Il catasto delle grotte

CATASTO IERI E DOMANI

Pubblicato su PROGRESSIONE100 – anno 1983
Nella rassegna retrospettiva del nostro secolo non poteva mancare uno scritto sul Catasto, entità dalla quale la CGEB ricava – almeno qui a Trieste – una parte considerevole del suo prestigio. In queste occasioni è abitu­dine presentare tabelle e diagrammi, ma un riepilogo del genere è stato fatto pochi anni fa (Alpi Giulie, 1977) ed un altro vi sarà necessa­riamente sul prossimo Duemila Grotte. Rite­niamo quindi più interessante parlare di qual­che aspetto finora non ben approfondito ed in particolare della fase di avvio, mentre in chiu­sura esamineremo le reali possibilità di dare al Catasto le moderne impostazioni che taluni auspicano.
Con un certo compiacimento non sorretto da rigore storico si è fatto sempre coincidere la nascita del Catasto con la costituzione del Comitato per l’esplorazione sotterranea del Carso, il quale a sua volta ebbe nel 1883 un’esi­stenza più statutaria che operativa. In quei primi anni l’attenzione fu rivolta ad alcune grandi grotte già note, le quali richiesero agli inesperti pionieri della SAG tutte le loro ener­gie; le cavità scoperte nel decennio 1883 – 1892 furono infatti tanto poche da rendere inutile una catalogazione, nè tale può essere conside­rata obiettivamente il lavoro che Edoardo Tau­cer pubblicò sugli Atti e Memorie del 1893. Esso era un resoconto delle principali esplorazioni effettuate negli anni 1889/1892, dove erano descritte solo 5 grotte delle 22 indicate su una cartina allegata, opera del defunto A. Tribel; il Taucer si riferì alla numerazione presente sulla piccola mappa al 68.000, la quale riportava anche alcuni pozzi soltanto sondati, trascu­rando per conto altre cavità di cui la Commis­sione aveva fatto invece un rilievo vero e proprio. Il relatore dimostrò anche di cono­scere assai poco le grotte della carta, definendo «pozzi verticali che non offrono alcun inte­resse» le n° 7 e 12 (Grotta dell’Orso e di Padri-ciano) che pur nella legenda messa sulla cartina erano individuate esattamente. Malgrado que­ste notevoli discordanze e lacune, nello scritto del Taucer si è voluto vedere l’embrione che ha dato vita al Catasto, il quale in effetti riprese più tardi solo la numerazione adottata dal Tribel.

Scheda catastale preparata negli anni ’30; la posizione è richiesta in coordinate polari e cartesiane.
Prima scheda del Catasto (1924); analoga verrà poi stampata all’istituto Italiano di Speleologia.

La mancanza in questa pubblicazione di ogni altro elemento atto ad identificare le grotte citate (posizione topografica, dati metrici, ecc.) sta a dimostrare che non esisteva ancora l’idea di un ordinamento che potesse in qualche modo somigliare al vero Catasto immobiliare e fondiario, istituzione che per la prima volta è stata attuata dalla precisa amministrazione im­periale austriaca. Oltre al’ concetto mancava anche l’uomo dalla mentalità razionale in grado di capire che la speleologia non poteva vivere di episodi esplorativi fine a se stessi, bensì essere disciplina sistematica con la quale raccogliere dati su un aspetto quasi ignoto della geografia fisica.
Nel 1894 laSAG accolse i membri del Club Alpino dei Sette, tra i quali vi era Eugenio Boe­gan, capo carismatico del gruppetto; pur appe­na diciannovenne, egli portò un soffio vitaliz­zante al sodalizio, il quale dopo un esaltante avvio si era impantanato in lavori inconcludenti e diatribe interne, facendosi «soffiare» dai gio­vani dell’HADES la Grotta dei Morti, oggetto di annosi quanto velleitari propositi. La capacità tecnica a l’intraprendenza dei nuovi arrivatinon tardarono a far sentire il loro effetto sull’at­tività di campagna, rivolta anche ad abissi che la Commissione non era stata prima in grado di affrontare; il Club dei Sette aveva invece tro­vato e disceso molte cavità importanti, che in seguito figurarono scoperte dalla Commissio­ne. Boegan guardava già lontano e lo testimonìa lo scritto apparso proprio sul numero 1 della prima annata (1896) delle Alpi Giulie: si tratta di un autentico documento programmatico che meriterebbe riprodurre integralmente tanto è sicuro nelle intenzioni e sorprendente nella chiarezza di alcuni orientamenti, dai quali si delinea per la prima volta in termini precisi la concezione di un Catasto delle Grotte. Riferen­dosi al lavoro del Taucer – unico precedente in materia – Boegan dichiara: «la numerazione continuerà collo stesso progressivo sistema», estesa anche alle grotte «esplorate da altre società e privati». Quest’ultimo proposito è importante per il suo significato di «apertura» politica, ricordando che allora a Trieste opera­vano altri due sodalizi speleologici: la Sezione Litorale (Ktistenland) del Club Alpino Austro-tedesco ed il Club Touristi Triestini; mentre l’impronta etnica del primo era evidente, il CTT aveva un volto più complesso, essendo costituito in prevalenza da triestini di lingua italiana fedeli sudditi dell’impero. Con l’ingenuità dei vent’anni Boegan pensò che l’interesse sovran­nazionale della speleologia avrebbe annullato la spaccatura ideologica esistente tra le due so­cietà ma il suo invito cadde nel vuoto ed in tutta la sua ventennale esistenza il CTT ignorò ostentatamente la SAG. Buoni risultavano in­vece i rapporti con la Sezione Litorale, i cui membri erano propriamente austriaci ma an­che persone libere da pregiudizi e di ben altra levatura; la Sezione però era uscita esausta dalla immane impresa alle Grotte di San Can­ziano e non fu in grado dopo il 1893 di ripren­dere un’attività degna di nota. Il suo unico contributo fu un elenco di 32 cavità – opera di Giuseppe Marinitsch – che Boegan numerò dal 315 al 347 nel 1907. Il CTT ad un certo punto adottò una numerazione per conto suo, alla quale però non fu aggiunto mai alc un altro dato. La SAG invece – sempre nel 1896 – pubblicò le prime coordinate polari di una grotta (n° 24) e subito dopo anche le misure di profondità e della prece­dente, molto più schematica, ma con più spazio per un’even­tuale descrizione. sviluppo. Presso la sede erano consultabili: un elenco grotte, una carta topografica generale con le posizioni, i piani altimetrici e planimetrici della cavità esplorate, che alla fine del 1898 erano 180; benchè non nominato esistette pro­babilmente uno schedario – o un registro – con altre notizie (autore e data dei rilievi), ma tutto il materiale fu confiscato dalla polizia dopo il decreto di scioglimento forzoso della SAG (18 giugno 1915) e andò perduto per sempre. Non è stato quindi possibile ricostruire quali criteri erano seguiti in quel momento per la raccolta dei dati, che se non era ancora chiamata Cata­sto aveva ormai i requisiti per essere tale.

Scheda del Catasto Regionale delle Grotte, composta sulla falsariga di analoga ad uso interno della Commissione, si compone di quattro facciate (le tre non visibili sono dedicate alla descrizione).

Alla fine della guerra l’attività assunse un ritmo elevatissimo e il numero delle grotte crebbe a dismisura, essendo stati anche abban­donati alcuni saggi principi limitativi che ave­vano fino ad allora regolato l’accettazione delle cavità nuove. Nel 1920 Boegan parla di un «Elenco Grotte» e progetta una pubblicazione monografica; lo stesso anno viene organizzato un corso di rilevamento,teorico-pratico al quale si iscrivono 20 persone. Ed ecco comparire finalmente nel 1924 (Alpi Giulie, p. 15) il nome CATASTO e la riproduzione di un «facsimile dei fogli usati dalla SAG per il catasto delle cavità sotterranee».
Si trattava di una scheda molto ricca di notizie, che veniva conservata in una cartella assieme al rilievo e ad eventuali altri documenti. Attualmente si procede nello stes­so modo, essendosi però orientati a chiedere meno dati, dei quali tuttavia si cerca di fare una verifica, in particolare della posizione, control­lata al caso sul terreno; ciò è possibile oggi perchè la zona più lontana si raggiunge in mezz’ora a piedi e in un anno si catastano 30 grotte, ma non lo era con la Venezia Giulia d’ante guerra, estesa dalle Alpi alle isole del Quarnaro ed un incremento dieci volte almeno superiore.

Ultima in ordine di tempo (1982), delle schede catastali preparate dalla Commissione. Schematizzata al massimo riporta le posizioni nuovamente in coordinate geografiche. Particolare attenzione viene data alla descrizione del terreno circostante l’imbocco e dell’imbocco stesso al momento dell’esplorazione, e ciò al fine di definire immediatamente le cavità nuove da quelle già note.

Nella struttura del Catasto non vi sono dunque sostanziali innovazioni ed anche quello allestito nei 1968 per conto della Regione si articola sugli stessi elementi; contro questo asserito immobilismo si è levata di recente la voce di alcuni che vorrebbero riversare i dati catastali in un memorizzatore elettronico, in modo che servendosi di opportune chiavi se ne possano trarre elaborazioni anche di indirizzo scientifico; con ciò il Catasto non sarebbe più una istituzione fruita precipuamente dagli spe­leologi, ma potrebbe servire a chiunque svolga studi e ricerche in zona carsica. Su un piano teorico l’idea è attraente, offrendo impensate prospettive di sintesi orientate su problemi di ordine speleogenetico e morfologico che la limi­tata capacità mentale dell’uomo non riesce a definire.
Chi sollecita un indirizzo in questo senso mostra tuttavia di ignorare la qualità dei dati disponibili, condizionati dalla particolaris­sima natura dell’ambiente – grotta, dove le dimensioni variano ad ogni passo ed una non è quasi mai misurabile. Il rilevatore di solito ha poco tempo, poca luce e deve badare ad osta­coli ed insidie di ogni genere; da un uomo che lavora in simili condizioni si può pretendere solo che i pochi dati strumentali siano buoni e gli altri non troppo sbagliati. Con un nastro metrato ed una bussola a mano egli ricava una planimetria a livello del suolo ed una sezione nella quale la volta può mancare perchè invisi­bile; il rilievo speleologico è tutto qui: due linee spezzate contornate da elementi che la memo­ria fotografica e l’abilità rappresentativa fanno più o meno abbondanti; esso è in definitiva il risultato di una interpretazione soggettiva e quindi variabile, per cui confrontando dieci o più grafici di una stessa grotta non ne trove­remo due uguali e purtuttavia ognuno potrebbe essere valido.
Probabilmente non coincidereb­bero nemmeno le due misure fondamentali, essendo incerto quale punto dell’imbocco è da prendere a caposaldo per la profondità p come si calcola lo sviluppo complessivo di certe grot­te molto articolate. La notizia più importante che si trova al catasto non ha a che fare con il rilievo ed è la posizione topografica della grotta, la quale con una ubicazione errata può risultare introvabile; questo dato è sempre stato il punto debole dello speleologo ed ancora oggi – in con­dizioni sotto ogni aspetto migliori-si continua a sbagliare, essendo ancora preferita alla deter­minazione strumentale la stima approssimativa affidata a chi è ritenuto pratico di topografia. Una recente verifica ad una grotta catastata non molto tempo fa ha accertato ad esempio uno spostamento di 480 m, misura enorme in rapporto all’estensione del Carso triestino; per assurda consuetudine l’autore delle coordinate è anonimo, sottratto quindi anche al giudizio negativo cui va incontro un rilevatore scadente.
Il nostro Catasto si è formato nel corso di almeno novant’anni con il materiale portato da innumerevoli persone di preparazione, esperienza e serietà assai varie; in esso sono sublimate anche le deiezioni di personalità abnormi, mitomani che hanno inventato grotte inesi­stenti o altri che usavano raddoppiarne la pro­fondità. A molte situazioni del genere si è potuto rimediare, ma parecchie sono ancora nelle cartelle per la irreperibilità delle grotte che ha impedito il lavoro di revisione.
A tale propo­sito vi è da fare una puntualizzazione di estre­ma importanza: dopo il 1918 gli speleologi giu­liani hanno portato sempre i loro rilievi alla CGEB, riconoscendo che essa soltanto dava sufficienti garanzie per una continuità nel tem­po e per la conservazione del materiale. Grati per la fiducia abbiamo inteso in un certo senso ripagarla non limitandoci a conservare, bensì cercando di migliorare la qualità dei dati affin chè il Catasto fosse sempre più attendibile e quindi utile. In questo modo però ne abbiamo assunto una sorta di paternità putativa, sicchè in ogni inesattezza si vede la responsabilità del Catasto piuttosto di chi ha fornito i dati.Oltre a ciò il lavoro di rettifica – ripreso con nuova alacrità per il secondo Duemila Grotte – ci è costato molto denaro e soprattutto tantissimo tempo, che avremmo potuto – e preferito – dedi­care ad aspetti assai più piacevoli ed interes­santi della speleologia.
A chiusura dei discorso ne richiamiamo i punti salienti: verso la fine del secolo un uomo a Trieste intuì che i risultati grafici delle esplora­zioni sotterranee andavano raccolti in una spe­cie di archivio, il quale tempo dopo fu chiamato Catasto, Le notizie che esso contiene hanno un ampio spettro di incertezza per la particolare struttura degli ambienti misurati e per impon­derabili fattori umani. Istituito dagli speleologi per il loro uso, il Catasto non è adatto ad altre utilizzazioni, per cui immettendone i dati in un computer se ne ricaverebbero risposte strane ed ingannevoli.
Ora che le grotte destano inte­resse anche per motivi ecologici, di salute pub­blica e per ricerche di ordine scientifico si dovrebbe fare – al caso – un altro Catasto di impostazione adeguata ad esigenze diverse, un rifacimento ex novo su schemi codificati e rile­vazioni strumentali. A tale scopo ognuna delle 4000 grotte (Friuli compreso) dovrebbe essere esaminata da un’èquipe di topografi, geologi, entomologi, botanici e meteorologi in grado di scendere negli abissi più impegnativi; alle analisi in laboratorio dei materiali raccolti seguirebbe la fase di elaborazione dati e quindi il travaso in un calcolatore esclusivo gestito da personale specializzato. Il costo complessivo di un’opera­zione del genere si può valutare in circa 30 miliardi. più le spese per la successiva tenuta della struttura; questo volendo fare una cosa seria e non il solito inghippo all’italiana tanto per sperperare il pubblico denaro.
È sicuro quindi che non se ne farà niente e che l’unico Catasto resterà quello tradizionale, can molti sbagli ma innocuo per le tasche dei contribuenti. Da esso con La chiave del buon senso si può trarre ugualmente qualche discreta indicazione men­tre un’interpretazione attenta dei suoi docu­menti consente di ricostruire lo spirito e gli ideali che hanno animato per cento anni il mondo vivace e mutevole della speleologia trie­stina.
                                                                                                           Dario Marini