2012 – Davorjevo Brezno

SLOVENIA: LUNA PARK ACQUATICO SOTTO CACITTI

(foto P. Gedei) – Cascatelle nella forra

“L’uomo alato preferisce la Notte” (scritta su un muro a Montevideo)
“…il canyon andava via nell’oscuro di sempre…”: così terminava il racconto, pub­blicato sull’ultimo Progressione, delle nostre scorribande dietro casa al Davorjevo Brezno, sistema acquatico ipogeo che la fortuna, la perseveranza e qualche colpo d’occhio giusto (experience! direbbe qualcuno che co­nosco…) ci avevano permesso di esplorare per vie sconosciute ed elettrizzanti. Una volta costatato che la grotta proseguiva clamoro­samente in una forra di rara magnificenza, ci eravamo posti il problema che le esplora­zioni post-sifoncino non sarebbero terminate subito, e che quindi muoversi in meandro, scendere pozzi, arrampicare e strisciare con la muta addosso, fosse stata un’oggettiva rottura di palle. Tentammo quindi un trucco, fin troppo ovvio: 80 metri prima del sifone saliva un camino che sembrava fatto apposta per svolazzare per rami fossili e poi planare nella sala “Marega Smarna” all’asciutto, con il sifone alle spalle. Salì Louis distribuendo attacchi e precauzioni, dopo una ventina di metri il camino da una parte si allargava e proseguiva verso l’alto (ed è anche un bel posto) e da una parte invece una costa di calcare faceva un’ansa da cui partiva un cunicolo concrezionato, verso le zone attese. Sorrisi d’intesa e strizzate d’occhio preludevano alla vittoria, scesi io un saltino di pochi metri entrando in una bella sala, ad occhio stavamo per arrivare, ancora una verticalina meandriforme tra fango e concrezioni ed eravamo pronti a guardare di sotto, cercando i materiali lasciati nella sala. Macchè! Quel porcello di meandrino s’intoppava nel fango e in posti ristretti, mentre noi di sicuro stavamo grufolando a pochi metri dal passaggio giusto, doveprobabilmente riusciva a fluire solo l’acqua e l’aria. Pensate voi che tra l’incazzo e la poca voglia, non solo non tornammo più lì, ma il pezzo non è ancora rilevato. Io oggi dico ed affermo (sto scrivendo con la febbre, era o non era Celine che diceva che la vita a 37° è banale, che bisogna andare a 40° per capire il flusso di ‘sta troia, la vita!?!?) che là bisogna tornare, per terminare la risalita e magari tentare di fare un piccolo traverso nella saletta, credo non farebbe schifo a nessuno entrare al Davorjevo finalmente senza la gomma addosso.

Partenza del P.30 a -200 (foto P. Gedei)

Ma andare di muta probabilmente dà qualcosa di epico, d’inusuale, ed allora dacci a sguazzare dentro, che come ho già detto è anche bello e comodo a stravaccarsi nelle pozze. E l’explo? Eravamo fermi su un saltino lucido di spruzzi d’acqua, tanto che organizzammo una punta mettendo in campo la crema (marza…) della CGEB. E allora: davanti – con truffa – io e il Pupo ad armare un pozzo a testa “sputtanandoci” a vicenda per la scelta degli armi), dietro Louis e Spartaco a rilevare e tutti inseguiti da Gedei e Ines a tirar foto in presa diretta, e se conoscete Peter Gedei sapete di che foto parlo. Andammo, salto dopo salto, increduli per lo spettacolo che ci si apriva davanti, e non finiva, perfino Davide tornava in pace con la speleologia dopo tanto tempo e – botta di culo – le corde terminarono a pelino del lago sifone finale, a -280 m. Sostammo in gruppo su un promontorio sabbioso che discendeva nel lago, fondo e nero, dove adagio ci ficcammo dentro a nuotare, anni che non si facevano ‘ste zozzerie! Esplorazioni del genere ti riconci­liano con la speleologia degli scavetti e dei vuotamenti di water carsici, offendetevi pure se vi riconoscete dediti all’idraulica igienica grottarola. Quel giorno magico fu fissato per sempre, grazie ai nostri abbracci ed alla macchina fotografica di Peter.
Verso fine Marzo organizzammo un altro giro corposo, suddivisi in varie squadre: obiettivo risalire l’evidente amonte sotto il P.35 che porta al fondo e dalla sua partenza invece, scendere delle antiche e ripide gal­lerie freatiche, grandi ed occhieggianti nella sala della “Piccola Madonna” (prometto che i prossimi nomi delle zone in esplorazione glieli do io…). Successo, anche stavolta, ovvio. I fortunelli che risalirono l’attivo an­darono su senza neanche accucciarsi per mezzo km, in ambienti patinati di calcare nero spruzzato d’arancio calcitico, barbette a pungolare la dolomia grigia, poi nero, poi bianco, con nelle orecchie il suono del fiume che entrava in ballo tra mille e mille rumori di sboffi e scivolate e ripide d’acqua. Gli altri, pur scendendo magnifici ambienti, si spalmarono d’argilla le mute e fecero delle belle sudate, oppressi dal neoprene, pati­nati di fango a muoversi come rinoceronti in circo su un filo teso tra due estremità… planammo dalle gallerie fossili nell’attivo sottostante, sopra le teste dell’altro gruppo.

(foto P. Gedei) P.8 in esplorazione

E se non vado male di ricordi, e che quindi vi ricordiate anche voi leggendo, lì ci sarebbe il caso di fare il disarmo e scendere ancora una galleria mai vista, che probabilmente si ricollega anch’essa all’attivo ma chi può dirlo…?
Ancora qualche giro minore, ma altri due più interessanti a terminare la risalita dell’attivo profondo, che sebbene sembrava terminare ogni volta dietro l’angolo, alla fine ci portò a spasso per 800 m e finì a sbattere contro una frana malefica, vera, di quelle con cui difficilmente puoi venire a patti o fregarla. Buttando giù i dati eravamo sicuri di essere in zona profonda presso il sifone terminale dell’Inghiottitoio di Danne (Mèjame) ma, in­vece, i numeri, una volta ordinati, riferirono che nel profondo eravamo in una zona di drenaggio carsico del tutto vergine, almeno per la corrispondenza in superficie di cavità conosciute. Vedremo, vedremo, ma in ogni caso quel che è certo, aldilà di future esplo­razioni, è il fatto di aver trovato un sogno di grotta che non smette di stupire, e che può risultare un nuovo tassello idrogeologico per capire il comportamento delle acque non escluse quelle che scendono nell’eterno profondo a S. Canziano. E sempre, di volta in volta, quel scenario straordinario: non te lo toglie nessuno, un immenso bluff! C’è troppo da ammirare per un uomo solo lì sotto: il torrente che per ore si pavoneggia tutto spruzzato da un capo all’altro d’un bianco spumoso delirante, e poi il verde e l’azzurro che scoppiano in mezzo alle vasche e s’innalzano dal suolo con strisce e veli tremanti fino ai tetti oscuri insondabili del meandro: dopo di che il grigio e il nero si riprendono tutta la scena, ed allora entra l’ocra e il marrone, ma allora stanco l’ocra e non per molto, verso la fine, dove noi non passiamo più. E finisce così, nel lago in cui tutti i colori ricadono a brandelli, afflosciati nella caverna come vecchi stracci alla cen­tesima replica. Ogni volta che ci entriamo, è esattamente così che va.
                                                                                                    Riccardo Corazzi

Gamblers:

Per la CGEB, D. Crevatin; S. Savio, L. Torelli, R. Corazzi, L. Comello, F. Feresin, A. Tizianel, F. Bessi

Per il JDHK, D. Mesarec

(foto P. Gedei) Lungo il canyon interno

(foto P. Gedei) Marmitte a -250