SISTEMA DI CATTINARA, AGAIN AND AGAIN
Giocoforza la nostra storia e quella della speleologia Triestina in generale sono strettamente collegate ed intimamente connesse.
Nelle pagine che seguono pertanto si seguirà passo a passo l’evolversi nel tempo della speleologia Triestina e quella che è la storia del nostro gruppo, cercando di analizzare via via la situazione sociale ed “ambientale” in cui si sono sviluppate le vicende narrate.
Ringraziamo Pino Guidi per l’opera svolta
pubblicato su ” PROGRESSIONE N 52 ” anno 2005
“Le radici vanno in senso verticale, scompaiono nel terreno, si addentrano, scavano, la loro esistenza è invisibile e oscura…
Tentano di separare le pietre. Le rocce, scagliate in superficie, inattive naridiscono.
La vita è penetrando nel profondo”
Ryszard Kapuscinski, scrittore e poeta polacco

Eravamo rimasti alla relazione, sul numero precedente di Progressione, il 51, della cronistoria e ricostruzione degli eventi da parte di Gigi Torelli sulla Grotta di Cattinara.
Avevo scoperto, e sempliciotto io che non me ne ero accorto, che in pratica la grotta era stata esplorata da un mix di gruppi diversi, dove la Commissione Grotte aveva solo fatto una particina secondaria, quella di mettere tutti i materiali e pupparsi tutto il rilievo 1 topografico, oltre a dare i natali alla grotta ed a esplorarla: ma era stato imposto il silenzio, per non urtare animi sensibili. Venni insomma intriso dalla Verità, Lei in persona, leggendo il pezzo di Bagigi, che, in poche parole, avevano, non si sa come, preso parte alle esplorazioni membri di gruppi che in realtà non erano mai entrati…ed io che ero praticamente sempre presente non li avevo mai visti…ah, ma sarà perché ero tutto preso a correre in gallerie mai viste e non badavo ad altro. Quindi, solo per onorare la verità, che può creare pruriti – ma non può tradire – su questo pezzo metterò quello che io ho visto e fatto e provato, e che qualcuno venga a smentirmi. D’altra parte Celine diceva che nella vita bisogna mentire o morire, e si sa che nessuno di noi ha tendenze suicide…
GALLEGGIANDO NEI SETTORI REMOTI

Era non so che mese, tra folle (inteso qui come gran numero di persone che si accalcano…ma starebbe bene anche come neuropatia associata alle medesime) che ogni Venerdì sera facevano la questua in sede CGEB per strappare un pass per entrare (tutti spariti, la vampa gli è durata finchè
ne scriveva “Le petit journal” e loro potevano poi raccontarlo alla nonna e alle colleghe di lavoro…), tra preparazioni abbondanti di materiali nello sgabuzzino del magazzino dove il Pupo di Parigi minacciava e sbraitava per corde che chissà quando sarebbero tornate indietro, e l’appuntamento oramai fisso che ci vedeva puntuali al Sabato a strappare un ulteriore biglietto di andata e ritorno per le nostre peregrinazioni sotto il Carso di Basovizza. Avevamo in mano e in testa un’infinità di posti da vedere, e come se non bastasse era saltato fuori il nuovo Era non so che mese, tra folle (inteso qui come gran numero di persone che si accalcano…ma starebbe bene anche come neuropatia associata alle medesime) che ogni Venerdì sera facevano la questua in sede CGEB per strappare un pass per entrare (tutti spariti, la vampa gli è durata finchè ne scriveva “Le petit journal” e loro potevano poi raccontarlo alla nonna e alle colleghe di lavoro…), tra preparazioni abbondanti di materiali nello sgabuzzino del magazzino dove il Pupo di Parigi minacciava e sbraitava per corde che chissà quando sarebbero tornate indietro, e l’appuntamento oramai fisso che ci vedeva puntuali al Sabato a strappare un ulteriore biglietto di andata e ritorno per le nostre peregrinazioni sotto il Carso di Basovizza. Avevamo in mano e in testa un’infinità di posti da vedere, e come se non bastasse era saltato fuori il nuovo questo settore, il più alto del sistema chiamato Settore 4, terminerà in un tappo di
argilla e frana senz’aria, circa una decina di metri sotto la superficie esterna. In ogni caso, questa zona ci ha visto ben presenti nelle volte successive, vuoi per fare lavoretti (pozzi laterali da scendere, qualche scavetto, foto) ma soprattutto per iniziare un lavoro di scavo che diciamo dovrebbe
agevolarci in un prossimo futuro per trovare l’ingresso alto della cavità (e me ne guardo bene dal dire di più…).

Qua e là, tra la scoperta fatta da Gino nel Settore 3 di una piccola galleria discendente (breve ma pazzescamente ornata, con forme stile Sardegna) una galleria freatica scoperta sempre da Gino e me in zona Croce-Via e troncata dalla galleria autostradale (praticamente il braccio interno delle grotta dell’Illusione, altra cavità trovata nella Canna Trieste durante il proseguimento dei lavori e nient’altro che appunto la galleria in questione, vedi rilievo), iniziammo a sondare le decine di punti ancora non visti. Tornando al “bivio H”, c’era da proseguire le explo in un ramo laterale inizialmente assegnato al CAT e GSSG: dopo un breve saltino ed un’ampia (ma non lunga) risalita, io, Giannetti e Clarissa ci affacciammo su un pozzo già parzialmente sceso che doveva terminare (come ci raccontò un socio CAT) in un ampia sala: bello ma non del tutto originale scherzo, visto che tale pozzo lo avevano già disceso (trovammo gli spit) e in realtà si infognava in attivi franosi e molto stretti, morfolgia carsica ancora non vista in questo sistema. Lo spavaldo che ci fregò non si fece più vedere, aveva già raccontato a sufficienza della grotta ai colleghi di lavoro e alla sua babetta…
Ripartimmo dal “bivio H” verso il P. 22, ove varie risalite attendevano: in una di queste il sig. Crevatin D., dopo una ventina di metri, sbucò su un ballatoio concrezionato e “daghe” galleria che partiva… anche un’altra squadra era dentro (ne facevo parte) ma non mi ricordo assolutamente a fare
cosa. Il sig. Crevatin e la sig.na Stenner sfondarono porte aperte in galleria, ma si ritrovarono con qualche capello bianco in più (dei pochi che ha lui, come me, d’altra parte, così non si offende…): sfido chiunque un giorno a camminare in esplorazione in grotta ed ad un certo punto trovarsi delle
lance d’acciaio di sostegno industriale che bucano la parete e fendono il vostro cammino… esperienza direi unica e irripetibile. Ed era chiaro quindi, che in quel punto la parete di cemento armato della galleria autostradale si trovava a solo qualche metro dal fianco dalla grotta: auguri. La galleria
(chiamata Mr. Wolf, una storia da Pulp Fiction, chi non ha visto il film dovrebbe rimediare subito…) fu molto utile in quanto terminava con un pozzo di ca. 25 metri nel salone al punto 3: ottimo e pulito bypass per accedere alle zone remote. Devo concentrarmi, sto perdendo colpi… è che con tutte le volte che siamo entrati è difficile ora fare un sunto organizzato… dunque eravamo alla galleria Mr. Wolf… aspetta… dovremmo essere al momento del ramo del Pupo de Parigi e al ramo svolazzante sopra la stalagmite in salone, credo di sì.
L’ ENFANT PARISIENNE

Ebbene, come sempre, le scoperte sono veramente date dal caso o da posti che non te l’aspetti: a tre passi tra la prima e seconda cordina per salire dal salone al ramo NO (non 3 passi per dire: proprio 3 passi!) c’era un buco di 1×1 che batteva un 30 metri, con aria intermittente, trovato da Bosco e Prelli. Così, tanto per non saper cosa fare lo scendemmo, Gino davanti ad armare, metodo frugale, io dietro con i materiali svolazzanti e dietro ancora Kappler con cilindretto balsamico perenne in bocca e attrezzatura fine anni ’70, ancora tutti a chiedersi se lo teneva su anche questa volta.
Eravamo svogliati, quasi con l’idea che sceso il pozzo il tutto finisse, e dopo 15 metri una placca di fango da cosmesi dove bisognava pennellarsi dentro nella discesa del pozzo, ci aveva già fatto pentire di essere lí. Ma roba che non t’aspetti, sotto il pozzo, un passaggio più basso, e subito galleria, concrezionata pure e anche comoda, roba mai vista altrove ma lí eravamo in una struttura del tutto diversa… capimmo di averla combinata. Toni
professionali, stile aplomb, camminavamo di sghembo e lentamente nelle tenebre come se fosse normale, quando invece in Carso già trovare un budello di qualche decina di metri dà toni d’esaltazione. Mentre Gino si arrampicava per conto suo, fregavo lui e Kappler passando dietro una grossa colata e mi affacciavo sul nero, largo e lungo ma non profondo, circa 8-10 metri, armo, discesa e fondo irto di lame, pieno ringiovanimento e un freatico sfondato, fango, ambiente ampio. Ci siamo fermati quella volta sull’orlo di un canyon, senza corde, a tentare di sondare il fondo sottostante: non riuscivamo a capire bene, le pietre cadevano e si fermavano non tanto sotto, finchè scesi personalmente da una finestra laterale ovviamente senza
nessuna protezione sull’orlo di un saltino, buttavo giù una sedia di roccia e rimbombi clamorosi echeggiavano, sotto era grande e tutto nero come una notte d’inverno, altro che saltino! Risalii leggermente innervosito stando all’occhio di non scivolare per la direttissima.
Uscimmo tronfi e gioiosi, e in galleria una volta cambiati, Kappler si trasformò in santosubito moltiplicando dei vetri con su scritto “Zlatorog” e nell’atmosfera del momento ci confessò di quando era più giovane, come tutte le uscite fuori strada e i botti che aveva fatto con l’auto erano accaduti a causa, chi diria!, di quel strano e inebriante liquido giallo, leggermente amarognolo. La cosa non finì ovviamente lì, il giro seguente entrò il pupo di Parigi in persona a regalarci la sua presenza, ed anche Crazy Paul e quindi eravamo pronti ad aspettarci di tutto, chè Gino gli doveva un paio di cambiali morali per lavori minerari in quel di Basovizza. Prima di tutto merenda sul nostro tavolino preferito. Così, mentre gli altri bulli lasciarono al sottoscritto il rilievo, essi filarono avanti, ma neanche tanto: Gino perse a morra l’armo del pozzo, Davide se lo godette da solo: nel frattempo Crazy Paul con ogni probabilità portava con sè, oltre al tubolare dei materiali, un sacchetto pieno di pietre e ogni tanto ne lancia manciate di sotto, come se seminasse in campo alla vecia. Scendemmo uno ad uno abbastanza caricati, visto l’ambientino di 20×20 che ci stava attorno, il fondo era un macello di frana (gavevo dito mi…), tutti scesero senza scaricare, arriva Crazy Paul e lo si sentimmo dagli schrapnel di sassi che fiondarono giù prima di lui. Strano e complesso era lì sotto, ma siamo in Carso? Sembrava più un fondo da Cansiglio, risalimmo una china fangosa, caverna scomposta, altra risalita osè senza corde e attacchi, altra sala, altra risalita “del vento divino” dove Crazy Paul n’altra volta rischiò il recupero in barella, il pupo lo prese al volo e lo fermò prima che andasse a facciata su di un masso affilato. Casino, c’era da tornare, Gino s’inventava improbabili scavi, vediamo d’altra parte, salimmo io e il pupo su una china velata di fango da palude, orrido, vedemmo un finestrone ma sarà per la prossima volta, salii ancora 5 metri e saltino con fratturone, sotto ci sono altri 20 metri, ridacchiando riscendemmo e ritornammo in superficie… il pupo sotto il 50 rideva di meno, per aver perso sempre a morra, con me questa volta, il sacco con il trapano… zozzi uscimmo. Tale ramo fu veramente una notevole sorpresa in quanto a parte le dimensioni e lo sviluppo, assorbì diverse uscite per vederne i tratti principali: le volte successive infatti, le squadre proseguirono sia sul pozzo di 20 trovato in faglia e non sceso (che poi fu collegato al ramo dei meandri sottostante), sia attraverso il finestrone che diresse i nostri verso ampi e ventosi meandroni impostati su grandi discontinuità, scendendo in profondità e confermando che nel sistema di Cattinara, raggiunte le quote di circa 150 slm, il sistema
tende ad incasinarsi in crolli recenti (anche ampi) e immani depositi di argilla, che chiudono in faccia le porte dell’esplorazione. Un ultimo lungo traverso venne effettuato sopra il P.50, portando gli esploratori a congiungersi, arrivando direttamente dall’alto, ai rami sottostanti: sembrava la parola fine… ma qualche posticino che mi sono tenuto segreto è ancora da vedere, eh, eh, eh!!!
LA STAGIONE DELLE GRANDI RISALITE

A Giannetti nostro, a cui piace da matti arrampicare, e fortuna sua ne ha sia le doti fisiche che tecniche, avevamo lasciato varie opzioni di divertimento, tutti luoghi ove la maggior parte di noi sarebbe arrivata solo o con un razzo o con una mongolfiera tascabile (progetto da commissionare a Giuliano
Zanini, è un invito ufficiale che più e più volte in sede gli ho proposto…). Gigi invece, benchè abbia qualche annetto in più, riesce ancora a tirare qualche bel passaggio su parete, forse con più fiatone alla fine, ma il suo metodo classico non tradisce mai. Gigi salì da varie parti nei primi momenti d’esplorazione (vedi la scoperta del passaggio NO)2 mentre il giovane blagher iniziò ad attaccare la parete Nord del grande salone salendo tramite diedri e fessure impercettibili dal basso: con solo 4 fix salì 50 metri sino ad un possente ballatoio, altro antico arrivo idrico di qualche fiume amante delle tenebre, altra esplorazione in vista. Dopo che gentilmente mise una corda statica, salimmo anche noi nel nero pesto del salone, con 30 metri a
salire nel vuoto e nulla totale, molto suggestivo. Sbarcammo dalle corde e dopo un’altra breve risalita in un meandro arabescato di formazioni a cristalli stile salgemma, percepimmo la nuova dimensione esplorativa: passaggio basso a salone ampio e severo, con stalagmiti e colonnoni, mancava solo
una piscina per farne delle terme romane (forse mancava anche qualcos’altro, vedete voi…). Visto ciò, Giannetti ancora eccitato, salì avanti e di traverso a tiro alternato con Gigi, sino a sbucare probabilmente a solo qualche metro dall’uscita sulla piana di Basovizza soprastante, eravamo di nuovo a niente da uscire all’aperto. Tale ramo non finì così ottusamente, ma ci illuse ancora un po’: dopo la strettoia d’ingresso prendemmo un notevole scivolo in discesa al quale seguì un P.30, completamente occluso dai soliti detriti e calcificazioni varie. Qui in ogni caso dovremo ritornare per vedere ancora bene dei passaggetti curiosi e per una doverosa acquisizione fotografica. Mentre un’altra risalita circense veniva iniziata e temporaneamente lasciata in sospeso, riuscimmo a dirottare i climbers a controllare bene la zona della sala al Settore 3, quella più vicina al tratto autostradale e di conseguenza più segnata dai crolli. Era insomma iniziata la grande stagione delle risalite. I soliti tipi iniziano a risalire la parete marcia sempre lato Nord (qui è tutto uno stile alpino ostico, noi arrampichiamo solo pareti Nord…) e vanno su di un 30 metri, non trovano niente, scendono in doppia, qualcuno gira la testa e trova a4 metri dal suolo una bocca semi-ostruita, oltre nero, pendola, entra, e percorre con Gabriele di Pradis un buon centinaio di metri sino a fermarsi in un salone crollato, oltre un masso gigante l’evidente prosecuzione, aria in muso. Torniamo la Domenica dopo con un giro giusto organizzato da Gigi, tra racconti e riunioni che creano adrenalina, ipotesi e suggestioni, è il preludio del Sabba
esplorativo… Pacco clamoroso! Altro che kilometri esplorati! Ascoltate questa: facemmo un traversino sopra il masso gigante, e, questo bisogna dirlo però, oltre sembrava veramente partisse una galleria freatica: arrivati sull’altra sponda, dopo 5 passi, strettoia, primi atroci dubbi, oltre saltino di 8 metri e tanti saluti a tutti, il più classico dei tappi carsici, concrezioni e ancora concrezioni. Gigetto era molto deluso e farfugliava frasi senza senso, faceva foto “artistiche in presa diretta”, io illuminavo con un fanale finestre inesistenti create dalla rabbia cercando di convincere Gianni a salire verso il nulla, Gabriele era fiacco e taciturno, Giannetti sù di giri comunque. E visto che era ancora caldo, riuscii a bidonarlo: usciti da questa
galleria (alla fine un centinaio di metri abbondanti in più…) lo convinsi evidentemente che il freatico sotto era troppo antico e quindi ostruito, bisognava salire ancora e trovare quello più recente, che stava però sul tetto della sala, quindi tra i 50 e 60 metri d’altezza, e spostato di 30 metri in linea d’aria da dove eravamo noi appollaiati. Non so se Giannetti la prese come una sfida, certo è che lo vedemmo non tanto salire, 20 metri circa – eravamo già in alto grazie ed una sua precedente risalita – ma fare un traverso veramente aereo, lontano e tecnico tanto che oggi farlo su linea di progressione in corda risulta non banale. Mancò ancora la fortuna, mica il valore: arrivati effettivamente su un ballatoio formato da un macigno incastrato (diciamo un pulmino 20 posti) venuto giù dal soffitto della sala, dopo qualche metro entrammo in una galleria in salita e ampia, 5X3, tutti avanti, di pochi metri, perché dopo un saltino di 5 metri altra chiusura inesorabile. Queste sono le galleria “Jagoda”, non intese come fragola in slavo, né in disonore di quel3 amico assassino finito poi male di Iosif Vissarionovic, ma per una ben più carnosa e succulenta motivazione che io e Giannetti, ardito dell’aria, conosciamo… E per il momento, dovrebbe essere tutto. Alla prossima, chè tanto vi assicuro che a Cattinara di prossime da raccontare ce ne saranno…o no? Ma non è “Impossibile” stà grotta? Tu che leggi l’articolo, che ne dici? Di tante cose, su questo sistema carsico, non è conveniente parlare in termini chiari per vari motivi, principalmente legati al luogo ove esso si apre. Qui avevo messo una nota per spiegarvi come era stata trovata la grotta, ma per non mettere in imbarazzo ed esporre a meschini attacchi la redazione di Progressione, ho deciso di modificarla. Se volete conoscere la storia reale della scoperta, documentabile in varie forme, parliamone privatamente. Via e-mail a corazzi@iname.com