ABISSO GORTANI: SIFONE FINALE (-934)
Pubblicato sul n. 15 di PROGRESSIONE – Anno 1986
Qualche attento lettore d’oltre Timavo ha osservato che nella nostra rivista si dà scarso risalto alla scoperta di profondi abissi e ad altre imprese notevoli che meriterebbero per la loro importanza una maggiore considerazione. Il rilievo indubbiamente è giusto, ma teniamo a precisare che ciò non è dovuto ad una singolare forma di snobismo – che sarebbe del resto controproducente – ma bensì alla familiarità con la quale a Trieste si trattano le grotte, per cui- ad esempio – di un ragguardevole abisso come il PAOLO FONDA (-700 con una verticale di 280 m) è venuta fuori solo una cronaca d’esplorazione dal tono scanzonato, che risulta ancor più sorprendente se si ricorda il pericoloso incidente della piena.
I nostri articolisti in effetti rifuggono da ogni enfatisrno o retorica, in modo che anche vicende ricche di suspense o quanto meno di serio impegno tecnico assumono il sapore di una gita scolastica appena degna di essere raccontata. Ulteriore esempio di questo modo «leggero» di trattare cose di una certa rilevanza è il seguente articolo, che parla del primo tentativo di superare il sifone terminale dell’Abisso MICHELE GORTANI sul Canin. L’Autore oltretutto non ha ritenuto necessario accennare che in Italia non era mai stata fatta un’immersione a 920 metri sotto terra e che il tratto subacqueo ha fatto scavalcare all’Abisso GORTANI la GROTTA DI MONTE CUCCO, per quello che può significare questo giuoco di pochi metri in più o in meno. A noi stessi della precedente generazione questa nonchalence sembra un po’ eccessiva, ma è meglio così che il contrario. Altro segno dei tempi nuovi è la composizione della squadra, formata da elementi di tre gruppi speleologici triestini ed anche di questo non c’è che da rallegrarsi.
D. M.
«Basta, non m’incastrano più», lo dico sempre quando esco da qualche storiaccia, ma ogni volta inevitabilmente ci ricasco. Ora tocca al GORTANI, novecento metri tra pozzi e meandri per arrivare al fatidico sifone terminale dove mi immergerò assieme a Roberto in quelle acque gelide e sconosciute. Abbiamo una nutrita squadra d’appoggio, che tuttavia non è sufficiente a trasportare tutto il materiale occorrente: sub o non sub dovrò anch’io prendere un sacco. Partiamo il 17 (naturalmente di venerdì) gennaio; altri compagni ci raggiungeranno il giorno dopo lassù sul nevoso Col delle Erbe. Il viaggio è al solito senza storia come tanti altri, ma almeno il tempo è bello e le previsioni meteorologiche favorevoli, malgrado i —20° C.
Con l’arrivo di tutti i partecipanti inizia questa nuova avventura e all’una di domenica arriviamo sul fondo fangoso dell’abisso, gravati da” peso di bombole e piombi. Fasciati e protetti daì neoprene ci immergiamo verso l’ignoto, la visibilità è ottima, mentre l’acqua con i suoi 2° C taglia i nostri volti. Scendiamo lentamente i 6 m del laghetto, poi sul fondo dello stesso troviamo tra massi di frana l’inizio di una galleria; dopo 15 m essa finisce, ma sulla destra un passaggio tra blocchi ci porta in ripida discesa a —14. Più oltre la frana si esaurisce, lasciando il posto ad un corridoio largo 5 m e non più alto di uno, dal fondo ghiaioso coperto da un leggero strato d’argilla. Lo percorriamo per circa 40 m finchè la sagola EDELRID da 10 mm finisce; proseguo da solo nel nulla ancora una quindicina di metri in direzione • Est con leggeri saliscendi, senza trovare il pelo libero e quindi decido di ritornare, considerata la mancanza della sagola e vista la poca aria rimasta nella bombola da 5 litri. Com’era prevedibile, l’acqua ha perso la sua limpidezza ed ha ora una tinta caffelatte che complica il nostro viaggio verso la superficie, che raggiungiamo dopo 12 minuti, con una permanenza complessiva sott’acqua di 20 minuti.
I nostri compagni – inquieti per la durata dell’immersione – ci aiutano nella svestizione, dopo di – che ci ritiriamo a riposare alcune ore nella tendina allestita per l’occasione, bevendo avidamente una gran quantità di the prima di risalire verso la lontanissima uscita. A —450 ci viene incontro una squadra di recupero con la quale ci tratteniamo a parlare (ma più che altro a riposare). Verso sera esco dalla grotta, mentre a notte ormai fatta sono fuori anche gli ultimi amici impegnati nel trasporto del materiale.
Spartaco Savio
PARTECIPANTI
Spartaco Savio – C.G.E.B. (sub)
Roberto Tomè – C.A.T. (sub)
Mario Bianchetti, Guido Sollazzi, Patrizia Squassino, Angelo Zagolin, Paolo Pezzolato, Gianpaolo Vascotto, Tullio Ferluga, Tullio Dagnello (C .G.E.B.). Riccardo Segarich, Silvia Basiacco (C.A.T.). Fabio Spogliarich, Paolo Baxa, Roberto Canzi (G.S.S.a).
ABISSO MICHELE GORTANI IMMERSIONE A —920
Pubblicato sul n. 23 di PROGRESSIONE Anno 1989
Venerdì, 13 febbraio 1989
Documenti prego: oddio e perchè?
Sono vostre le macchine? Si! – I libretti! Eccoli! – Aspettate qui! Agente scusi, guardi che tra due ore ci aspetta un elicottero che… Non vi preoccupate!
Insomma, per mezz’ora ci hanno controllato tutto, anche… Vuoti le tasche, apra il portafoglio, alzi i sedili, apra il baule, che cos’ha nelle scarpe…
Comunque a Nevea ci siamo arrivati in tempo e, come nostra usanza («Dio vardi un mal de note»), lasciamo una radio alla G.d.F. di Sella Nevea e «voliamo» (con l’elicottero..:) sul Col delle Erbe, al bivacco D.V.P.
Finanza da bivacco – Finanza da bivacco -cambio / avanti bivacco, qui Finanza / prova di collegamento / O.K. a risentirci.
Bell’inizio per una spedizione, vero?
Tutto calcolato e tutto fila liscio ma, a -920, a vestizione ultimata, un attimo prima dell’immersione… passami lo svolgisagola! si! crac… 400 metri di bina «ingropai». Fine della spedizione.
Sabato, 18 febbraio
Una settimana dopo siamo nuovamente in bivacco. Questa volta raggiunto a piedi.
La neve: elemento numero uno del panorama che rende difficoltoso l’avvicinamento al bivacco, fino a farlo divenire talvolta irraggiungibile, quest’anno esiste solo in cartolina, sembra di essere a giugno. Qualche impiastricciata sui versanti Nord e tutto il resto verde. Attorno al D.V.P. solo karren e speleologi distesi al sole a godersi le ultime ore calde prima della grande punta.
Alle tre inizia la discesa. Tutto O.K. si scatta qualche foto, si armano gli ultimi pozzi e in otto ore si arriva a —926, sul fondo. Mangiamo qualcosa e inizio a vestirmi. Tuta in paille, muta stagna, accumulatori, piombi, tribo da dieci, erogatori, lampade, tabelle… sagola… (stavolta non «ingropada»).
I sifone
La temperatura dell’acqua è di 2 gradi, la visibilità è più che ottima, ma so già che al ritorno non sarà così, per cui cerco di posizionare la sagola più al centro possibile, stando sotto volta per non sporcare, e seguo la via dell’acqua. Per chi non lo sa, anche nei sifoni l’acqua segue un suo percorso, condizionato dalla morfologia stessa della caverna, tracciando un percorso più pulito nel punto di massima corrente e lasciando i depositi sui lati. Ma torniamo sotto.
L’ambiente mi è familiare, i primi 60 m li avevo già esplorati assieme a Roberto Tomè nel 1986, e questo per un sub significa tanto, significa avere una maggiore padronanza.
La galleria, in media alta un metro e larga cinque, continua con andamento irregolare, con il fondo ghiaioso, simile alla Galleria del Vento. A 120 m trovo lo svolgisagola di Kekez, lasciatovi nell’87; lo supero, proseguo per altri 30 m e sono sotto un camino, alla profondità di -28 m.
Su in verticale perfetta, a riemergere:
Un laghetto e una faglia della stessa dimensione su cui sono impostate le gallerie di fondo del «Michele».
Da qui, due le possibilità: da un lato un laghetto, dall’altro togliersi tutto e proseguire a piedi: troppo laborioso, rimango in acqua. Un piccolo dosso di fango e giù di nuovo.
II sifone
Questo è brutto, penso finirà in niente, è troppo sporco; la volta, le pareti, il fondo, tutto ricoperto, impiastricciato di un fango nerissimo; è impossibile non sporcare. Avanzo lentamente per quaranta metri e riemergo nuovamente. Un grosso arrivo d’acqua, vado a vedere. Ci ripenso, è troppo tardi, gli altri mi aspettano.
Taglio la sagola a 235 m è torno indietro.
Visibilità zero, rilevare è impossibile, riesco a malapena a trascrivere qualche dato, le direzioni più imponenti, le varie profondità e per le lunghezze, la sagola è metrata, il resto tanta memoria e un po’ di fantasia.
Un’ora e quindici di esplorazione sub: il più è fatto, ora basta uscire!!??
Spartaco Savio