Inghiottitoio III dei piani di S.Maria

 

NUOVE OSSERVAZIONI SULL’INGHIOTTITOIO III DEI PIANI DI S. MARIA (Monte Alburno Appennino Lucano)

Pubblicato su Atti e Memorie della Comm. Grotte ” Boegan” Voi. 17 pp. 29-34 Trieste 1978

RIASSUNTO

Viene descritto l’Inghiottitoio III dei Piani di S. Maria (profondità m 422, sviluppo m 1510), una delle maggiori cavità carsiche del Monte Alburno (Appennino Lucano), con particolare riferimento alla «Galleria del Torrente», lunga m 500. Quest’ultimo ramo, che corrisponde alla parte più profonda della grotta, è stato esplorato completamente nell’estate 1977; vi scorre un corso d’acqua con portata in ma­gra di circa 10 1/sec. Nel lavoro si avanza l’ipotesi che si tratti dello stesso torrente che percorre la vicina Grava del Fumo.

SUMMARY

Thè Author describes thè «Inghiottitoio III dei Piani di S. Maria», one of thè biggest karstic caves of Mount Alburno (Lucano Appennines), thè exploration of which was completed in thè summer of 1977. Thè cave is 422 metres deep and thè total lenght of thè channels is 1510 metres and it expands into thè limestones of thè Cretaceous period. Thè Author deals in particular with thè «Galleria del Torrente» (Stream Channel), 500 metres long, this forms thè deepest part of thè cave. A stream runs along thè channel whose capacity, at lowest ebb, is of about 10 1/sec. A number of elements brought together in thè course of thè 1977 exploration lead to thè probable conclusion that it is thè same stream as that which runs through thè near  «Grava del Fumo».

PREMESSA

Nel corso della XIV campagna estiva (agosto 1977) organizzata dalla Com­missione Grotte «Eugenio Boegan»  Società Alpina delle Giulie, Sezione di Trieste del C. A. L, sul massiccio del Monte Alburno è stata completata l’esplorazione del­l’Inghiottitoio III dei Piani di S. Maria (Cp472), uno dei maggiori complessi ipogei della zona. La cavità, che viene descritta nella presente nota, venne scoperta nel 1968 ed esplorata durante le campagne 196869707475 fino a quota -395, raggiun­gendo la parte mediana di un’ampia galleria («Galleria del Torrente»), percorsa da un torrente con notevole portata. Questa galleria è stata rilevata completamente (a monte ed a valle) nell’ago­sto 1977, per una lunghezza complessiva di m 500. Considerando il nuovo ramo, l’Inghiottitoio III dei Piani di S. Maria pre­senta uno sviluppo planimetrico totale di m 1510 ed una profondità di m 422. Una descrizione, corredata dal rilievo, dei tratti di cavità rilevati negli anni precedenti si trova in Gasparo (1970, 1976).
NOTE SULLA GEOLOGIA DEL MONTE ALBURNO
II massiccio del Monte Alburno, uno dei principali rilievi carbonatici dell’Appennino Meridionale, è compreso fra il corso dei fiumi Tanagro e Calore, in pros­simità della loro confluenza col Fiume Sele.
Le caratteristiche della serie sedimentaria affiorante nell’area sono state de­scritte da Cestari (1971) e Pescatore et al. (1973). Questi ultimi Autori riportano per il Monte Alburno la seguente successione stratigrafica:
–      Dogger Malm: calcari oolitici, calcareniti e calcilutiti, subordinatamente calcari dolomitici e dolomie; spessore m 400500.
–      Cretacico:  calcareniti e calcilutiti, calcari dolomitici e subordinatamente do­lomie; spessore: m 8001000.
–      Paleocene Eocene:  calcareniti e calcilutiti con intercalazioni argillose, conglo­merati calcarei a matrice marnosoargillosa, brecciole calcaree; spessore: alcu­ne decine di metri.
–      Miocene inferiore e medio: marne, argille, arenarie e conglomerati a matricearenaria con intercalati olistostromi di Argille Varicolori; spessore: alcune cen­tinaia di metri.
–      Quaternario: brecce di pendio cementate e non, depositi piroclastici più o me­no argillificati, prodotti eluviali.
Dal punto di vista strutturale, il gruppo montuoso è costituito da due gran­di monoclinali – immergenti a SW e delimitate da importanti faglie periferiche – delle quali quella meridionale, di gran lunga la più estesa, costituisce i Monti Al­burni propriamente detti. La monoclinale meridionale è suddivisa da una serie di faglie minori che condizionano strutture a gradinate ed a Horst e Graben.
Le ricerche finora condotte hanno permesso di riconoscere un notevolissimo incarsimento dei termini superiori della serie mesozoica affiorante, ed in partico­lare dei calcari del Cretacico superiore, in cui si sviluppano oltre 200 cavità carsiche, parecchie delle quali presentano uno sviluppo rilevante.
Fra le varie aree oggetto di indagini speleologiche risulta di grande impor­tanza quella dei Piani di S. Maria, data da una depressione allungata secondo NNWSSE. Si tratta di un piccolo Graben asimmetrico, delimitato da faglie sub­verticali con direzione NNWSSE e col fondo occupato da alluvioni scarsamente permeabili. Il materiale alluvionale deriva dai vicini affioramenti di rocce argilloso marnoso arenacee mioceniche, che consentono una modesta circolazione idrica superficiale a carattere temporaneo, con brevi corsi d’acqua che scendono dai ri­lievi posti ad E dei Piani, per essere assorbiti da inghiottitoi carsici, dei quali i più importanti (gli inghiottitoi I e III dei Piani di S. Maria) si aprono alla base del­l’alta parete rocciosa che delimita a W i Piani stessi.
Secondo Finocchiaro (1962, 1973) i Piani di S. Maria costituiscono parte di un solco paleofluviale — denominato appunto nella parte inferiore «Solco del Pia­no di S. Maria» — che attraversa da N a S la parte centrale del massiccio del­l’Alburno, dalla località «Lauro Fuso» (sotto la cima del M. Panormo, q. 1742, mas­sima elevazione del gruppo montuoso) alla Sorgente Auso (q. 275).

DESCRIZIONE DELLA CAVITA’ CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA «GALLERIA DEL TORRENTE»

Note generali
La cavità si apre nei calcari compatti, grigio chiari o nocciola, a stratifica­zione distinta con periodi decimetrici o centimetrici, del TuronianoSenoniano e attraversa i termini superiori della serie carbonatica cretacica, dati prevalente­mente da rocce calcaree. La stratificazione ha direzione NWSE, con immersione a SW ed un’inclinazione di 1520°.
L’andamento dei vani è prevalentemente orizzontale, dato da gallerie con morfologie giovanili collegate da una serie di pozzi.
Dallo studio dei dati raccolti con le esplorazioni e dalle osservazioni eseguite sul rilievo topografico si ritiene di poter dividere la grotta in tre sistemi principali di gallerie:
a)    dall’ingresso a q. —287 (p. 19);
b)    da q. —279 a q. —395 (p. 2114);
e) da q. —387 a q. —422 («Galleria del Torrente», p. 2017).
Per il «sistema b» è già stata avanzata l’ipotesi che si tratti della prosecu­zione del vicino Inghiottitoio I dei Piani di S. Maria (Cp 86) (Gasparo, 1970, 1976).
Il problema della «Galleria del Torrente» («sistema e»), che comprende i più ampi condotti carsici della cavità, viene esaminato più avanti alla luce dei nuovi elementi assunti con l’esplorazione del 1977.
Descrizione della «Galleria del Torrente»
La «Galleria del Torrente» è costituita da una serie di gallerie suborizzon­tali, con un andamento planimetrico generale da N a S. Le gallerie presentano una morfologia giovanile, legata all’azione erosiva di acque scorrenti a pelo libero, e hanno un percorso planimetrico rettilineo, essen­do impostate su fratture con direzione NESW ed EW. Le sezioni trasversali sono a forra, sub rettangolari o triangolari (col vertice più acuto in basso); la larghezza varia di norma tra i 2 ed i 6 metri, l’altezza è notevole nel «ramo a monte» fra i p. 19 e 20 (2530 metri), nei rimanenti vani si mantiene sui 1015 metri, fatta eccezione per un breve tratto fra i p. 14 e 18 (m 23). Il fondo è occupato per i due terzi circa del percorso da profondi laghi. L’unico salto di un certo rilievo (a valle del p. 16) è riferibile ad un «pozzocascata» (Dematteis, 1965), con la base occupata da un bacino d’acqua. Le pareti delle gallerie sono incise quasi ovunque da piccole forme di corro­sione tipo «scallops» e sono in più punti tormentate da fessure impostate lungo i giunti di strato. L’unico vano interessato da intensi fenomeni clastici è dato dal tratto fina­le, al p. 17, ove un deposito di blocchi di frana di notevoli dimensioni (fino a pa­recchi metri cubi) chiude completamente la galleria. Sono presenti, soprattutto nel «ramo a monte» e nei bacini d’acqua, mate­riali alluvionali, dati da sabbie, ghiaie e ciottoli, calcarei ed arenacei; il fondo del­la galleria superiore fra i p. 19 e 20 e della diramazione presso il p. 15 è occupato da banchi di sabbia. I fenomeni di concrezionamento calcitico sono rari, dati da colate alimen­tate da condotti laterali ed a volte erose e degradate, alle pareti delle gallerie fra i p. 1415 e 1819. La circolazione idrica è caratterizzata dalla presenza di un torrente peren­ne, con portata in magra (stimata nel corso dell’esplorazione 1977) di circa 10 1/sec, che esce dal sifone presso il p. 20 e percorre tutta la galleria per scom­parire fra i blocchi di frana poco a monte del p. 17.

OSSERVAZIONI SUL CARSISMO E SULLA CIRCOLAZIONE IDRICA NELLA ZONA

II fenomeno carsico profondo del Monte Alburno appare strettamente con­dizionato dalle caratteristiche delle rocce affioranti e dalla situazione strutturale. In particolare, risultano importanti i rapporti fra i calcari del TuronianoSenoniano (che affiorano in gran parte dell’area montuosa) e le sovrapposte rocce argillosomarnosoarenacee mioceniche, impermeabili, presenti in limitate placche residue. Tutte le più importanti cavità della zona, infatti, si trovano presso il con­tatto tra le due unità sopra citate: si tratta di inghiottitoi senili od attivi, posti ai fianchi o al fondo di depressioni, generalmente condizionate dalle faglie che dislocano il corpo della monoclinale meridionale (Monte Alburno s.s.). Le rocce impermeabili mioceniche ospitano un reticolo idrografico super­ficiale, attivo in periodi di notevoli precipitazioni o di fusione delle nevi, le cui acque vengono assorbite dagli inghiottitoi carsici presso il contatto con i calcari cretacici (es. Valle della Tacca, Valle della Pila, ecc). Queste acque vanno ad ali­mentare una circolazione idrica sotterranea concentrata in vie preferenziali di drenaggio, rappresentate da cavità spesso percorribili all’uomo per lunghi tratti. Un apporto maggiore alla circolazione carsica profonda deriva — data la vastità degli affioramenti calcarei — dagli assorbimenti diffusi e pressoché immediati delle acque meteoriche nelle rimanenti aree, intensamente incarsite, ma general­mente prive di cavità di un certo rilievo (le grotte presenti sono rappresentate da pozzi e brevi gallerie o caverne interessate da fenomeni clastici). La situazione sopra descritta è ben riconoscibile nella zona prossima alla cavità in esame, data dal tratto finale della Valle della Tacca e dalla parte iniziale del «Solco del Piano di S. Maria» (Finocchiaro, 1962, 1973), allineamento di de­pressioni interessate dalla presenza di rocce argillosomarnosoarenacee mioce­niche.
Al fondo delle depressioni sono presenti alcune importanti cavità con fun­zione di inghiottitoio temporaneo (es. Grava del Fumo, Cp 94, Inghiottitoio I dei Piani di S. Maria, ecc.) o in fase di insenilimento per recenti catture dei corsi d’acqua superficiali da parte di punti idrovori, poco a monte dell’ingresso delle cavità (es. Inghiottitoio III dei Piani di S. Maria). Ai fianchi dei solchi si trovano altre cavità, le cui morfologie sono riconducibili a quelle tipiche degli inghiottitoi della zona, il cui insenilimento è tanto più avanzato — almeno nel tratto iniziale — quanto maggiore è il dislivello fra le quote di ingresso e di fondovalle (es. Grot­ta di Fra’ Gentile, Cp 250, Grava di Madonna del Monte, Cp 92, ecc); i rilievi cir­costanti, infine, sono interessati da un diffuso fenomeno carsico, le cui manife­stazioni più evidenti sono rappresentate da doline, pozzi ed affioramenti calcarei incarsiti, con morfologie particolarmente tormentate. Gli elementi sulla circolazione idrica finora noti sono limitati ai dati rilevati durante le esplorazioni delle cavità. In linea generale ad ogni inghiottitoio (inteso come cavità percorsa fin dal­l’ingresso da un torrente, le cui acque vengono raccolte in superficie) corrisponde nei vani profondi un corso d’acqua, con portata estremamente variabile nel tem­po, in funzione degli eventi meteorologici che interessano la zona in cui si apre; all’alimentazione contribuiscono pure una serie di apporti secondari provenienti da rami laterali, così da dar luogo in alcuni casi ad un vero reticolo sotterraneo, il cui percorso in alcune cavità è stato possibile seguire parzialmente.
Nell’area che interessa, i dati rilevati consentono di avanzare l’ipotesi che vi sia un diretto rapporto fra i corsi d’acqua — con portata molto modesta — che percorrono l’Inghiottitoio I dei Piani di S. Maria e l’Inghiottitoio III da q. —279 a q. —395, come già accennato in precedenza. E’ inoltre possibile supporre che esista una continuità fra i due maggiori corsi d’acqua ipogei — a carattere perenne — finora rinvenuti sul Monte Alburno durante le esplorazioni condotte dalla Commissione Grotte «Eugenio Boegan». Si tratta dei torrenti che percorrono la Grava del Fumo fra le quote —212 e —383 e l’Inghiottitoio III dei Piani di S. Maria nella «Galleria del Torrente». Durante l’esplorazione del 1977 in quest’ultima cavità, sono stati infatti rinvenuti lungo il corso del torrente ipogeo materiali di rifiuto che con ogni probabilità erano stati abbandonati durante il ciclo esplorativo condotto nella Grava del Fumo fra il 1961 ed il 1966. La distanza planimetrica fra gli estremi esplorati delle due grotte è di circa 350 metri; per entrambi i corsi d’acqua è stata stimata una portata in magra di circa 10 1/sec. (1).
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(1)  Dalla comparazione dei rilievi delle due cavità risultano i seguenti dati altimetrici:
– Grava del Fumo: quota ingresso m 1047 s.l.m.; quota sifone terminale m 664 s.l.m.
–  Inghiottitoio III dei Piani di S. Maria: quota ingresso m 1071 s.l.m.; quota del
sifone di entrata del torrente m 684 s.l.m.
La quota del sifone di entrata del torrente nell’Inghiottitoio III dei Piani di S. Maria risulterebbe quindi di m 20 più elevata di quella del sifone terminale della Grava del Fumo. Si ritiene che questo divario, che porterebbe ad escludere l’ipotesi avanzata nel testo, sia dovuto ad una insufficiente precisione dei dati altimetrici, rilevati in entrambe le cavità con metodi speditivi.
Per verificare queste ipotesi si ritiene necessario effettuare una serie di pro­ve di marcatura delle acque che, oltre a far luce sulle relazioni fra i corsi d’acqua delle cavità sopra considerate, dovrebbero consentire di rilevare i punti di emer­genza delle acque carsiche ai piedi del massiccio.
DATI CATASTALI
Cp 472  Inghiottitoio III dei Piani di S. Maria  F. 198 II NE  S. Angelo a Fasanella  Posizione: 2° 55’29” 40° 29’24”  Quota ingresso: m 1071  Profondità: m 422  Pozzi interni: m 431546715366625483517864414 7610348  Sviluppo totale (in proiezione): m 1510  Rilevatori: F. Gasparo, C. e M. Privileggi, T. Ferluga, D. Michelini, G. Siebert, F. Forti, B. e M. Cova, M. Marzari  19686970747577.
                                                                                              Fulvio Gasparo

BIBLIOGRAFIA

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–      Gasparo F. (1976). Inghiottitoio III dei Piani di S. Maria. L’Appennino, anno 24, n. 3, pp. 7375, Roma.
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–      Vianello M. (1970). La valle carsica di Santa Maria (Monte Alburno  Salerno). Comu­nicazione presentata al X Congresso Nazionale di Speleologia (Roma, 1968), Atti e Memorie Comm. Grotte «E. Boegan», vol. 10, pp. 21-27, Trieste.

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M. Alburni, agosto ’77 – Diario di spedizione all’Inghiottitoio III dei «Piani di S. Maria»

I partecipanti alla basae operativa ( (Foto S.Serra)

Pubblicato sul n. 1 di PROGRESSIONE – Anno 1978
La sera del 2 agosto, quando salii sul tre­no diretto a Salerno, ero già preparato per il lungo e affollato viaggio, sperimentato in due diverse spedizioni precedenti sui monti Alburni. Questa volta però il materiale che Sergio Serra, Spartaco Savio, Mauro Zerial ed io, dovevamo portare a destinazione in treno era un po’ abbondante: riempimmo infatti uno scompartimento intero e un buon tratto di corridoio con 11 sacchi speleo (uno pieno di cavo telefonico pesava 30 kg) e í nostri zaini personali.
Le solite peripezie del viaggio finirono il pomeriggio del giorno dopo (a Roma il fa­moso sacco di 30 kg cadde sulla testa di una sventurata ragazza proprio dall’alto del por­tapacchi), e fummo accolti dagli altri compa­gni muniti di macchina che ci aspettavano a Salerno insieme con il dott. Michele Trotta, il quale più tardi ci invitò molto gentilmente a pranzo nella sua casa di Crotone.
Finalmente verso sera giungemmo al so­lito e accogliente «casolare» della guardia forestale, che il comune di Sant’Angelo Fa­sanella aveva messo ogni anno a nostra di­sposizione. Chi avrebbe mai immaginato in­vece che avremmo dovuto trascorrere tutto il periodo della campagna nei recinti delle vacche! Per vari disguidi e lettere non rice­vute infatti il casone era occupato da alcuni gitanti della domenica i quali, con la scusa della speleologia, intendevano trascorrere al­cune deliziose settimane all’aria balsamica dei monti.
Allora la voglia di entrare in grotta al più presto possibile aumentò, e non vedevo proprio l’ora di abbandonare i travagli e le discussioni del mondo solare.
Il giorno dopo Elio Padovan, Spartaco Savio, Sergio Serra e Gerald Sieberg, uno speleologo del gruppo viennese, nostro ami­co, effettuarono un piccolo prearmo e traspor­tarono i materiali fino a quota —180 per alleviare la discesa degli altri speleologi.
Il 4 agosto arrivarono da Trieste Tullio Ferluga e dal Marguareis Daniela Michelini e Fulvio Forti; fummo perciò tutti pronti il 5 agosto. Avevamo portato con noi, fra le altre cose, i telefoni per scongiurare il peri­colo di una piena improvvisa; in questi luo­ghi infatti lo strato impermeabile che sovrasta il calcare, convoglia senza indugio ogni goccia d’acqua negli inghiottitoi, rendendo pericolosa ogni lunga permanenza nelle pro­fondità, come nel nostro caso, percorse da considerevoli corsi d’acqua.
Intenzionati a rimanere per alcuni giorni in questa bellissima cavità con il programma di riprendere l’esplorazione a —400 interrot­ta nel ’75 per mancanza di mezzi adatti, scendiamo quel pomeriggio Tullio, Daniela, Fulvio, Mauro, Gerald ed io, armati di ca­notti e tute di neoprene.
Scendevamo per la prima volta con sole corde in quella grotta, ma non ci furono problemi perchè gran parte dei cambi-attacco erano stati eseguiti dalla squadra precedente.
Percorsi i primi 290 m di dislivello giun­gemmo sotto il pozzo da 17 m, dove si di­parte un meandro alquanto umido, ma ci accorgiamo ben presto di dover installare proprio lì il campo interno, del quale solo Gerald, sistemandosi con il suo materassino da spiaggia su una cengia a 3 m da terra, sarà soddisfatto.
Dopo 10 ore di sonno in amaca, conci­liate dalla particolare mitezza della tempe­ratura (6 – 7°), cominciarono i preparativi per organizzare l’esplorazione delle gallerie 100 m più sotto. Si decise, dopo un’accesa discus­sione, che le uniche due tute fossero indos­sate da Fulvio e da me, e che delle due squadre (Tullio, Daniela e Fulvio; Mauro, Gerald ed io), la prima si occupasse della galleria a monte, e la seconda di quella a valle. Le mute però dovevano essere indos­sate subito per mancanza di luoghi più idonei più avanti; cominciò allora un dialogo di im­precazioni tra me e Fulvio, che ci svegliam­mo fin troppo a contatto con le mute di 5 mm tutte bagnate, ma poi la cosa non ci dispiacque molto.
Superati i numerosi salti dei restanti 100 di magnifica grotta con pozzi e meandri levi­gatissimi, arrivammo finalmente sul punto dove 2 anni prima ci eravamo fermati: una galleria perpendicolare al meandro affluente che risuona per il fragore delle acque su un salto di pochi metri. La galleria, che presenta una sezione media di circa 40 m quadrati, è caratterizzata da numerosi laghetti abba­stanza larghi e profondi e le difficoltà tec­niche sono rappresentate a monte da una breve arrampicata per superare un salto, e a valle da un pozzo di circa 10 m nel quale si riversa tutta l’acqua del torrente.
Un punto negativo per me era il dover immergermi, con grande sforzo, nell’acqua di pochi gradi che a lungo andare trasformò il senso di umido in freddo diffuso.
Esplorati circa 200 m di laghi, dove non trovammo serie difficoltà, giungemmo sull’orlo di un pozzo la cui profondità era dif­ficile stimare per il rumore assordante della cascata, ma che non doveva eccedere i 13 m, e iniziai a scendere dopo aver saldamente ancorato la corda. Per comodità mi portavo attaccato all’imbracatura il canotto gonfiato e mi calai senza problemi con l’acqua che ruggiva a pochi centimetri, indossando per l’occasione le mie vecchie scarpe di tela, le Alloggi di fortuna cui suole aderivano perfettamente sulla roccia levigatissima. Ma il canotto ad un certo punto, oscillando, fini sotto la cascata e il peso soffocante mi fece mollare la presa del discensore e mi trovai ad annaspare sottacqua di un lago profondo, 6 metri più in basso, ma il canotto giunse presto a soccorrermi.
Scesi gli altri compagni, esplorammo an­cora un piccolo saltino e con dispiacere con­statammo che una grossa frana non permet­teva il proseguimento; pensammo allora alla risalita ed ai rilevamenti, di cui si incaricò il nostro amico austriaco. La risalita del pozzo fu non poco movimentata a causa della partenza sotto la cascata, ma per fortuna i gibbs permettevano un’uscita veloce.
Intanto i nostri compagni erano giunti, dopo aver percorso circa 200 m di gallerie, ad una grande caverna con un lago sifonante, dal quale proviene tutta l’acqua del torrente sotterraneo; alcuni sacchetti di plastica e delle scatolette, portati dalle piene, conferma­vano che questa grotta si collega, con un sifone, al noto inghiottitoio della «Grava del fumo» che si apre a qualche centinaio di metri di distanza. Nel sacco-piuma appren­demmo per telefono che il cielo, dopo tre mesi di silenzio, aveva scaricato per la durata comunque di pochi minuti una quantità in­credibile di pioggia e grandine proprio men­tre vagavamo per la galleria terminale.
Il 7 agosto levammo il campo e iniziam­mo la risalita; sopra il pozzo di 60 m c’erano Sergio e Spartaco e subito dopo il comodo meandro di 200 m si riempì di gente intenta a fare del suo meglio per il recupero dei sacchi.
Uscimmo tutti nel pomeriggio ed anche i «veci» ricevettero la notizia che l’esplora­zione dell’Inghiottitoio III dei Piani di San­ta Maria» poteva considerarsi conclusa.
                                                                                                        Louis Torelli

Alloggi di fortuna (Foto S.serra)
Lungo il pozzo da 60 mt a -200 (Foto F.Forti)