Giovanni SCHERIANI (Nino Prete) + 7 gennaio 1986
Dubito che se quel 7 gennaio fossi stato accanto a lui sarei riuscito a dissuaderlo, non avendo alcun valido motivo da proporgli per non salire sul davanzale della vecchia tana di via Caccia. Mentre mi accompagnava a casa dall’Alpina avevamo parlato spesso del problema esistenza e con la logica acuta e spietata che gli era propria egli mi aveva dimostrato in modo inconfutabile che per lui vivere era solo una fatica senza scopo, né potevo dirgli che doveva farlo per non dare un dispiacere ai pochi amici o per continuare ad essere il vanto del CIM quale unico caso noto di risalita dai vischiosi fondali della pazzia.
Perchè Nino in verità aveva compiuto un’impresa stupefacente e forse unica, riuscendo a riacquistare dignità di uomo in ogni senso autonomo dopo esser stato una larva abbrutita e vaneggiante. Se non sapessi quanto se ne fregava dell’opinione altrui potrei credere che prima di andarsene egli aveva voluto dare questa somma dimostrazione e che arrivato al traguardo gli era venuta a mancare l’unica ragione di sopravvivenza.
Tedium uitae dunque, dovuto anche all’incapacità di stabilire legami abbastanza forti con qualcuno o qualcosa, talchè solo una debole eco tornava dei richiami della nostra amicizia, sentimento non proprio unilaterale, ma ricambiato con rare ed appena percettibili aperture di un animo ruvido ed eccessivamente orgoglioso. Nino anche nei momenti di maggior difficoltà non ha chiesto nulla a nessuno, rifiutando sdegnosamente l’aiuto offertogli con spirito più che fraterno. Quando Ciano era andato a cercarlo in Australia aveva fatto in modo di non esser trovato e delle sue vicissitudini di emigrante sapevamo solo molto tempo dopo quando tornava; credo che non abbia mai scritto una cartolina.
Chi lo ha visto girare per Trieste trasandato e magari perso in soliloqui non può immaginare la vivacità della sua intelligenza nei periodi buoni e con quale lucidità sapeva analizzare situazioni ed avvenimenti, molto meglio di tanti che discutibili parametri assegnano alla grande ammucchiata dei «normali». Carattere scanzonato, umorista brillante ed ideatore di «vitz» rimasti famosi, risata omerica e trascinante, capacità di sopportare qualsiasi disagio fisico, conversazione mai banale, solida cultura e conoscenza di due lingue, larghezza di vedute di chi ha girato il mondo per conto suo; tutto ciò ne faceva un uomo gradevole ed interessante che avrebbe potuto far strada in vari campi qualora si fosse adattato a tollerare le soverchierie che si subiscono all’inizio di ogni rapporto lavorativo.
Cosi era finita subito la sua carriera di ufficiale troppo incline a fraternizzare con la truppa e breve durata avevano avuto altri impieghi dove avrebbe dovuto sottostare a persone che valevano meno di lui. La sua esistenza era tuttavia segnata ed adombrata da un cruccio antico, quello di esser nato figlio non voluto e sùbito abbandonato in una situazione di assoluto squallore, nella quale probabilmente è cominciato a deteriorarsi quel misterioso apparato elettrochimico che governa le funzioni della mente. Anche nella sua follia vi era comunque l’impronta dell’originalità, essendo in grado di ricordare e descrivere le fantasmagoriche visioni che gli apparivano quando il cervello faceva «tilt» e quali piacevoli sensazioni erano possibili in un mondo. dove lo spirito si librava svincolato dal peso corporeo.
Della nostra amicizia – cominciata in via Milano nel 1953 – preferisco non parlare, mentre qualche accenno è dovuto alla sua attività di grottista accostatosi all’ambiente più per il piacere della compagnia che per l’amore del sottosuolo. Allora la speleologia era fatta di comitive numerose e vivaci che praticavano a tempo pieno il divertimento a base di burle, canti e libagioni di fine esplorazione nelle grezze trattorie di un Carso tutto per noi.
Nessuno avrebbe pensato di andar in grotta da solo e per le grandi verticali era importante l’aiuto dato dalla «sicure», cui era addetta un’apposita squadra; Nino ne era sempre l’uomo di testa, quello che grazie ad una particolare sensibilità percepiva ogni variazione del ritmo di risalita, regolando di conseguenza la forza della trazione. La sua presenza all’orlo del pozzo era garanzia di una manovra ordinata ed efficiente. Risoluto e coraggioso, era stato lui nel 1958 – pur poco pratico di scala – a calarsi nel Bus de la Lum per ricuperare il corpo di un gitante precipitato ed è sua la scoperta dell’Abisso Polidori e di numerose cavità del Cansiglio e del Cavallo.
Fondamentalmente altruista, era sempre pronto a dare una mano e a rendersi utile in tanti modi, accollandosi i compiti più sgradevoli ed umili, salvo poi ad essere per questo oggetto di strofe satiriche. Ricordo le lunghe attese (1955) passate cantando a lume di candela – completamente bagnati e quasi nudi – sopra qualche pozza con cascata degli inghiottitoi di Pradis. pronti a recuperare il Maestro e Coloni, loro uomini di punta e noi apprendisti alla sicura, i soli che per mancanza di peculio pernottavano nel camion militare.
Fu il mio braccio destro nella prima revisione del Catasto e per tre anni 11957/59) andò caparbiamente alla ricerca delle più introvabili grotte vecchie, dimostrando una rara attitudine all’uso delle carte topografiche e un perfetto senso d’orientamento. In seguito gli impegni della vita vennero a distogliere molti, la ganga mutò composizione e spirito e Nino tornava solo di rado, più che altro per salutare i pochi superstiti della sua epoca; è del 1963 la foto che lo mostra con il cappello d’alpino sopra l’Abisso Boegan (Alpi Giulie Occidentali, pag. 218) e nel, 1970 tirò l’ultima corda all’Abisso Kamikaze presso Opicina Campagna.
Risalito dal gorgo, venne ancora qualche anno fa con noi veci in battuta sul Carso, poi nemmeno questo lo interessò più, ma arrivava in sede ogni tanto, risata sempre tremenda e battuta dissacrante che attaccava tutti i pilastri del perbenismo e talvolta veniva da pensare se non era proprio lui ad aver preso le cose per il verso giusto. La società ha creduto di punire il ribelle postumamente trasformandone le esequie in una sceneggiata con incenso, picchetto militare e prefiche sconosciute; considerato che la cassa non si è schiodata bisogna credere che Nino Prete – per l’anagrafe Scheriani – è davvero morto e quale epitaffio e sintesi di una vita di rara coerenza resti il motto con il quale ha smontato più d’uno: MATO, MA NO MONA!
Dario Marini