Grotta Savi

 

NOTICINE GEOLOGICHE E GEOMORFOLOGICHE

Passaggio affacciantesi ai grandi vani

Pubblicato sul n. 26 di PROGRESSIONE – Anno 1992
A voler essere estremamente sintetici (ma non per questo inesatti) basterebbe dire che la grotta Savi, dal punto di vista geologico, si sviluppa interamente in cal­cari fossiliferi abbastanza carsificabili e va­riamente dislocati da una intensa tettonica e che, dal punto di vista morfologico, è al momento costituita da tre distinti tratti inter­secantisi:
– un articolato sistema di gallerie subo­rizzontali riccamente concrezionate e riem­pite, ad andamento blandamente mean­dreggiante in direzione grossomodo SE-NW lungo circa 800 metri;
– un sistema di 3 (4 al momento di anda­re in stampa) sale di crollo collegate da bre­vi gallerie-cunicoli fra crolli e concrezioni, dal­la volta ad andamento suborizzontale e dal fondo irregolare per crolli e concrezioni, che si sviluppano complessivamente per circa 400 metri secondo due direttrici quasi per­pendicolari (NW-SE e SW-NE);
– una serie di strette gallerie lunghe complessivamente più di 400 metri, a pro­fondi meandri intervallati da piccole sale, che si sviluppa trasversalmente alle gal­lerie principali.
Fra grandi e piccoli vuoti, fra pozzetti e cunicoli, si hanno quasi due chilome­tri di un affascinan­te e complesso si­stema ipogeo dalla storia estremamen­te varia.
Volendo essere più esaurienti tutta­via, sono utili alcu­ne altre considera­zioni.
La cavità si apre nei calcari ad Alve­oline e Nummuliti che la Scienza uffi­ciale ha recente­mente attribuito al “Membro di Opicina”, potente unità litologica di età Paleo­cene-Eocene posta a chiusura della suc­cessione calcarea del Carso triestino.
Si tratta di calcari purissimi, da grigio chiari a grigio scuro nerastri (in cavità que­sti ultimi predominano), ricchissimi di resti organici (per lo più Foraminiferi). Hanno carsificabilità teorica medio-alta in quanto sono spesso caratterizzati da abbondante calcite spatica (ma la carsificabilità aumen­ta negli intervalli micritici nerastri), hanno stratificazione da netta ad ondulata-indi­stinta, solitamente in bancate potenti da alcuni decimetri al metro abbondante.
I calcari, specialmente in destra del Tor­rente Rosandra ove si apre la cavità, sono a contatto tettonico, per sovrascorrimenti e fa­glie inverse, con rocce della Formazione eocenica del Flysch, cioè con una fitta alter­nanza di marne ed arenarie non carsificabili. Nel Carso triestino il Flysch sovrasta i calca­ri essendo di età più recente (Eocene-Oligo­cene) e rappresenta il termine di chiusura della successione affiorante. L’ingresso della grotta si apre, e tutto il sistema iniziale di gallerie si sviluppa, a quo­ta circa 350, in orizzonti potenti poco più di un centinaio di metri a contatto tettonico lun­go un piano inclinato di circa 30° verso NNE che porta, a quota 300 circa, i calcari a sovrascorrere (non di molto probabilmente) su altri calcari, favoriti in ciò da una trentina di metri di marne sottilmente fogliettate che hanno funzionato da lubrificante.
Il sovra­scorrimento sembra estinguersi a forbice alcune centinaia di metri più ad Ovest, in corrispondenza di alcuni disturbi tettonici trasversali alla struttura valliva: almeno due (ma probabilmente un fascio) faglie subver­ticali o molto inclinate (fino a 700-.65), dall’andamento ondulato circa N-S (si veda l’articolo di Cucchi, Finocchiaro & Vaia ap­parso negli Atti del 1° Simposio interna­zionale sulle piattaforme carbonatiche del 1987 pubblicati sulle Memorie della Socie­tà Geologica Italiana).
La giacitura degli strati non è costante ed ha brusche variazioni in corrispondenza dei blocchi dislocati: inizialmente a>reggi-poggio debolmente inclinata, diviene a traversopoggio inclinata di 350-400 verso NW; assume immersione opposta nella fascia a faglie, per ridivenire a franapoggio inclina­ta di circa 200-250 verso NE a occidente della fascia.
Tutta questa porzione di massiccio (in pratica il Monte Stena) è a sua volta a con­tatto tettonico, per un altro sovrascorrimento lungo un piano a direzione NW-SE e im­mersione di 400-450 verso NE, con marne ed arenarie sovrastanti calcari, lungo una fascia suborizzonlale molto estesa che in corrispondenza dell’abitato di San Lorenzo ruota verso Ovest innestandosi nella più complessa “Linea della Val Rosandra”, faglia inversa a carattere regionale.
La Fessura del Vento, la complessa ca­vità che si sviluppa al di sotto del tratto a grandi vani che caratterizza la parte occi­dentale della Grotta Savi, si apre a quota 290 circa e in pratica si approfondisce lun­go la massima pendenza del piano di que­sta faglia in corrispondenza del blocco di­slocato dalle taglie trasversali.
Le caratteristiche litologiche e struttura­li del massiccio quindi sono tali da consen­tire lo sviluppo di ampi ed articolati sistemi ipogei in grado di trasferire le acque dai bacini orientali (ove ancora è presente il substrato flyschoide qui ormai abraso) tan­to verso NW quanto verso Nord e NE, ver­so l’interno del Carso. Non risultano a tut­t’oggi fattori limitanti in orizzontale e verticale l’ampiezza del fenomeno, se non quelli presenti a NE, in corrispondenza de­gli abitati di Draga S.Elia e Pese ove un altro sovrascorrimento complica l’assetto strutturale profondo e le dislocazioni della Val Rosandra.

Sezione geologica – 1: Calcari del ‘Membro di Opicina”; 2: Flysch, calcari marnosi; 3: Flysch, marne e arenarie [da The Geology of T. Rosandra Valley, Cucchi et al., “Mem. Soc. Geol. IL, 40 (1987)]

Per quanto riguarda gli aspetti pretta­mente morfologici, i vani sono inseribili nella categoria delle forme paragenetiche, quel­le cioè in cui il modificarsi delle condizioni geoidrologiche (variazioni di portate e di livelli di base) e climatiche ha comportato profonde modifiche alle morfologie singe­netiche.
Ad una fase speleosingenetica in con­dizioni di saturazione o comunque di regi­me idrico freatico prevalente, durante la quale si sono sviluppati i tratti in galleria ad andamento ondulato, se non talora mean­dreggiante, a quota 340-330 circa, si deve essere sovrapposta una fase di decisa va­dosità, con una zona di percolazione este­sa e un livello di base più basso di parec­chie decine di metri. Si sono avuti così gli approfondimenti delle gallerie, la genesi del tratto trasversale a meandri e (probabilmen­te accompagnata da attività tettonica ab­bastanza intensa) quella delle grandi sale di crollo. Nel frattempo, o subito dopo, ci deve essere anche stata una attività di de­posizione chimica particolarmente intensa seguita e/o intervallata da potenti flussi idrici con trasporto di materiale ghiaioso anche grossolano e sabbioso-argilloso a formare potenti depositi di riempimento.
L’approfondimento e l’ampliamento del­la Valle, il crollo di parti di cavità per arre­tramento del versante, la deposizione nei tratti più esterni della grotta di depositi di brecce di versante, il concrezionamento at­tuale sono poi tutti avvenimenti abbastan­za recenti che poco hanno modificato l’iter speleogenetico.
Resta una cavità dalle morfologie estre­mamente interessanti, non frequenti nel Carso triestino in quanto connubio fra grot­te attive di alta montagna, grotte di attra­versamento appenniniche e cavità del Car­so classico, dai depositi di riempimento molto significativi, dall’evoluzione lunga e complessa, dalle possibilità di connessione con altre cavità e di prosecuzione notevoli.
Mentre le esplorazioni proseguono è ini­ziata una fase di studio prettamente geolo­gico, con il prelievo di campioni di depositi (per analisi mineralogiche e sedimentologi­che) e di concrezioni (per datazioni), con osservazioni geo-morfo-strutturali, con as­sunzione di dati strutturali e non.
Il grande gioco fra speleologo e karst continua.
                                                                                           Franco Cucchi

Carta geologica – 1:Calcari del “Membro d’Opicina; 2: Flysch calcari marnosi; 3 Flysch, marne e arenarie; 4: Sedimenti quaternari; a: Immersioni degli strati; b: Strati subverticali; c: Strati suborizzontall; d: Faglie e sovrascorrimenti; e: Traccia sezione geologica.[da The Geology of T. Rosandra Valley, Cucchi et al., “Mem. Soc. Geol. R., 40 (1987)1