Le bocche soffianti timaviche

 

PLESIOCRIPTOSCOPIA TRA POLITICA E SCIENZA

A – Cava vecchia; B • Grotta meravigliosa di Lazzaro Jerco; C – Pozzo della volpe; D • 87; E • Grotta decapitata; F • Donna delle cime; G – Scavo dei sette nani; H – Hrovatinova Jama

Pubblicato sul n. 6 di PROGRESSIONE – Anno 1980

Qualunque impresa umana deve far i conti prima o poi con quella malfamata fac­cenda che è la politica ed a questa realtà do­vette adattarsi fin dal suo inizio anche la speleologia, la quale aveva la stessa predi­lezione ad agire nell’ombra, sia pur con scopi ben diversi. Dapprima vi furono per noi tem­pi duri, poi nel ’18 il vento girò a Sud por­tandoci per poche lire la Riesengrotte, men­tre in via Gallina planavano le effigi delle loro k. u. k. auguste maestà, compreso il mite patrono turistico Arciduca Lodovico Salvatore.
In seguito la politica tramenò ancora nelle cose delle grotte, talvolta con nostro vantaggio e durante la guerra in modo dele­terio per il Catasto, sulle cui vicende vi sono tre versioni che adombravano una verità si­cura. Venendo direttamente ai giorni attuali, vi è la storia del trattato che voleva sul Carso una zona industriale, progetto i cui co­sti folli bastavano da soli a renderlo irrea­lizzabile senza mobilitare le piazze. La crea­tura era dunque segnata sul nascere allorchè vennero avviati lo stesso gli studi di fattibilità del valore di un mezzo miliardo, cifra di questi tempi quasi modesta. Della ZFIC — rinnegata dagli stessi genitori — riman­gono così le care indagini, costituite da una cartografia al 1000, sondaggi geoelettrici, ri­lievi geologici e da una ripresa aerea all’in­frarosso.
Si può sperare che i risultati completi di questi lavori — altrimenti ormai inutili — saranno un giorno a disposizione e da un primo orientamento sembra che di maggior vantaggio sarà il 1000 quale correttivo alle incomplete indicazioni del 5000 tecnico, con il quale le incertezze sulle posizioni delle grotte non sono finite. La verifica degli altri dati richiederà molto tempo, ma una per­plessità immediata riguarda le anomalie ter­miche, che nella intenzione dovevano rive­lare la presenza di cavità a noi stessi ignote. Secondo la nostra pedestre ma smaliziata esperienza di «scafuniatori» (bellissimo ter­mine siculo che indica persona che cerca qualcosa frugando minuziosamente con sa­pienza ed acume), i risultati della termogra­fia possono avere una validità solo se i ri­lievi sono stati fatti nel momento più adatto, scelto in base alle indicazioni di uno stu­dioso che conosca le grotte ed i fenomeni fisici ad esse connessi. L’unico a Trieste non è stato consultato, per cui le riprese aeree sono state fatte probabilmente in una situa­zione stagionale e meteorologica qualunque, ripetendo il peccato originale di un 5000 fo­tografato in pieno rigoglio vegetazionale.
Allo srotolarsi della mappa dove si so­vrapponevano a somiglianza di ghiotto «giar­dinetto» aree ad alta resistività e sfiatatoi sconosciuti più di qualche occhio si allupò e in timidi cuoricini nacque la speranza che fosse finita l’era dei santoni della battuta, inquietanti figure tra stregone-geognosta-rab­domante sotto il cui strangolino il calcare si divarica contro ogni legge di natura. L’en­tusiasmo si è piuttosto raggrinzito dopo la visita precipitosa a qualcuna di queste zone, rimaste ermetiche più di prima. Quanto ai punti «caldi», solo l’occhio all’infrarosso ha potuto vederli, mentre noi gattonando pate­ticamente a cacciare le dita nelle minime sfese abbiamo percepito solo gli effluvi au­tunnali di ciclamini e santoreggia in fiore. Ripresa in mano la carta, si è visto con co­sternazione che i fluidi elettrici avevano tra­passato direttamente cavernoni di poco sot­tocutanei e che risapute bocche soffianti ave­vano trattenuto il fiato al passaggio dell’aereo inquisitore. Ora non è detto che sia tutto da buttar via, nè vogliamo apparire ingrati verso chi ci offre supporti altrove impensati, ma è ben vero che nella prospezione speleo­logica la scienza ha tuttora margini di incer­tezza superiori a quelli del bastone del «Ve­cio», alla neve fondente, al muschio fuori posto, al sospiro da cogliere a fil di terra. Con questi sistemi rustici sono stati stanati migliaia di opercoli furtivi contro una sola scoperta strumentale e per qualche tempo sarà ancora così.
Restando in tema di pratiche ricognitive tradizionali nonchè romantiche, mi piace pre­sentare qui una cartina preziosa risalente al 1851, che ha l’ulteriore pregio di essere stata ricopiata dalla mano di Eugenio Boegan dal­l’introvabile lavoro di Adolf Schmidl «Ober den unterrirdischen Lauf der Recca». Essa indica le 31 protocavità trovate dall’inven­tore della speleologia ingaggiato allo scopo dall’i.r. Ministero del Commercio di un pae­se ordinato, nonchè alcuni punti dove usci­vano correnti d’aria con le piene timaviche.
Tra questi vi è anche il buco meraviglioso di Percedol sul quale ho scritto nel 1972 su «Mondo Sotterraneo», restando però evasivo sulla ubicazione precisa degli altri posti sof­fianti, forse perchè la loro individuazione era stata tanto laboriosa che ci piaceva re­stasse un segreto nostro, come per un certo tempo rimase la reale importanza della grot­ta di Percedol.
Ormai molti se ne sono andati e noi su­perstiti siamo in quell’età in cui l’orologio può fermarsi da un momento all’altro, per cui ecco un’altra carta con i luoghi fatidici, disposti in un allineamento significativo. Lo spazio non permette di raccontare cosa vi abbiamo fatto e come finì il sogno di tro­vare il fiume, al quale forse non crede più nemmeno l’amico «Jure» Nicon, caposcuola indiscusso degli evocatori di entità quasi in­visibili.
E’ il caso di precisare in fine che le ri­cerche in questi luoghi ed altrove sono state fatte alle vecchia maniera, avendo come stru­menti la bacchetta sbisigatoria e i soliti ordegni pesanti tipo cava. La scienza ci è ve­nuta incontro con l’elaborata struttura mole­colare degli stagnacchi, unico vantaggio per­chè al nostro uso la canapa è sempre miglio­re. Nessun intervento politico ha influito mi­nimamente sul nostro vaneggiante desiderio di vedere poco prima quell’acqua che viene fuori per conto suo più abbondante e sospet­ta. Queste cose strane che abbiamo fatto nel periodo critico della gioventù forse ci hanno distolto da imprese maggiormente pericolose e ne abbiamo acquisito una concezione filo­sofica della vita che ci consente di stare me­glio di tanti altri in questo sporco mondo. Ma questo mi pare di averlo già scritto da qualche parte.
Dario Marini