloch” nella Muontal (Svizzera).
Ho avuto diversi incontri con il Boegli e nel corso di molti anni ci siamo ritrovati in convegni, escursioni, dove ho potuto cogliere il suo pensiero sui fenomeni carsici, di cui tratterò alcuni condizionamenti e conseguenti problemi.
1970, eravamo a Obertraun, ai piedi del Dachstein (Austria), ad un Convegno dell’Union International de Spéléologie, indetto per la definizione delle “terminologie carsiche” (circa 300 voci), da discutere e confrontarne il significato nelle varie lingue dell’Unione. C’erano tedeschi, austriaci, francesi, jugoslavi, rumeni, oltre a Boegli(svizzero) ed il sottoscritto che rappresentava l’Italia. All’apertura dei lavori prende la parola il Boegli, che ovviamente tutto in tedesco, afferma categoricamente che la lingua “d’uso” per lo studio dei fenomeni carsici è …quella tedesca e quindi nel corso della settimana di riunioni, si dovrà tenere per base certa, quella lingua. Seduto vicino a me, c’era Bernard Géze (francese), che fece un istintivo scatto, a questa gratuita affermazione, ma dato che la maggioranza presente era di lingua tedesca o la sosteneva, ai “franco-italiani” non restò altro che “subire”, tale soperchieria!
Si fecero anche alcune escursioni, sia in grotta che sugli altopiani carsici del Dachstein, dove il Boegli, illustrava la capacità che ha la lingua tedesca nel definire morfologicamente tutte le così dette “piccole forme di corrosione”. Partendo dalla parolina karren a cui veniva aggiunto, un po’ tutto ciò che si vuole (rinnenkarren, rillen, hohl, kluft, wand, regen, etc.). A questo proposito, anni dopo ci trovammo in un altro convegno internazionale, questa volta sul versante (jugoslavo) del Monte Canin e, tra i tanti “personaggi”, c’era anche l’inglese Marjorie M. Sweeting. Su un vasto affioramento roccioso, dove erano presenti numerose e variabili micromorfologie, Boegli teneva “banco”, sciorinando tutta la varia nomenclatura, tra cui comparve anche il… Nasen Karren (Karren a “naso”). A quel punto assistemmo ad una scena che fece scoppiare dalle risa tutto quel serio convegno internazionale di studiosi di carsismo. Il prof. Hubert Trimmel di Vienna ad un certo momento disse: Vi segnalo un nuovo tipo di Karren. Lo guardammo con curiosità e lui, sedendosi su di un affioramento roccioso, aggiunse: …und das ist ein Sitz Karren (e questo è un “Karren a sedere”). La più contenuta risata la fecero i francesi. Questa mania di classificare gli “oggetti” del carsismo a tutti i costi, se poteva costituire una necessità, chiamiamola geografica, non lo era sicuramente geologica. Tali “microforme” nella realtà, sono estremamente variabili a seconda delle caratteristiche litologico-petrografiche, stratigrafiche e deformative del complesso roccioso carbonatico ove sono presenti. Ma il Boegli era un chimico e non un geologo!
Parlando di teorie speleogenetiche dopo Antonio Marussi e la sua teoria del carsismo sotto copertura alluvionale, e dopo Walter Maucci, con quella dell’erosione inversa, detta anche “teoria dei fusi” (a quel tempo scherzosamente definita come la teoria del “Fusjama”), comparve finalmente Alfred Boegli con la “corrosione per miscela d’acque”. Fa sempre molta impressione quando vengono espresse delle formule chimiche, soprattutto se complicate e leggibili solo dagli specialisti; immaginatevi poi se vengono considerate da “speleologi”, che solitamente diffidano dalle complicazioni teoriche: a loro bastano le difficoltà che gli vengono offerte a piene mani da Madre Natura.
Per sommi capi si tratta di un principio, purtroppo diffusamente presente in tutte le “teorie” speleogenetiche del pianeta, che: “le cavità carsiche sono dovute soprattutto alla corrosione”, il resto… a che cosa? Nessuno te lo dice e rimane così anche una profonda indecisione sulla loro genesi. Per Boegli dunque il drenaggio ipogeo è conseguenza della solubilità della roccia, per cui la conoscenza approfondita dei processi di dissoluzione è fondamentale per capire la formazione e l’evoluzione delle gallerie sotterranee. Il tutto si risolve con la nota formula:
                               CaCO3 + CO2 + H2O = Ca++ + 2(HCO3)-
E da questa “conclusione” (genetica) si scatenano tutte le considerazioni sulle “variabili” al sistema comprese quelle della “corrosione per miscela d’acque”, del Boegli.
Interessa invece indicare una serie di considerazioni d’ordine “geologico” di cui non si fa – mai – il minimo cenno, eppure costituiscono la base per comprendere l’evoluzione del processo carsico, nel suo complesso!
Innanzi tutto il calcare è una roccia, che significa un aggregato di minerali in cui non vi è il solo CaCO3. Secondo e fondamentale punto da valutare molto attentamente, la “roccia” è costituita da una massa di cristalli di calcite di dimensioni variabili da un minimo di 1-4 micron (micriti), a cristalli millimetrici (spariti) e fino a centimetrici, dove la velocità dissolutiva è massima nei primi, minima nei secondi (da 4 a 1 fino a 10 a 1). Calcari puri al 100% non esistono proprio, il contenuto in sostanze diverse, che da un punto di vista volumetrico è molto variabile e per lo più è dato dal residuo insolubile dove frequente è anche la presenza di SiO2. In molti casi tale “residuo” può funzionare da rallentatore o modificatore del processo carsico ipogeo, ma non è ancor molto chiaro, capire “il come” ciò avviene!
Inoltre, tutte le rocce calcaree, essendo sedimentarie, sono stratificate con frequenze (potenze) variabili da pochi mm a molti metri. Intercalate nelle successioni stratigrafiche, si alternano brecciature, brecce sinsedimentarie, alternanze con rocce dolomitiche. Nelle lunghe indagini stratigrafiche eseguite sul Carso triestino (Carso Classico) sono stati evidenziati oltre un centinaio di litotipi carbonatici calcarei, con continue variazioni laterali e verticali di facies. Aggiungete a tutti questi “ingredienti”, la frequenza, anche questa estremamente variabile, dei piani di fatturazione e di faglia del complesso roccioso ed avrete una realtà alquanto diversa da una semplice formula chimica in cui generalizzare il “fenomeno carsico”. È indispensabile ancora considerare, che solo alcuni “sistemi” di fatturazione risultano “beanti”, a causa di strutture tettoniche “distensive” e, solamente in corrispondenza di questi sistemi può iniziare o aver luogo, la così detta dissoluzione o soluzione carsica.
Va ancora valutata la linea “tempo”, che per la genesi e l’evoluzione di qualsiasi sistema carsico ipogeo, si misura in milioni di anni. Infine le grotte o cavità della tipologia a sviluppo sub orizzontale, sono dei “relitti” di assai più estesi sistemi ormai scomparsi per l’abbassamento dissolutivo, per molte centinaia di metri, anche delle superfici carsiche. Per quanto riguarda il “livello di base carsico”, questo è un’altra variabile condizionata dal “livello del mare” che nel corso della storia geologica del nostro pianeta, ha oscillato di centinaia di metri e non certo per causa dei così detti “periodi glaciali”, dei quali nelle grotte del Carso Classico, non si è trovata la minima traccia!
Ma il punto dolente di tutte le teorie (o ipotesi) sul processo carsico, è un altro, negletto o semplicemente dimenticato, e da certuni anche rifiutato: l’erosione! Si tratta del grandioso fattore di consumazione “meccanica” di tutti i corsi d’acqua, compresi quelli ipogei. Fattore questo di prevalenza del consumo operato dalle acque, che trascinano sassi, massi di varia natura e dimensione.
Con l’invito di consultare la bibliografia citata in calce, sulla base di misure micrometriche al fondo della Forra del Torrente Cosa (Pradis – Clauzetto) nelle Prealpi Carniche e solo per fornire un esempio, nel corso delle varie piene del torrente, si sono avuti degli abbassamenti erosivi molto significativi. Ma allora dove vanno a finire tutte le altre cause “dissolutive”, come si fa a misurarle per differenza, quando risulta chiaramente determinante l’azione “erosiva”? Dove cessa il “fenomeno carsico” o si aggiunge ad esso qualcosa d’altro?
Forse non tutto è stato capito, o non si è voluto affrontare? Eppure le misure micrometriche non sono astrusi calcoli a tavolino, ma di lettura strumentale diretta, per differenza periodica, quindi tali “valori”, inoppugnabilmente “esistono”!
                                                                                                      Fabio Forti

BIBLIOGRAFIA

Forti F. (1998) – Il ruolo dell’erosione nel “carsismo indiretto”. Studi nella Forra del Torrente Cosa. “Sot la Nape”, (3), Sett.1998, Soc. Filol. Furl.: 49-52, Tavagnacco (UD).
Forti F. & Herbreteau P. (2002) – Ricerche sulla dissoluzione-erosione carsica nella stazione di Pradis (Prealpi Carniche). Ciaurlèc La Mont di Turié. 1996-2002 Attività e ricerche condotte dal Gruppo Speleologico Pradis: 149-157, Spilimbergo (PN).
Forti F., ConCina G., & Gerometta r. (2003) – Osservazioni sulle misure nelle stazioni per le consumazioni delle rocce poste nella forra di Pradis, con particolare riferimento alla piena del torrente Cosa registrata il 5-6 giugno 2002. Progressione 48, anno 26, (1): 63-68, Trieste.
ConCina G. & Forti F. (2010) – Considerazioni geomorfologiche sulle consumazioni erosive nella “Stazione della Forra di Pradis” (Prealpi Carniche) . Progressione 57, anno 32, (1-2), gen.-dic. 2010: 117-119, Trieste.