1996 – Vrtiglavica

 

VRTIGLAVICA (N.6926 SLO) – Meno seicentoquarantatre metri.

Pubblicato suln. 35 di “PROGRESSIONE” – anno 1996
…alle ore 22.00 di sabato 12 ottobre 1996
si e conclusa I’infinita discesa di “VRTIGLAVICA”, il pozzo a cielo aperto piu profondo del  mondo ed il piu profondo in assoluto.  Dopo ore di calata molto impegnativa tra pareti di ghiaccio e nevai pens111 che caratterizzano la prima  meta della verticale, l’enorme fuso di roccia si spalanca compattissimo e sprofonda torcendosi elicoidalmente.  Da -400 il copioso stillicidio diventa una cascata che acco mpagna la discesa verso il fondo. Gli ultimi esploratori raggiungevano il termine della verticale verso le 03.00 del 13 ottobre 1996. Tramite una prima topografia ed il valore degli altimetri la profondità stimata e attorno ai -640 metri.
Comunicato stampa del 14 ottobre 1996

Il pozzo più profondo del mondo.

La cavita e stata scoperta dagli speleologi del Gruppo Speleologico e Paleontologico Gaetano Chierici di Reggio Emilia e dal Gruppo Grotte Catania durante l’estate ‘96.
L’esplorazione e proseguita da parte degli speleo sloveni dello Jamarski Klub Dimnice di Koper (Capodistria) e del Club Alpino Sloveno San Dorligo di Trieste che, in seguito, raggiungeranno il fondo durante una spedizione trasversale assieme agli speleo della Commissione Grotte “E. Boegan” della Societa Alpina delle Giulie di Trieste ed i Bresciani del Gruppo Grotte Brescia “Corrado Allegretti”
PRIM0 APPUNTAMENTO, 5 OTTOBRE
Il diluvio universale infuriava davanti alla Stazione dei treni di Trieste. Nell’attesa il cellulare taceva, mentre un’alba plumbea avanzava incerta. Eravamo la ad aspettare nel mattutino via vai cosmopolita, ma di Rok, Matjaz, Pota, Tanfo e Belva nessuna traccia e nessuna notizia ne da Koper, ne da Brescia.  La pioggia s’intensifico castigando violen temente il primo timido traffic0 del sabato triestino. La solita pattuglia di controllo si rifugia solerte nell’abitacolo della “pantera”.
La possibilita di riuscita dell’improbabile“rendez-vous” s’affievoliva con la luce. D’un tratto pero una SW sporca s’inchiodo davanti al portale Liberty della stazione, ed i nostri tre amici del nord scesero come se avessero appena attraversato un isolato alla ricerca del tabaccaio. Degli sloveni, intanto, nemmeno l’ombra e cosi s’areno il primo tentativo autunnale al pozzacchione. Riuscimmo a rintracciare Rok, che da una minisala operativa installata sotto le coperte, ci fece da ponte radio con Bovec, ultimo avamposto raggiungibile a causa degli allagamenti lungo l’alta valle dell’lsonzo.
SECOND0 APPUNTAMENTO, 12 OTTOBRE, ORE 05,30
Nel fiele di un lattiginoso mattino aleggiava un’atmosfera quasi onirica che, man mano risalendo la valle dell’lsonzo s’intensificava, accompagnandoci fino alla meta. Fermi a Boka, Rok ci spiego nei dettagli alcune situazioni e dinamiche della discesa nella parte del pozzo fino ad allora esplorata; una tensione ci avvolse, i nostri sguardi si fissarono lontano, in alto, su quegli altipiani indefiniti, su quell’immenso parco giochi che da molti anni riusciva costantemente ad intrattenerci, ad emozionarci e farci divertire come dei matti.
Saliti al terminal, in breve riempimmo le tre cabinette di uomini e materiali. Il tecnico saltò su con noi e cosi raggiungemmo la sommità dove un sole splendid0 ci accolse a dividere i materiali, l’umore era grande!  Attraversammo lo Skalaria finche una linea d’ombra fredda ci accolse nell’avanzato pomeriggio autunnale ormai in vista della zona dove insediare il campo base. Installate le cupole, progettammo l’esplorazione.  Tre piccole squadre a distanza di alcune ore l’una dalle altre avrebbero sicuramente reso meno rischiosa la discesa, evitando il pericolo di scariche di ghiaccio e neve.  Al riparo della tenda riuscii a schiacciare un pisolino, roba da nababbi! Ma presto un tintinnio mi fece scattare, fuori era gia buio.
Maci semivestito si proteggeva dalle fredde raffiche del nord-ovest. Presi gli ultimi accordi con Matjaz iniziammo a scendere per le facili roccette.

VRTIGLAVICA (VERTIGINE)

Difficile descrivere quello che tutti gli speleo sognano nelle notti agitate o sognano co munque d’incontrare: il disagio di quell’immane abisso senza pavimento, che in un susseguirsi di strapiombi irraggiungibili di pareti levigate ed insondabili nel buio piu nero del vuoto assoluto ti trascinano velocemente verso il misterioso nucleo. Cercherò di farlo, da testimone imparziale.
II pozzo si sviluppa inizialmente come un perfetto cilindro di roccia molto compatta, di formna o mogenea e scende cosi per i pri mi 50  metri, dove non sono presenti (perlomeno in settembre-ottobre) il ghiaccio o la neve.  Da circa -50 a -150, il pozzo diventa una fessura-diaclasi intasata dal ghiaccio che ne riveste quasi intera mente le pareti, il che obbliga a difficili e delicati passaggi al fine di evitare i punti di  maggior pericolo e contatto con la roccia ed il ghiaccio. Un restringi mento (tipo i mbuto) denominato “Il punto del non ritorno”, vede lo speleologo circondato total mente da una formazione di ghiaccio scuro e compatto. Subito sotto, dove s’allarga, due deviatori su chiodi da ghiaccio riportano la discesa lontano dalla parete insidiosa.  Da questo punto la cavità si amplia ed uno spettacolo, piu da “parete nord” che da grotta, sprofonda con l’abisso. Lunghi “couloire” verdastri s’intravedono alla debole luce delle acetilene, festoni di stalattiti di ghiaccio pendono assieme a lingue di neve più recente.  La corda pende per un tratto in libera (sotto ci sono ulteriori 450  metri!!!), poi sfiorando una parete completamente innevata, obliquando leggermente a sinistra ci si sposta ulteriormente dalla direttrice di scarico principale di questo, se cosi si può chiamare, “piccolo ghiacciaio sospeso”.
A -250 circa il pozzo e  molto ampio (diametro intorno ai 40  metri), una inevitabile “libera” di 110  metri obbliga la discesa senza fraziona menti perchè le pareti sono troppo lontane. Il pozzo in questo punto presenta una curiosa sezione pentagonale.  Verso la  meta dei 110 in libera, sale da sconosciuta lontananza il rumore di una cascata; un centinaio di  metri ancora aggrappati alla parete di sinistra e la s’incontra, quasi la si sfiora.
Cosi l’acqua continua la sua caduta verticale  mentre noi continuiamo il nostro viaggio, sempre a sinistra, aggrappati ad una illusoria protezione sotto insondabili pareti.  Raggiungiamo i 450  metri di profondità, prosegue la discesa. Ci obblighiamo sempre a sinistra, frazionamento dopo frazionamento, conducendo la calata il piu possibile spostata dalla direttrice di scarico di ghiaccio, neve e della cascatella. Si raggiunge cosi il fondo a -643  metri dove una prima risalita di una ventina di  metri per raggiungere un’apertura, non darà risultati positivi.
“Vrtiglavica” presenta comunque diverse possibilità di prosecuzioni laterali che verranno sondate nelle prossime esplorazioni. Superfluo forse far notare, da come si avrà intuito, l’estrema pericolosità che comporta la discesa in questa tipologia di struttura ipogea. Il pericolo oggettivo determinato dalla forte presenza di ghiaccio e neve nella prima  meta della verticale, racco mandano estrema prudenza negli armi e nell’organizzazione della discesa e della risalita, anche se alla fine e quasi impossibile evitare completa mente le scariche. Da notare pure la presenza di strani nuclei di neve, anche di grosse di mensioni, che a  mo di “ricciolo di burro” si srotolano dalle pareti, sicura mente a causa della variazione di temperatura (punto critico 0 gradi circa), attorno ai 300  metri di profondità.
Buona esplorazione.
Louis Torelli
Partecipanti dell’esplorazione al fondo di “VRTIGLAVICA”:
Rok Stopar e Matjaz Zetko (Ja marski Klub Di mnice Koper, Slovenia); Miran Zobec (Ja marski Odsek Slovenskega Planinskega DruStva, Trieste);
Massimiliano (Maci) Palmieri, Louis Torelli, Roberto Spina (CGEB);
Matteo Rivarossi e Luca Tanfoglio (G. G. ‘Corrado Allegretti”, Brescia)