Navigando sul Mae Kok

 

QUASI SPELEOTURISMO

Pubblicato sul n. 22 di PROGRESSIONE  – Anno 1989
Per la terza volta nel giro di due anni mi trovo a navigare alquanto perigliosamente (le barche fanno acqua a tutto spiano) sul Mae Kok, un fiume che nasce da qualche parte in Birmania, entra in Thailandia nei pressi di That­horn e da lì attraversa una valle a tratti ampia, a tratti stretta fra tozze colline che offre paesaggi montani alquanto suggestivi, passa per Chian­grai, una delle principali città del nord e si getta infine nel famigerato Menam Kong (in breve Mékong) di bellica memoria dalle parti del Tri­angolo d’Oro.
La tragicomica masnada di vacanzieri ita­liani al mio seguito è già abbondantemente pro­vata dall’emozione delle rapide, infreddolita per i relativi copiosi schizzi d’acqua sugli abiti estivi, nonchè stordita dai bambini vocianti ed inva­denti delle tribù visitate lungo il percorso e non ha una gran voglia di scendere ancora. Stavolta manca l’elemento avventuroso-folkloristico del soldato di scorta (non si sa mai, se «i briganti birmani attacca nostra…» come dice la guida) con il suo mitra fra le gambe incrociate e l’aria paziente di chi, per dovere, ha da subirsi quella scomoda gita in barca, invece di godersi il tra­monto con le donnette Akha a Mae Salah…
Anche i barcaioli provano a «saltare» la sosta: prima dicono che adesso durante la sta­gione invernale l’acqua è troppo bassa, poi so­stengono che è troppo tardi e che col buio non vedono le secche prima di Chiangrai, ma io, sfidando la vendetta della mafia locale che la prossima volta mi affibbierà il peggior colabro­do della flotta, faccio valere il mio onore di capogruppo (e di speleologa della domenica – di dieci anni fa) e insisto: la sosta alla grotta è in programma e dunque s’ha da fare.
Con un’ampia virata a ridosso di una pare­te calcarea artisticamente sforacchiata dalle in­temperie e dalla corrente, che si erge solitaria sulla riva del fiume in mezzo ad una pianura argillosa, le yang-yao, le due barche a «coda lunga» dal motore riciclato di automobile vanno letteralmente ad arenarsi su una spiaggetta sot­to la roccia bianca striata di marrone in parte coperta da vegetazione tropicale.
Tanto per dare l’esempio alla truppa ormai infiacchita mi lancio verso la scalinata che porta alla bocca della cavità, lascio le scarpe sul pri­mo gradino in segno di rispetto per il tempio che vi si trova e salgo urlando ai pigroni di muoversi. Sono le cinque e mezza del pomerig­gio, il cielo si sta tingendo di un arancione tenue che dona riflessi dorati al nastro cristallino e placido del fiume, mentre una bufala bruca tranquilla l’erbetta sulla sponda…
In cima alla rampa sto ancora urlando di muoversi e di portare la macchina fotografica per riprendere il tramonto, quando mi giro e, dietro all’enorme statua di Buddha con in mano la ciotola monacale che presidia l’ingresso, scorgo la silenziosa presenza del monaco av­volto nella sua tela arancione, accovacciato sotto la parete del portale roccioso davanti ad un librone in lingua thai (o pali?) – l’ultima volta non c’era nessuno, è una apparizione del tutto inattesa.
Colta da improvvisa vergogna per le urla, abbasso il volume (per fortuna che almeno ho già tolto prima le scarpe) e mi avvicino salutan­do sorridendo, ricambiata con serena pacatez­za dal monaco, fra l’altro molto giovane (e per niente brutto, malgrado le orecchie a sventola) che mi fa cenno di entrare pure.
Con fare disinvolto e simulando almeno un po’ di interesse per gli altari sistemati nel fondo della grotta, ricordo alla torma finalmente in arrivo, di non schiammazzare (siamo in un luo­go sacro, in fin dei conti!) e di ammirare la conformazione della cavità.
Sopra il grande portale trapezoidale pian­tonato dal Buddha con la ciotola si apre un’ulte­riore ampia finestra triangolare dove è sistema­ta una statua con un Buddha accovacciato: all’interno, la cavità è profonda una decina di metri, in fondo c’è un altare con tutti gli attrezzi dell’adorazione (vaso con sabbia per piantarci i bastoncini con l’incenso, immagini varie, ecc.). A sinistra un altarino minore porta la scritta «Donation Box Please Donate for the Renoval of the Monk’s Cave» – metto subito una banco­nota per scusarmi del turistico disturbo confor­tata immediatamente da un sorriso approvato­re del monaco.
Giunti in fondo si gira a sinistra da dove proviene di nuovo la luce ambrata del tramon­to: un’altra vasta galleria parallela alla prima porta fino ad un altro altare sistemato su di un terrazzino dal quale si gode di una splendida vista sul fiume ed il sole calante nella valle. Il luogo è idilliaco, la quiete quasi totale, perfino i vacanzieri fotografoni e consumisti sembrano, una volta tanto, colpiti dal genius loci…
Tanto per far contenti Pino e Covellino (che sicuramente mi chiederanno particolari che non so) dò un’occhiata alla volta che si apre in vari camini che lasciano presumere prosecu­zioni, osservo una data (degli anni quaranta) ed alcuni geroglifici thai scritti col fumo sulla roc­cia, forse quella volta hanno risalito i camini? o magari c’è stato qualche miracolo? o forse è morto l’abate?
Non senza aver sciorinato qualche aned­doto cretino e chiaramente inventato sui tre­mendi pipistrelli thailandesi cannibali di giovedì rispedisco la ciurma al naviglio, vorrei tentare di chiedere informazioni al monaco (sempre per Pino) ma, giacchè questi non fa mostra di capi­re l’inglese, saluto e riprendo la scala, le scarpe, la barca, il Mae Kok fino a Chiangrai.
Qualche giorno dopo, sull’aereo che ci ri­porta a Trieste mi sorprende l’osservazione del turista più taciturno del gruppo: «Ma la se ricor­da, signorina, che bela quela grota, propio bela: ssai sugestivo, più bel de tuto…».
Chiaramente non avevo l’impiccio della macchina fotografica e, dato che le foto fatte l’altra volta sono tutte sfuocate, lavorate di fan­tasia, che non resta altro.
                                                                          Lorena Cattaruzza (Covellina)
P.S.: Tanto per dovere di cronaca segnalo che nel nord (e non solo lì) della Thailandia nume­rose sono le cavità, anche turistiche, segnalate dalle guide (ma mai visitate dalla sottoscritta). Nella stessa zona, ricordo fra tante quella di Chaingdao nei paraggi di Chiangmai e quella di Pha Thai a sud di Chiangrai considerata la più interessante grotta della Thailandia con le sue immancabili statue di Buddha, monaci, reliquie, serpenti e perfino guano…