Pozzo del CHIODO

 

POZZO DEL CHIODO (SISTEMA GORTANI) CON NUOVI OCCHI…

Pendolo sul P. 50 (foto C. Michieli)

Guido è ritornato in grotta in Canin! A rendere possibile questo “evento” son stati, il solito Mario e Diego.
Il primo, per tutto l’inverno l’ha tartassato con l’idea di ritornare all’abisso del Chiodo per vedere quel finestrone sul 118…, il se­condo, a marzo ha partecipato assieme a un gruppetto di giovani al corso di speleologia e perciò, quale occasione migliore per or­ganizzare un Campo estivo al bivacco DVP con l’intento di “istruire” i nuovi “Gamei”.
Io e Cristina, non potendo prender ferie tutta la settimana, ma desiderando raggiun­gerli, il martedì strappiamo sul lavoro due giorni di libera uscita e il giorno seguente saliamo in Canin. Raggiunto il bivacco a ora di pranzo, troviamo ad aspettarci, oltre a Guido, Mario, Refe, Diego, Igor e Stefano, anche Petri, Ragno e Vasco. Che bella sorpresa! Pranziamo tutti assieme e poi non riuscendo a resistere alla tentazione di scen­dere in grotta, convinco Cri, Refe e i Gamei a entrare con me.
È la prima volta che scendo al Chiodo, una grotta che morfologicamente è una forra che scende a balze fino a -200 m. Scesi lungo le corde, attrezzate il giorno precedente dagli altri, arriviamo presto all’ul­timo spit piantato a mano, come ai vecchi tempi, da Guido e Mario e inizio ad armare col trapano fino alla partenza del pozzo da 45 m, dove invertiamo la marcia per uscire in tempo per la cena.
La serata tra amici, in bivacco, illuminati dalla fiamma della lampada a carburo, passa gioiosa, tra chiacchiere di ieri e di oggi. La mattina seguente ci prepariamo ad entrare in grotta scaglionati, in modo da evitare lunghe attese sui pozzi. L’obiettivo è di raggiungere il pozzo da 118 e cercare di arrivare a quel finestrone tanto decantato da Mario.
Io scendo per primo, per continuare ad armare, assieme a Mario e Vasco. In poco tempo, arrivo alla partenza del 45, dove sono costretto ad attrezzare un lungo pendolo,per evitare una grossa cascata che scende proprio sulla verticale, dove ci sono piastrine e moschettoni che testimoniano le vecchie esercitazioni del soccorso che si sono svolte in questo abisso.
Scendendo il pozzo mi accorgo che non è profondo 45 m come diceva Mario, ma piuttosto 60 m, per fortuna abbiamo corde in abbondanza. Arrivato sul fondo, parte un grosso me­andro che percorriamo sul fondo fino ad arrivare a un salto da 10 m che termina in una piccola sala bloccata da dei grossi bloc­chi di frana che formano quasi una parete.
Alla base di questa frana c’è una strettoia che dà accesso a un nuovo meandro stretto in struttura di ringiovanimento, secondo i ricordi di Mario, dovremmo scendere da quella parte e arrivare presto al pozzo da 118. Passo la strettoia e percorro diverse strozzature scendendo per una quindicina di metri fino al fondo, dove, dopo aver percorso circa venti metri mi trovo davanti a un salto non arrampicabile, che non è il pozzo che sto cercando e perlopiù ho perso quella corrente d’aria che mi aveva accompagnato fino alla sala. Mi fermo, mi guardo bene attorno e su una parete leggo, scritto col carburo: FOX, LAZI, PAP. Mario si è confuso e questa non è la strada giusta.
Ritorno dagli altri che mi aspettano nella sala con la frana e mentre Vasco inizia a risalire in corda per uscire e Mario è già con la maniglia in mano che aspetta la corda libera per salire io mi arrampico per 10 metri su quei grossi blocchi di frana, raggiungo la loro sommità ed ecco che mi si presenta un bel regalo, la grotta continua….
Mi faccio lanciare una corda da Mario che dopo vari tentativi a vuoto ce la fa.
Recupero trapano e piastrine per fissare la corda e faccio salire anche Mario che si congratula con me per la difficile arrampicata su massi verticali, lisci e scivolosi perché sporchi di fango, che ho superato in libera senza protezioni. Scendiamo dall’altra parte di questi mas­si ed entriamo nel meandro, un’emozione enorme, siamo in esplorazione! Mentre Mario si ferma all’imbocco io inizio a percorrere questa enorme forra fossile col soffitto inclinato e della quale non riesco a scorgere il fondo.
Procedo arrampicando in opposizione tra le due pareti del meandro, superando tratti molto esposti, per circa cinquanta metri e mi fermo davanti a uno slargo dove sento in lontanananza il rumore di una cascata. Lancio una pietra, conto i secondi che ci impiega ad arrivare sul fondo, mi fermo a 12, poi, un gran boato.
Per oggi può bastare, sono solo e non ho nessun tipo di materiale, faccio dietro front, raggiungo Mario, gli racconto tutto e usciamo, felici della nuova scoperta.
Al mattino seguente io e Cri ci alziamo presto, dobbiamo prendere la prima funivia e rientrare a Trieste per esser sul lavoro alla 12 ma già progettiamo di ritornare al bivacco, entro lunedì, ultimo giorno del campo.
Domenica 14 finisco di lavorare alle 7 del mattino, Cristina mi passa a prendere e partiamo per raggiungere gli altri in bivacco, che nel frattempo si è popolato, perché se il campo dei Gamei accompa­gnati da Guido, Mario e Refe sta per con­cludersi, quello di Cavia, Gino e Totò sta iniziando e poi in tanti hanno approfittato dell’occasione per passare due giorni in compagnia in Canin.
Al pomeriggio, dopo aver riposato un po’ convinco senza troppa fatica Cri, Refe, Toffi, Tonza e Tulietto a entrare con me al Chiodo e così, verso le 18, siamo pronti ed entriamo in grotta. Scesi i pozzi velocemente, in breve tempo siamo nuovamente nella sala da­vanti i blocchi di frana, qui, Tonza e Toffi invertono la marcia e ricominciano a risalire per guadagnarsi l’uscita mentre io e gli altri risaliamo la frana per dare un’occhiata al nuovo meandro.
Non appena scendiamo i massi e siamo all’imbocco del meandro sentiamo la forte corrente d’aria gelida che lo percorre, do­po un paio di curve Cri, Refe e Tulietto si fermano, impressionati dal posto, mentre io proseguo, superando il punto in cui mi ero fermato qualche giorno prima.
Ora le pareti del meandro si allontanano e proseguo in spaccata con i piedi in ade­renza sul liscio fino ad arrivare sul bordo di un pozzo, non mi sembra sia possibile con­tinuare e non vedo se il meandro prosegue dall’altra parte, si dovrà scendere in corda. La partenza del pozzo misura due metri per cinque, lancio un masso giù, lo vedo scendere per trenta metri, poi supera una strozzatura e cade, credo per una quarantina di metri, lo sento rimbalzare e poi proseguire la sua discesa nel vuoto.
La voglia di vedere dove ci porterà que sto pozzo è tanta, ma per questa volta può bastare, ritorno dagli altri e risaliamo i pozzi verso l’uscita. Sbucati all’esterno ci saluta un cielo pie no di stelle, che emozione ogni volta che si esce da una grotta sotto un cielo così bello. Raggiunto il bivacco facciamo festa, quattro generazioni di speleo sono raggruppate in un piccolo bivacco ai piedi del Canin a progettare nuove esplorazioni.
Purtroppo da quel giorno, per svariati impegni, non siamo più riusciti a ritornare al Chiodo, ma l’estate si sta nuovamente avvIcinando ed il pozzo è lì che aspetta che lo scendiamo, ritorneremo tutti assieme perché le emozioni e l’entusiasmo delle esplorazioni va condiviso con i compagni del proprio gruppo. A presto abisso!!
                                                                                                        Gianni Cergol