ROBERTO IVE 29/09/1951 – gennaio 2022
Tratto dalla rivista Sopra e Sotto il Carso Anno XI N. 3 pag.51
Lo scorso mese purtroppo è mancato all’affetto dei suoi cari Roberto Ive. Lascia la moglie Christiane e la figlia Ambra, oltre alla sorella Gabriella. Se a molti il personaggio dice poco, non altrettanto nel settore del carsismo e delle grotte, del giornalismo anche fotografico. Ma non solo: è stato determinato alpinista, profondo speleologo, attenta guida alla scoperta di luoghi insoliti e di non facile approdo: un vero esploratore. Ive si è dilettato nella scrittura, noti sono i suoi diversi libri sulla Mongolia, vera sua passione che gli è valso pure il riconoscimento di titoli. Il primo contatto con il grande Paese data al 1988, area preclusa agli occidentali, diventando poi lettore di lingua italiana alla Mon-golian Arts an Culture University di Ulaanbaatar. Lascia un’eredità importante: i tanti ricordi e i fidati amici che lo definiscono un modello, uno spirito libero, coinvolgente e avventuroso. Infatti, quello che ha sempre ricordato in vita, sono i suoi compagni di “avventura”: fra questi Adelchi Casale, Elio Padovan, Toni Klingendrath e diversi altri. Con quest’ultimo, nel 1979, hanno raggiunto la cima della vetta più alta del Perù, il Nevado Huascaran a 6768 metri d’altezza. In quell’occasione a Roberto sorge il desiderio di attraversare l’America Latina nel luogo più ampio, congiungendo i due oceani, Atlantico e Pacifico, usando quale via di transito il Rio delle Amazzoni, il fiume più lungo del mondo, con quasi 7000 chilometri di sviluppo e una portata d’acqua inimmaginabile. Questo sogno dura quarant’anni, cosicché a 68 anni Roberto lo realizza. Un percorso di tre mesi e mezzo nell’inverno del 2020, partendo da Belem (Brasile), sino alle pendici del Nevado Mismi (Perù) dove il fiume a 5140 metri sul livello del mare ha la sua sorgente. Una strada indicata da Amerigo Vespucci, che per primo, a inizio XVI secolo, scoprì che quella non era l’estrema estensione dell’Asia Orientale, ma parte di un continente sconosciuto, che poi prese il suo nome. Questa è stata la sua ultima impresa, fra le molte, percorsa usando i mezzi di locomozione di fortuna offerti nei diversi luoghi. La via percorsa da Ive è stata quella fluviale e quindi navi, battelli, barche, piroghe. Sono questi i mezzi solitamente usati dagli indigeni per risalire e scendere il corso d’acqua, anche perché, molti dei posti attraversati non hanno connessione via strada. Ma questo a lui, abituato a aspetti ben più complicati, non gli fecero specie. Eppure, tornò da quei luoghi appesantito. Di fatto, per Roberto Ive, era abituale la frequentazione di posti insoliti, per nulla turistici: Ande, Afganistan, Cina, Mongolia, sono solo alcune delle aree da lui visitate. Ma cosa lo spingeva? La bramosia di conoscenza, la voglia di avventura. In una recente intervista, al quesito sulle motivazioni dichiarava: “Resta la delusione e la vergogna per non comprendere che siamo circondati da un favoloso ambiente naturale e che preservarlo, facciamo di tutto per annientarlo e distruggerlo. ” Da alcuni anni aveva individuato un terreno, nella locale zona triestina di via del che definiva il suo “paradiso”, un posto particolare dove, sui pastini, li aveva ti di piante di ulivi e dove orgogliosamente realizzava il proprio olio extra “oilive”.
Gianni Pistrini