L’acquedotto Teresiano

 

L’ACQUEDOTTO TERESIANO NELLA TRIESTE EMPORIALE DEL XVIII SECOLO.

“Galleria superiore” dell’acquedotto Teresiano (n.CA 2 FVG-TS) –Dispositivo di prefiltraggio dell’acqua, lungo il ramo di sinistra. (Foto P. Guglia)

Pubblicato sul n. 27 di PROGRESSIONE – Anno 1992

Premessa.

Discorrendo di “speleologia in cavità artificiali” si può osservare come, per ogni centro abitato, sia individuabile un tema pre­ferenziale che emerge tra gli altri, una caratteristica specifica attraverso la quale la località viene ricordata e citata: Napoli è famosa per l’acquedotto del Carmignano, Bergamo per le opere militari ricavate all’in­terno delle mura venete, Siena per i suoi estesi “bottini”, Cagliari per le sue cisterne puniche. La città di Trieste, se si dimentica­no per un attimo il Carso e l’attività di ricer­ca ad esso collegata e si affronta invece lo specifico argomento delle opere artificiali, non può essere ricordata che per l’ac­quedotto Teresiano. Questo manufatto ha attirato da sempre l’attenzione degli spe­leologi locali, anche in periodi in cui si era ancora ben lontani dal concepire una “pos­sibile” speleologia rivolta in modo specifico a cavità sotterranee non naturali. Per fare un esempio fra i tanti, lo studioso E. Boe­gan ha citato in vari suoi studi le gallerie dell’acquedotto Teresiano, ed è proprio a lui che si devono le prime precise descrizioni di alcuni cunicoli di captazione (1906). In seguito, vari gruppi locali si sono interessa­ti all’argomento, ma solo recentemente è stato possibile tracciare un quadro abba­stanza completo dell’estesa e complicata rete di cunicoli, gallerie e tubazioni di que­sto importante acquedotto della Trieste em­poriale.
L’acquedotto Teresiano.
Questa notevole opera idraulica venne realizzata in seguito ad un decreto emana­to dall’imperatrice Maria Teresa nel novem­bre dell’anno 1749. La costruzione dell’acquedotto, effettuata sotto la direzione tecnica del generale Bohn e dell’ing. Bono­mo, sfruttò le varie sorgenti d’acqua della valle di San Giovanni (conosciute e già par­zialmente utilizzate in epoca romana) tra­mite l’escavazione di numerose gallerie di captazione. Il principio di funzionamento di questi cunicoli, conosciuti con il termine tedesco “wasser gallerie”, è decisamente semplice: l’arenaria delle colline circostanti la città di Trieste è una roccia sostanzial­mente impermeabile, ma nella quale esi­stono comunque dei reticoli di fratture che convogliano in profondità una parte delle precipitazioni. Una galleria d’acqua ha ap­punto il compito di raccogliere almeno una parte di tale esigua circolazione idrica sotter­ranea. Più lungo sarà lo scavo, più fratture verranno intercettate e maggiore sarà la resa.
La ricostruzione dello sviluppo reale dell’acquedotto è sempre stata un’impresa di notevole difficoltà proprio perchè, nel cor­so degli anni, sono state scavate ed allac­ciate numerose gallerie, che sono state a loro volta staccate dalla rete, quando la resa veniva a diminuire. Anche le tubazioni di collegamento hanno subito nel tempo mo­difiche e variazioni di percorso, per cui è facile vedere come, a secondo del momen­to considerato, lo sviluppo complessivo ab­bia effettivamente presentato delle variazioni anche notevoli.

Galleria nel bosco Marchesetti” (N.CA 3 FVG-TS) – Parte terminale del cunicolo in salita, dove l’acqua ha depositato notevoli colate calcitiche. (Foto P. Guglia)

In linea di massima, comunque, l’acque­dotto può considerarsi diviso in cinque par­ti:

1) Il Capofonte e le gallerie superiori di San Giovanni.

Ancora oggi, in via delle Cave alla quo­ta di 96 m slm, è visibile ciò che rimane del Capofonte (n. CA 1 FVG-TS), costruzione sotterranea dove furono realizzati i primi ba­cini di filtraggio dell’acquedotto: l’acqua qui convogliata si liberava delle grosse impuri­tà, prima di imboccare la conduttura diretta in città. Varie gallerie di captazione erano allacciate al Capofonte. Quella principale, chiamata galleria Superiore (n. CA 2 FVG­TS) era originariamente collegata ai bacini di filtraggio tramite un cunicolo praticabile ma nell’anno 1881, a causa di pericolosi cedimenti della volta, ne fu interrotto il pas­saggio, garantendo il deflusso dell’acqua tra­mite una tubatura di ghisa. Oggi è possibile accedere alla galleria calandosi lungo un pozzo profondo 8 metri. Complessivamente il percorso sotterraneo misura 251 m ed è costituito da un passaggio principale di 105 m in direzione Ovest, al quale si aggiungo­no due diramazioni laterali: una a sinistra di 91 m, la seconda a destra con uno svilup­po di 55 m e la presenza di numerosi crolli e frane. Sempre al Capofonte facevano capo anche la galleria Slep e la galleria nel bosco Marchesetti. La prima risulta stacca­ta dall’acquedotto nei primi anni dell’800 e non doveva superare originariamente i 20 m di lunghezza. E’ però interessante nota­re che, nel 1805, fu redatto un progetto per ricostruire nuovamente la tubatura di colle­gamento al Capofonte. L’area in cui si apri­va la galleria Slep ha subito notevoli scon­volgimenti per la costruzione della ferrovia “Transalpina”, per cui è stato possibile rin­tracciare solamente dei canali recenti che, con molta probabilità, si sovrappongono ai vecchi manufatti teresiani. Per quanto ri­guarda invece la galleria nel bosco Mar­chesetti (n. CA 3 FVG-TS) i documenti sono scarsissimi. E’ stata ritrovata infatti solamente una planimetria della zona di Guar­diella, risalente al 1855, che riporta il Ca­pofonte e la tubatura di allacciamento di questa galleria. E’ stato possibile però rin­tracciare quel che rimane oggi di tale opera sotterranea: si tratta di un cunicolo che, con una lunghezza di oltre 100 m ed un dislivel­lo positivo di m 21, raccoglie le acque della valle del torrente Marchesetti. Di notevole importanza sono le vasche di decantazione di questa galleria, che presentano un volu­me utile di oltre 60 mc.

2) Le gallerie inferiori di San Giovanni.

Dopo circa 500 m in direzione Sud-Ovest, la conduttura principale si allacciava ad un altro esteso sistema di cunicoli che raccoglieva le acque della parte bassa del­la valle: le gallerie Secker (n. CA 14 FVG­TS). Ideate dall’ing. A. Secker, nel corso degli anni hanno subito vari prolungamenti, l’ultimo dei quali risale al periodo 1898/1902 (prolungamento Tschebull). L’unica entrata oggi accessibile è costituita da un ampio pozzo circolare munito di scala a chiocciola e chiuso da una botola, che si trova nei pressi della chiesa di San Giovanni. Scesi nel pozzo, si può risalire la galleria in dire­zione Nord-Est per un centinaio di metri, fino alla base di un altro pozzo ostruito da un ingente quantità di materiali provenienti dall’alto. Attualmente non è possibile supe­rare questo ostacolo, ma secondo le vec­chie planimetrie la galleria continuava an­cora per altri 650 m, fino a raggiungere la roccia calcarea Procedendo invece verso valle, è possibile percorrere 390 m di cuni­coli, raggiungendo la base di altri 3 pozzi di aerazione oggi ostruiti. Nei pressi dello sbocco originale, si è accumulata un’ingen­te quantità di sedimenti che attualmente im­pedisce ogni avanzamento.
E’ interessante rilevare come la tuba­zione che scendeva dal Capofonte si al­lacciava inizialmente proprio in corrispon­denza dell’accesso principale delle gallerie, mentre dal 1851 la conduttura venne con­vogliata direttamente in un pozzo di aera­zione della parte interna dei cunicoli. L’ac­qua raccolta veniva quindi condotta tramite tubazioni in direzione dell’odierna Rotondadel Boschetto. Il canale dell’acquedotto ri­sulta in questo tratto oramai distrutto dalla recente urbanizzazione, ma è ancora pos­sibile rintracciarne un tratto, rimasto fortu­nosamente integro ed isolato, lungo via delle Linfe (n. CA 13 FVG-TS).

3) Le gallerie del Torrente Starebrech.

Appena superato il torrente Starebrech, l’acquedotto riceveva un importante contri­buto da un’estesa rete di gallerie realizzata lungo la vallata di Longera. Queste gallerie furono staccate già nei primi anni dell’800 a causa della poca resa e della continua ma­nutenzione, e subirono molti danneggiamen­ti dovuti alle piene del vicino torrente.
Di questo vasto sistema sono oggi visi­tabili la galleria Stena superiore (n. CA 5 FVG-TS) e la galleria Stena inferiore (n. CA 4 FVG-TS). Entrambe presentano il trat­to iniziale rivestito in pietre di arenaria, men­tre la parte terminale risulta scavata nella roccia viva. La galleria superiore, per tutta la sua estensione (67 m), presenta le pareti coperte da un velo di acqua limpidissima. Nella galleria inferiore, lunga invece un cen­tinaio di metri, dopo 61 m di volta in mura- tura, l’acqua ha creato un ambiente talmente ricco di concrezioni calcitiche da poter reg­gere il confronto con le ben più antiche grot­te carsiche. Recentemente è stato possibi­le individuare gli accessi di altre gallerie facente parti di questo complesso, che sono ora in fase di esplorazione. La tubazione diretta in città proseguiva quindi lungo l’attuale via Pindemonte in direzione di viale XX Settembre, un tempo conosciuto come viale dell’Acquedotto.

4) Le opere di alimentazione a ridosso della città.

La conduttura dell’acquedotto, all’inter­no dello sfiatatoio n. 28, raccoglieva le ac­que di altre due opere artificiali: la galleria Giuliani e la fonte Sussnek. La galleria Giu­liani, chiamata così perchè scavata nella proprietà della famiglia omonima, era lunga inizialmente m. 19 ma, in seguito a lavori di restauro, è stata prolungata di altri 6 metri.
Dalle documentazioni risulta che la gal­leria Giuliani venne scollegata dall’acque­dotto già nella prima metà del 1800 e, vista la sua collocazione in un’area urbanizzata da più di un secolo, risulta oggi introvabile, Come predetto, l’acqua raccolta in que­sta galleria veniva convogliata, tramite una tubazione di 878 m., allo sfiatatoio n. 28, presénte un tempo in viale XX Settembre, all’altezza del teatro Rossetti. Nella stessa tubazione veniva raccolta anche l’acqua del­la fonte Sussnek.
Da ricerche d’archivio si è potuto appu­rare che quest’ultima non era una galleria vera e propria, bensì un manufatto per lo sfruttamento ottimale di una sorgente natu­rale preesistente.
Quest’opera era localizzata nei pressi dell’attuale Rotonda del Boschetto ma, tro­vandosi ad una quota troppo bassa rispetto al percorso del vi­cino acquedotto, venne collegata ad una lunga tu­bazione che, al­lacciando anche la galleria Giulia­ni e con percorso parallelo alla con­dotta principale, raggiungeva lo sfiatatoio n. 28.
Anche la tubatura della fonte Sussnek è stata staccata dall’acquedotto nei primi anni dell’800, ma è stato ritrovato un documento datato 1833 nel quale si proponeva la ricostruzione dell’allacciamento.
Durante le ricerche è stato possibile rin­tracciare, nelle immediate vicinanze della fonte Sussnek, una costruzione con breve galleria artificiale di alimentazione ed una cisterna sotterranea di 70 mc (n. CA 15 FVG-TS) che, pur non essendo citata nei documenti, faceva probabilmente parte dei vasto sistema di captazione teresiano.

5) La rete di distribuzione cittadina.

Dallo sfiatatoio n. 28, la tubazione pro­cedeva in direzione del centro cittadino, sen­za ricevere più apporti d’acqua. Venivano così alimentate fontane, edifici pubblici e palazzi privati del Borgo Teresiano e delle zone adiacenti.
Non risultando la rete di distribuzione di dimensioni praticabili, la stessa per ora non è stata oggetto di particolari ricerche.

Capofonte (n. CA 1 FVG TS) sviluppo m. 18
Galleria Superiore (n. CA 2 FVG TS) sviluppo m 235
Galleria Bosco Marchesetti (n. CA 3 FVG TS) sviluppo m. 113
Galleria Stena inferiore (n. CA 4 FVG TS) sviluppo m. 97
Galleria Stena superiore (n. CA 5 FVG TS) sviluppo m. 67
Cunicolo di via delle Linfe (n. CA 13 FVG TS) sviluppo m. 30
Galleria Seckerf Tschebull (n. CA 14 FVG TS) sviluppo m. 490
Cisterna del Bosco Farneto (n. CA 15 FVG TS) sviluppo m. 9
TOTALE m. 1.059

Conclusioni.

La Sezione di Speleologia Urbana della Società Adriatica di Speleologia sta condu­cendo le proprie ricerche sull’acquedotto Teresiano oramai da più di otto anni. In questo periodo è stato raccolto ogni dato disponibile sull’argomento, sono state effet­tuate attente ricerche negli archivi cittadini e sono state avviate numerose indagini sul territorio per il ritrovamento delle varie ope­re sotterranee ancora esistenti. Come è sta­to sopra evidenziato, numerosi ed inte­ressanti sono stati i risultati finora raggiunti che, considerando solamente l’aspetto esplorativo, possono essere così riassunti:
Le ricerche non possono ancora consi­derarsi completate e, come anticipato, sono imminenti nuove scoperte ed esplorazioni.
Fin d’ora, comunque, chiunque sia inte­ressato all’acquedotto Teresiano può final­mente disporre di dati concreti su ciò che oggi rimane delle varie opere sotterranee. Partendo da questi dati, potranno essere avviati innumerevoli studi da parte di spe­cialisti nei vari settori, spaziando da indagi­ni biologiche ad osservazioni tecnico/costrut­tive, da analisi sullo stato di inquinamento a ricerche sulle riserve idriche alternative.
Tutto questo a dimostrare che anche la speleologia in cavità artificiali, al pari di quel­la nelle cavità naturali (che può vantare una lunga tradizione di risultati scientifici), deve aspirare ad una funzione che supera il sem­plice interesse di pochi appassionati, per rivestire un ruolo di disciplina di pubblico interesse ed utilità.
                                                                               Paolo Guglia e Alessandro Pesaro