Walter Maucci

Walter MAUCCI – (Vienna 30.8.1922 – Borneo agosto 1995)

Foto De Rota

Testo pubblicato su Progressione 33 (1995): 61-62
 E’ Stato socio della Commissione Grotte dal 1938 al 1951
Il professor Walter Maucci, protagonista della speleologia locale e nazionale degli anni ’50 e ’60, ha chiuso la sua vita terrena in silenzio, quasi alla chetichella: della sua morte siamo stati informati da un amico uso a scorrere gli annunzi mortuari sul giornale.
I primi di agosto 1995 un infarto lo ha stroncato nel Borneo ove si era recato per approfondire i suoi studi sui tardigradi, settore cui, abbandonata la speleologia, si era dedicato dal 1986.
Nato a Vienna il 30 agosto 1922 da famiglia benestante, si avvicinò alla speleologia sin da giovanissimo, assieme ai fratelli Corrado e Arrigo, cominciando ad esplorare grotte con la Commissione Grotte dell’Alpina già nel 1939. Dotato di un’intelligenza vivace e di una pari aspirazione a riuscire, la militanza nella Commissione, durata sino al 1951, gli fu estremamente proficua: la disponibilità del catasto grotte della Venezia Giulia (quasi 4000 grotte) e di una fornitissima – per l’epoca – biblioteca gli permisero di inquadrare in nuovi meccanismi speleogenetici i morfotipi individuati nel corso delle esplorazioni domenicali. Gli studi, facilitatigli da un’ottima conoscenza della lingua tedesca (che gli permise di accedere ai testi dei più importanti studiosi d’oltralpe), si concretizzarono dapprima in alcune monografie su cavità del Carso (Grotta di Padriciano, 12 VG; Abisso di Opicina Campagna, 3873 VG; Grotta Vittoria, 2744 VG) e quindi nel 1952 nella presentazione dell’”Ipotesi dell’erosione inversa come contributo allo studio della speleogenesi”, teoria che per parecchio tempo ha fatto scuola.
Nel 1951, uscito dalla Commissione per insanabili divergenze sul modo di condurre e gestire le ricerche (divergenze dovute anche e soprattutto ad incompatibilità di carattere) diede vita ad una Sezione Geospeleologica in seno alla Società Adriatica di Scienze Naturali, con il dichiarato intento di far evolvere la speleologia triestina, facendole ottenere anche nel campo della ricerca scientifica quella preminenza che per un ventennio aveva avuto in campo esplorativo. Per raggiungere questi scopi propugnò una netta operazione fra la speleologia ed il grottismo, creando di fatto una spaccatura nella speleologia locale.
Sia riuscito o meno nel suo intento, il decennio seguente fu per lui indubbiamente fecondo: esplorazioni condotte con vari gruppi in Italia e all’estero (Spluga della Preta, Antro del Corchia, Grotta delle Tassare, Gouffre Berger, Ojo de Guarena), un ciclo di indagini sub al Timavo (Risorgive, Grotta di Trebiciano, Pozzo dei Colombi), descrizioni geomorfologiche delle cavità più importanti visitate, la ricostruzione della paleo idrografia di parte del Carso triestino, una teoria sulla retroversione degli inghiottitoi sono quanto di meglio rimane del suo lavoro sul campo. Nel 1959 la sua costanza viene premiata con il conseguimento della libera docenza in speleologia. Quindi nei quindici anni successivi abbandona la speleologia esplorativa, pur rimanendo attivo a livello nazionale, e non solo con la presenza fisica a tutte le più importanti manifestazioni speleologiche (congressi, convegni, corsi), ma anche e soprattutto con gli impegni con la Società Speleologica Italiana, di cui fu consigliere (dal 1955 al 1963, dal 197° al 1972 e nel biennio 1974-1975) e tesoriere per due mandati (dal 1964 al 1969).
Per i meriti acquisiti nel 1982 il Comitato per la difesa dei Fenomeni Carsici gli conferisce il Premio San Benedetto Abate.
Insegnante di scienze naturali alle scuole superiori, sempre bonario e sorridente – anche quando aveva a che fare con grottisti che proprio amici non erano – è stato uno speleologo per anni punto di riferimento per un certo tipo di speleologia seriosa (che forse aveva estremizzato i suoi intenti) snobbante di quanto di romantico c’è ancora nell’andar per grotte. Atteggiamento che gli aveva alienato le simpatie di una larga porzione del grottismo triestino che non volle mai riconoscerlo quale proprio esponente e che non mancò l’occasione di rinfacciargli errori anche commessi da altri (come nel caso della profondità della Spluga della Preta).
E’ stato un grande speleologo, ma con un carattere diverso lo sarebbe stato molto di più.
                                                                                                            Pino Guidi
Durante la sua carriera di speleologo ha esplorato e rilevato moltissime cavità; nei registri catastali della CGEB risultano dovute alla sua mano i rilievi delle seguenti grotte effettuati in buona parte negli anni in cui ha operato nell’ambito della Commissione Grotte: 17, 35, 45, 46, 116, 136, 144, 147, 161, 195, 273, 294, 517, 559, 1475, 1856 al 1862, 2324, 2467, 2692, 2744, 3116, 3227, 3633, 3640, 3641, 3642, 3655, 3660, 3661, 3663, 3671, 3678, 3679, 3687, 3689, 3691, 3695, 3697, 3706, 3707, 3711, 3713, 3717, 3718, 3731, 3735, 3736, 3739, 3743, 3747, 3749, 3751, 3752, 3753, 3755, 3757, 3761, 3765, 3811, 3821, 3842, 3851, 3852, 3873, 3893, 3901, 3914, 3920, 4208

Bibliografia speleologica essenziale

1948: L’abisso di Opicina Campagna (N. 3873 VG) – Cenni preliminari sulla teoria dell’erosione inversa, Relaz. sul Congresso Speleologico Nazionale di Asiago, ott. 1948: 6-7
1949: Studio sulla grotta del Monte Spaccato (N. 12 VG), Atti del 3° Congr. Naz. di Spel., Chieti ago. 1949, Chieti 1975: 47-59; pure su Rass. Spel. It., 3 (4): 111-116
1949: Per una speleologia comparata e sistematica, Alpi Giulie, 50 (1): 40-41, Trieste 1949
1949: Lineamenti e indirizzo della speleologia giuliana, Alpi Giulie, 50 (2): 38-40, Trieste 1949
1950: N. 2744 VG, Grotta Vittoria di Aurisina, Alpi Giulie, 51: 17-22, Trieste1950
1950: L’abisso di Opicina Campagna, (n. 3873 VG) (Carso Triestino), Rass. Speleologica It., 2 (1): 11-18, Como giu. 1950
1950: Osservazioni a proposito di tre grotte nella zona di Duino (Carso Triestino), Rass. Speleologica It., 2 (1): 81-85, Como giu. 1950
1951: L’abisso a nord di Fernetti, Atti del 5° Congr. Naz. di Speleologia, Salerno ott. 1951,Salerno 1955: 120-124
1951: Studio sulla Grotta di Padriciano (12 V. G.), Rass. Speleologica It., 3 (4): 111-116, Como dic. 1951
1951: L’attività della Sezione Speleologica della Società Adriatica di Scienze Naturali, Atti del 5° Congr. Naz. di Speleologia, Salerno ott. 1951,Salerno 1955: 133-136
1952: L’ipotesi dell’erosione inversa come contributo allo studio della speleogenesi, Boll. della Soc. Adr. di Sc. Nat., 46: 1-60; pure si Atti del Seminario di Speleogenesi, Varenna 1973: 235-295
1952: [con DE MARTINI L.] Risultati preliminari di alcune ricerche sul corso ipogeo del Timavo (agosto-ottobre 1952), Boll. della Soc. Adr. di Sc. Nat., 46 (1951-1952): 61-74
1953: Relazione sul primo ciclo di ricerche svolte dalla Sezione Speleologica della Società Adriatica di Scienze Naturali sul corso sotterraneo del Timavo, Rass. Speleologica It., 5 (2): 67-74, Como lug. 1953
1953: Inghiottitoi fossili e Paleoidrografia epigea del Solco di Aurisina (Carso Triestino), Actes du Premier Congr. Int. de Spél., Paris 1953, vol. II Millau 1955,: 155-159
1953: Organizzazione tecnica e risultati delle ricerche sul corso ipogeo del Timavo (1952-1953) (Carso Triestino), Actes du Premier Congr. Int. de Spél., Paris 1953, vol. II: 201-213
1954: Ricerche in acque sotterranee mediante scafandri autonomi ad ossigeno, Boll. della Soc. Adr. di Sc. Nat., 47: 62-81
1954: Sezione Geo-Speleologica della Società Adriatica di Scienze Naturali, Atti del 6° Congr. Naz. di Spel., Trieste 1954, Trieste 1956: LXVI-LXVIII
1954: Analisi morfogenetica della Spluga della Preta (N. 1 V), Atti del 6° Congr. Naz. di Spel., Trieste 1954, Trieste 1956: 40-79
1954: La grotta termale di Acquasanta, Atti del 6° Congr. Naz. di Spel., Trieste 1954, Trieste 1956: 100-111
1954: La grotta delle Tassare sul Monte Nerone, Atti del 6° Congr. Naz. di Spel., Trieste 1954, Trieste 1956: 112-120
1954: Attività della Sezione Geospeleologica della Società Adriatica di Scienze Naturali (Trieste), Rass. Speleologica It., 6 (2): 95-96
1955: Il fenomeno della retroversione nella morfogenesi degli inghiottitoi, Atti del 7° Congr. Naz. di Speleologia, Sardegna 3-8 ottobre 1955, Como 1956: 221-236
1958: Il Gouffre Berger presso Grenoble, record del mondo (relazione sulla spedizione internazionale 1956), Atti dell’8° Congr. Naz. di Speleologia, Como 30. set.-6 ott. 1956, vol. I, Como 1958: 78-84
1958: Considerazioni sistematiche sul problema dell’idrologia carsica, Actes du Deuxième Congr. Int. de Spél., Bari Lecce Salerno ott. 1958, tomo I, Castellana Grotte 1962: 23- 43
1958: Campagna speleologica nelle Murge di Minervino (Puglia – Agosto 1958), Actes du Deuxième Congr. Int. de Spél., Bari Lecce Salerno ott. 1958, tomo I, Castellana Grotte 1962: 233- 244
1959: Lo stato attuale del catasto speleologico della Venezia Giulia (Grotte del Carso triestino), Rass. Speleologica It., 11 (4): 190-219; pure su Boll. della Soc. Adr. di Sc. Nat., 51: 149-186
1960: Dieci anni di attività (1951-1960), Boll. della Soc. Adr. di Sc. Nat., 51: 5-32
1960: [con D’AMBROSI C.] Geo – speleologia del Carso triestino, Boll. della Soc. Adr. di Sc. Nat., 51: 33-37
1960: Evoluzione geomorfologica del Carso Triestino successiva all’emersione definitiva, Boll. della Soc. Adr. di Sc. Nat., 51: 59-82
1960: La speleogenesi sul Carso triestino, Boll. della Soc. Adr. di Sc. Nat., 51: 122-147, pure su Le Grotte d’Italia, s. 3, 3: 25-42
1960: Contributo per una terminologia speleologica italiana, Boll. della Soc. Adr. di Sc. Nat., 51: 203-228
1962: Intervento a seguire la relazione di Giancarlo Pasini sulle spedizioni effettuate all’Antro del Corchia (N. 120 T) nell’anno 1960 dal Gruppo Speleologico Bolognese del C.A.I. in collaborazione con lo Speleo Club Milano, Atti Conv. Assemblea Soc. Spel. It., Finale Ligure Marina, ott. 1960, Rass. Speleologica It., 14 (2): 104-105
1962: Intervento a seguire la relazione del prof. Louis Barral, Atti Conv. Assemblea Soc. Spel. It., Finale Ligure Marina, ott. 1960, Rass. Speleologica It., 14 (2): 131
1963:  In memoriam Antonio Federico Lindner, Atti 3° Congr. Int. Spel., Vienna 1963, vol. II: 289-290
1967: Speleologia, in “Il Carso di Trieste”, Azienda Aut. di Soggiorno e Turismo di Trieste ed., Trieste 1967: 23-29
1969: Il V Congresso Internazionale di Speleologia, Atti della Soc. Speleologica Italiana, 1969: 17-18
1971: La paleoidrografia epigea nei terreni carsici, Atti I Conv. Naz. per lo studio, la protezione e la valorizzazione dei fenomeni carsici, Verona ott. 1971: 97-107
1972: I fenomeni carsici, in “Le riserve naturali del Cansiglio Orientale”, Reg. Aut. Friuli Venezia Giulia ed., Maniago 1972: 80-89
1972: Discussione sulla relazione di W. Maucci (replica di Maucci), in Atti Seminario speleogenesi, Varenna 1972, Le Grotte d’Italia, s. 4, 4 (1973): 287-295
1973: Attività della Sezione Geo-speleologica della Società Adriatica di Scienze Naturali nel periodo novembre 1972 – novembre 1973, Atti del 1° Conv. di Spel. del Friuli Venezia Giulia, Trieste dic. 1972, Trieste 1975: 196-199
1974: I fenomeni carsici, in “L’ambiente fisico del Prescudin”, Reg. Aut. Friuli Venezia Giulia ed., Maniago 1974: 78-81

Ulteriori notizie su Walter Maucci si possono trovare in:

– – , 1990: Società Adriatica di Speleologia, Rassegna della Fed. Spel. Triestina, n. spec. 1990: 15-16
Badino G., Posfazione, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 131-146
Brun C., 2009: Walter Maucci, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 109-111
Cigna A. A., 2009: Walter Maucci, scienziato naturalista, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 87-89
Comitato Regionale per la Difesa dei Fenomeni Carsici (a cura del), 1982: Walter Maucci, El Teston de Grota, Trieste marzo 1982
Dambrosi S., 1999: Intervento, Quaderni di Spel. e dell’Ambiente Carsico, 1:21-22;pure su “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 28-29
Dambrosi S., Semeraro R. (a cura di), 2009: Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009, pp. 150
Dambrosi s., Guglia P., Semeraro R., 2009, Ad oltre dieci anni dalla scomparsa di Walter Maucci, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 11-12
Dini A., 1992: Il Premio “San Benedetto Abate”, patrono degli speleologi italiani, Ipogea ‘92: 30-31
Ernè C. , 1995: Borsa di studio in memoria del professor Walter Maucci, Il Piccolo, Trieste 10 set. 1995
Forti F., 1995: Frammenti, Progressione 33: 62-63
Forti F., 2009: La ripresa della speleologia triestina nell’immediato dopoguerra, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 37-39
Forti F., 2010: In onore di Maucci, Progressione 56 (2009): 22-27
Forti F., 2009: Quando conobbi Walter Maucci, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 83-84
Galli M., 1999: Timavo. Esplorazioni e studi, Suppl. n. 23 di Atti e Memorie CGEB, Trieste 1999, pp. 198
Galli M., 2000: La ricerca del Timavo, Museo Civico di Storia Naturale di Trieste ed., Trieste 2000, pp. 176
Guglia P., 1998: Walter Maucci (1922-1995), Speleologia, 38: 107
Guglia P., 1999: Immagini di Walter Maucci, Quaderni di Spel. e dell’Ambiente Carsico, 1: 23-26
Guglia P., 2009: Le imprese subacquee negli scritti di Walter Maucci, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 55-57
Guglia P., 2009: Walter Maucci, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 105-106
Guglia P., Galleria Fotografica, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009:113-120
Mosetti S., 2009: Maucci: spirito libero e sociale, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 81-82
Rigo D., 2009: Anno 2007. Il ricordo di un amico scomparso: dott. Walter Maucci, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 91-92
Scala C., Dall’abisso dei ricordi, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 93-97
Semeraro R., 1998: Ricordo di Walter Maucci. In memory of Walter Maucci, Ipogea 2 (1977):7-11
Semeraro R., 1999: Ricordo di Walter Maucci, Quaderni di Spel. e dell’Ambiente Carsico, 1: 17-20; pure su “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 25-27
Semeraro R., 2009: Le origini del pensiero speleologico in Walter Maucci, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 41-54
Semeraro R., 2009: Maucci, con l’ “Adriatica” di allora, nel contesto della grande speleologia di spedizione: verità e veleni nella speleologia nazionale dell’epoca, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 59-64
Semeraro R., 2009: La visione di Walter Maucci sul carsismo e sull’idrologia carsica: sintesi del suo contributo scientifico, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009:65-77
Semeraro R., 2009: La vera via, in “Walter Maucci (1922-.1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”, a cura di S. Dambrosi e R. Semeraro, Soc. Adriatica di Speleologia ed., Trieste 2009: 99-103
Tiralongo F., 1995: Speleologo e professore, Progressione 33: 64
Torelli L., 2010: Maucci, Badino e la speleologia triestina, Progressione 56 (2009): 12-18

IN ONORE DI MAUCCI

 La Società Adriatica di Speleologia nel 2009, a cura di Sergio Dambrosi e Rino Semeraro, ha presentato un’importante testo del titolo: “Walter Maucci (1922-1995): speleologo scienziato triestino. Scritti memorialistici e celebrativi”.
Si tratta di una vera e propria ricerca storica sia sull’indubbia statura di Walter Maucci, sia su quel difficile periodo che fu il dopoguerra e l’inizio di una speleologia che malgrado le grandi difficoltà di tutti i generi di quei tempi ormai lontani, seppe svolgere appieno il suo compito di diffondere l’interesse per le esplorazioni condotte e compiute con metodo, per arrivare ad una ricerca nel mondo delle grotte, inserite nel complesso ambiente carsico, in modo nuovo ed originale. Maucci ne fu indubbiamente l’artefice, il propulsore, ma non il continuatore, compito questo che fu assunto da altri, dopo di Lui, in modo assolutamente casuale e con finalità tra le più varie e talora anche indefinite. Sono nate così diverse speleologie, quasi tutte di comodo, perché interpretate a seconda della necessità, convenienza, capacità, immagine. Tutto ciò avvenne con una diffusione a livello mondiale e, rimanendo nel campo dello studio e della ricerca sulla genesi delle grotte e del fenomeno carsico in generale, di cui il Maucci intendeva avvalersi, basandosi soprattutto con l’osservazione e lo studio. Vi fu invece un seguito, con delle interpretazioni sul mondo delle grotte tutte di natura fisico-matematica e assolutamente non geologica, che esulavano completamente dal Suo pensiero e che alla prova dei fatti non solo bloccarono artificialmente la speleologia, ma non portarono ad alcun miglioramento sulle conoscenze della genesi ed evoluzione delle grotte, che non fossero già state annunciate e documentate nel XIX secolo.
Il lavoro, attraverso scritti, relazioni, memorie, bibliografie, ripercorre le tappe di quel periodo che da alcuni fu definito “maucciano”, invece era un modo di essere, nel vero e sincero senso della parola “speleologo”, che attraverso un’esplorazione sempre meglio organizzata, doveva contribuire affinché anche il singolo speleologo potesse avvicinarsi un po’ alla volta a quel mondo complesso che sono le grotte e soprattutto allo studio della loro origine o genesi. Maucci iniziò con una idea o meglio con una proposta, nata da sue valutazioni che ebbe modo da compiere nel corso delle prime esplorazioni che vennero fatte sul Carso triestino, nell’immediato dopoguerra. Ebbe la capacità, ma forse anche l’abilità, di chiamare queste sue scoperte con una definizione accattivante: “la teoria dei fusi” o, più scientificamente illustrata quale “ipotesi dell’erosione inversa”. In quel mondo di esploratori improvvisati, quasi primitivo, della seconda metà degli anni quaranta del secolo scorso, tale nuovo modo di pensare sulle grotte fece immediatamente grande impressione e valicò ben presto i difficili ed allora anche ristretti confini di Trieste e del suo ormai limitato Carso. L’argomento venne affrontato in tutti i congressi nazionali ed internazionali di speleologia. In quei tempi ormai lontani, Maucci, la speleologia, Trieste, erano sulla bocca di tutti. Era un inizio davvero incoraggiante … Di tutto ciò ne parla il volume in argomento. Non aggiungo altro, invito coloro che vogliono conoscere la “vera” storia di quegli anni, a leggere ed a meditare, perché effettivamente si tratta di scritti molto interessanti, forse in alcuni punti di difficile comprensione, per tutti quelli, e sono ormai la maggioranza, che non hanno vissuto quel periodo “eroico” per la speleologia triestina, nel suo complesso di interpretazioni e di significati.
* * *
Queste le premesse, ma l’argomento che intendo affrontare è un altro. Si tratta di un problema di “presentazione” e conseguentemente di “illustrazione”, sciente e non sciente della speleologia triestina, con ampio riflesso su quella italiana, che compare ad opera di Giovanni Badino nella Prefazione ed anche in una lunga, complessa, articolata Postfazione.
Badino ebbe l’incarico, diciamo più semplicemente di presentare l’opera, cioè Maucci, non conoscendo affatto la storia di un personaggio sicuramente importante nella “speleologia”, avendolo solo sfiorato in una seconda fase, quando il Maucci stava lentamente uscendo dalla stessa. Chi vi parla, a differenza di Badino, il periodo iniziale di Maucci lo ha invece vissuto e quindi ben conosciuto per cui posso affermare che il testo si discosta completamente da quella realtà che vorrebbe giudicare.
Nella Prefazione viene affermato da Badino che in età giovanile nella sua frequentazione con la speleologia triestina, in particolare con la “Commissione Grotte”, aveva chiesto “notizie” sul Maucci e sul suo periodo, ricevendone risposte evasive e vagamente imbarazzate. Quando ho letto queste parole – un sorriso piuttosto divertito è comparso sul mio viso, di tipo sempre piuttosto serio e preoccupato: evidentemente qualcosa di fondamentale, anche se ormai scarsamente importante, non era stato capito, poiché con tutta probabilità neppure le persone che sono state allora interpellate, non erano a conoscenza di una paginetta della storia della speleologia triestina, che un po’ tutti, per ragioni diverse ed anche opposte, volevano dimenticare. Sono fatti di tempi e personaggi della speleologia triestina, di cui non si può neanche lontanamente immaginare la complessità; episodi curiosi riguardanti accadimenti di settanta anni fa si possono trovare ancora “scritti” con vernice rossa, sulle pareti di alcune delle più note grotte del Carso!
Così Badino dopo aver letto le “bozze” del volume in oggetto e, considerato che da tempo cercava di capire come “funziona” il mondo speleologico, scopriva che la storia qui contenuta si inseriva molto bene nelle sue analisi, anche se il Maucci appariva come un personaggio di non facile comprensione e piazzamento nella “sua storia” che riguardava in genere la speleologia, per cui volle passare ad una lunga, complessa, articolata e critica: Postfazione, sulla quale ritengo necessario fare alcune considerazioni. Questa è divisa in capitoli: L’inizio; Concezioni; Esplorazione; Speleologi e convivenza; Speleologia; Conclusioni. Li ho letti tutti con grande attenzione. La maggior parte dei concetti espressi sulla presunta “speleologia triestina” mi trova in disaccordo, mentre concordo su certi concetti generali; ma vediamo un po’ di commentare brevemente solamente gli aspetti più importanti di questa sua ricerca e delle sue considerazioni e valutazioni.

L’inizio:

osservo che c’è una non convincente esaltazione della speleologia triestina, madre della moderna speleologia. Da queste nostre parti (si intende oltre il Fiume Isonzo, all’inizio della sponda orientale dell’Adriatico) abbiamo una visione dei problemi generali, storici compresi, del tutto particolare, forse retaggio dei molti secoli vissuti in un impero multinazionale.

Concezioni:

qui il mio pensiero “scientifico” addirittura si ribella. Ho conosciuto molto bene il Maucci e soprattutto le sue ipotesi; personalmente non le ho seguite, ma per dei motivi che riguardavano delle diverse interpretazioni geologiche. Ciononostante ritengo che il Maucci ebbe il coraggio di dire qualcosa sulla genesi delle grotte: non riesco a capire il complesso ragionamento che viene fatto e sembra anche piuttosto oscura ed assolutamente incomprensibile l’affermazione: L’ambiente in cui inizia ad operare è caratterizzato da una grande rigidità, generata dall’apparente incolmabile superiorità della speleologia triestina in generale e dell’Alpina in particolare, su ogni altra; non si aveva bisogno di nulla, vedremo come le novità tecniche che in seguito rivoluzionarono la speleologia, lì vennero liquidate fra le risate.
Chiedo perdono a tutti i lettori, per quanto sto per dire: Ma di quale rigidità, superiorità e di altre amenità del genere si vuol parlare? Sono uno speleologo triestino, che proprio in seno all’Alpina, oltre ad una speleologia puramente esplorativa, a cui immagino si riferisca, avevo iniziato anche un’altra speleologia, quella che è partita dagli studi carsici (mi sembrava logico), ma sembra che questa “speleologia” sia sconosciuta all’A.; comunque qui non si è mai avuta la pretesa di superiorità. Forse ci si riferisce, agli apporti ai convegni o congressi nazionali di speleologia in cui spesso l’assemblea rimaneva colpita? Per quanto mi riguarda ho semplicemente seguito con enormi sacrifici, per oltre sessanta anni, la ricerca scientifica su base geologica: spiace constatarlo, ma questa è la base per iniziare a capire qualcosa delle grotte. Sembra che l’A. non si renda conto che le grotte sono degli spazi vuoti pieni di aria, talvolta di acqua, ma ciò che conta e non viene quasi mai affrontato, è lo studio delle roccia in cui detto vuoto è compreso. Tema che qui, Maucci compreso, era stato affrontato. Giudico poi strane certe affermazioni riportate in corsivo: la variabili nel modo delle grotte e della speleologia sono tante, ma sembra che alcune siano proprio sconosciute! Sembra che la parolina “geologia” dia fastidio: in tutto il testo di cui stiamo trattando non viene mai ricordata, ma allora a proposito di grotte di che cosa si sta parlando?
Concludo le precisazioni, con le “beffe e risate” riguardo all’esperimento del primo tentativo di risalita con sola corda alla Grotta delle Torri di Slivia. Il commento che ne viene fatto è assurdo, ma cerco di capirlo ed anche giustificarlo: Se invece di una competizione imbecille sui trenta metri avessero fatto una prova che includesse avvicinamento e discesa in profondità….lo sbeffeggiamento sarebbe stato in direzione opposta. Mi dispiace, ma credo che non si conosca in realtà la speleologia triestina, con la quale Badino afferma di lavorare da molti anni. I triestini, forse nessuno glielo avrà mai detto, sono capaci di prendere in giro, con serietà chiunque senza che “l’altro” se ne accorga. Sono sempre pronti a dirti: “no se pol”, “no se ga mai fato”, “cossa te se sogni”, “no te sarà miga imbriago”, “me par che sta roba sia proprio una cagada”. Potrei continuare all’infinito, per illustrare l’animo ed il modo di fare e di dire che caratterizza tutta la triestinità, speleologica compresa. I triestini sono dei “laici” dissacratori per sistema, ma poi, sono i primi ed anche i più svelti e abili, non solo ad utilizzare il “metodo” che hanno prima deriso (non mi riferisco al caso delle Torri di Slivia) ma in generale, anche a migliorarlo ed a diffonderlo. Mi dispiace deludervi, ma siamo fatti tutti così noi Giuliani della sponda orientale dell’Adriatico. Gli “altri”, ne sono consapevole, non possono capirci.
Si contraddice poi quando afferma: Infatti proprio la loro modernità … si sarebbe rivelata un limite allo sviluppo successivo…Come organismi di una nicchia ecologica, i gruppi grotte di Trieste erano andati evolvendo occupando la nicchia. Chiudendocisi dentro. Più avanti c’è questa sentenza del tutto gratuita: Ma altrove si è riusciti a fare passi successivi d’uscita dalla dimensione sportiva verso una geografia scientifica del sottosuolo, passi che a Trieste paiono stentare ancora adesso. Concludo con quest’altra osservazione riguardo al “supposto” pressapochismo della speleologia triestina ed ovviamente di quella della Commissione Grotte in particolare: D’altra parte io non credevo alle mie orecchie quando, la prima volta che andai in Gortani, sui pianori esterni mi venne spiegato che quello era l’ingresso di quell’abisso e quello, di quell’altro: A me balzava all’occhio che erano diverse entrate della stessa grotta, probabilmente unica come unica è la montagna…Basta così. Ma tutto ciò cosa significa? Una presa in giro? Sono intuizioni, oppure tutto ciò è stato detto per convinzione scientifica, ma vorrei sapere quale! Quella geografica? Ma come si faceva ad intuire con l’occhio l’appartenenza di diversi ingressi che dovevano dunque ovviamente essere in collegamento con la parte interna della stessa grotta? Da “carsista” che è tutto un’altra cosa, ho girato in lungo ed in largo il massiccio del Canin ed effettivamente avevo rilevato questo medesimo fatto, ma partendo da una condizione “geologica”, molto evidente. Questi ingressi risultavano perfettamente allineati secondo uno o più “piani di frattura” che ovviamente sono sempre le migliori possibilità che hanno le acque di precipitazione meteorica ad iniziare tutti i processi carsici legati alla parola “grotte”. Ho già fatto notare che nel testo in esame non ho “letto” una sola volta la parola “geologia”, come mai? Forse non serve, basta l’intuizione? Ma che razza di speleologia si sta qui proponendo? Noi, sprovveduti speleologi triestini, la parola “geologia” parlando delle grotte la usiamo molto spesso.
Ritornando ad infierire sul Maucci, ci viene fatto presente che i suoi lavori li pubblicò solo in italiano. Ciò infatti è divenuta una colpa grave: …negli ultimi decenni del secolo scorso limitarsi a pubblicare in italiano è diventato un ricadere nel proprio ombelico, un fingere (questa è davvero grossa ed offensiva) di fare lavori scientifici cercando allo stesso tempo di limitare il pubblico competente che può criticare. In quei anni l’italiano – lingua ufficiale dell’UIS – veniva usato anche da autori stranieri; la colonizzazione dell’inglese è arrivata alcuni decenni dopo. Per quanto riguarda lo scrivente faccio presente che per approfondire le mie conoscenze in tema di carsismo delle rocce carbonatiche ho letto lavori, oltre che in tedesco, francese, assai poco in inglese, pure in sloveno, croato, rumeno, e in diverse altre lingue, arrangiandomi come potevo, perché dovevo capire cosa altri studiosi avevano fatto, altro che immobilizzarsi in una stupida ed inutile superiorità linguistica di comodo. Continuando sulle critiche gratuite al Maucci, trovo anche questa: Una distinzione che rimane totalmente fuori dell’ambito culturale del Maucci è quella dell’esplorazione intelligente (ma cosa sarà mai?); ripeto che mi sembra sia stato il sue errore fondamentale. Beato lui! Non ci si perita anche di prendere ironicamente in giro il povero Maucci, con le seguenti affermazioni: E mi rammarico rammentare che, sul ciglio di una strada di Spagna, accanto ad un misero focherello, con rara improntitudine lo punzecchiavo invitandolo irrispettosamente a riconoscere di essere legato a metodiche di ricerca ottocentesche che non contemplavano l’indagine matematica dei fenomeni e il ricorso ai principi generali della Fisica nella comprensione degli stessi. Quando ho letto queste parole, mi sono letteralmente cadute le braccia, perché siamo ormai arrivati veramente al fondo, non di una grotta, ma nella vanagloria del pensiero umano. Sembra che ci venga imposto: “Io ho ragione, gli altri miseri tapini non esistono se non la pensano come me”. Vogliate scusarmi, ma se non si capisce il processo carsico, che non può essere altro che geologico, cosa ne fate dei numeri? Ve lo hanno mai detto che con i numeri potete dimostrare tutto ed il contrario di tutto e se i conti che fate non vi “tornano” proprio, ci aggiungete il noto coefficiente “K” e risolvete il vostro problema sulle grotte?
Ancora alcune considerazioni su dei concetti che ritengo particolarmente salienti, poi vorrei chiudere, perché mi sono letteralmente “stancato” di dover analizzare tanti commenti per demolire il povero Maucci e, soprattutto di prendere in giro in vari modi, anche piuttosto banali, la speleologia triestina, “Commissione Grotte” in particolare. Sommessamente faccio presente ai pazienti lettori di questo mio povero testo, ricordando a tutti che la tanto vituperata “Commissione Grotte” della Società Alpina delle Giulie, Sezione di Trieste del Club Alpino Italiano, è nata nel 1883 e quindi nel 2009 ha compiuto il suo centoventiseiesimo (se ho fatto giusto il conto, perché non sono un matematico e quindi posso sbagliare) anno di attività continuata, nel cui ambito il sottoscritto ne ha fatti solo sessanta e su tutte le stranezze che qui sono state dette, è la prima volta che ci metto il naso. Mi scusi il paziente lettore.
Debbo purtroppo soffermarmi ancora su una curiosa affermazione, che trovo nel Capitolo Speleologia, che mi riguarda personalmente ed è la seguente: Ora, in questi ultimi anni, e non per merito diretto degli speleologi, stanno emergendo aspetti insospettati delle grotte che contengono tracce di climi e geografie (?) passate. Il sottoscritto, che si ritiene di essere uno “speleologo” (però triestino), esplorando il Carso triestino (da sempre noto anche come “Carso Classico”), le Grotte di Postumia (Postojnska jama, un tempo conosciute anche come: Grotten und Höhlen von Adelsberg), il Friuli, oltre a diverse puntate conoscitive per rapporti geomorfologici ed idrogeologici in cavità, inghiottitoi e paleo inghiottitoi, nella parte slovena del Carso e nella parte croata dell’Istria settentrionale (Carso di Buie) ed infine nell’Istria centrale, zona carsica circostante il Canale di Leme (vi risparmio la traduzione dei nomi attualmente in Croato), vuole affermare quanto segue:
A) E’ dal 1995 che lo “speleologo” Fabio Forti della C.G.E.B. sta pubblicando studi sulle situazioni climatiche pleistoceniche e che dalle ricerche eseguite nelle località citate, risulta che le morfologie riguardanti gli oggetti in esame, sono state caratterizzate da intensi periodi “diluviali”;
B) Che, il cambiamento climatico, verso le attuali condizioni, è avvenuto nel corso dell’Olocene;
C) Che, da lunghe e pazienti ricerche durate molti anni, tali variazioni climatiche sono state rilevate in particolare nella Grotta Gigante, dove sono stati evidenziati tali cambiamenti molto significativi avvenuti negli ultimi 10.000-12.000 anni;
D) Che, in questo stesso periodo a causa di un drastico cambiamento termico (più freddo rispetto al Pleistocene), delle correnti d’aria (comprendenti anche acqua allo stato di vapore) con direzione in entrata (nella cavità), hanno cancellato per dissoluzione uno spessore di una trentina di centimetri di concrezionamento calcitico parietale, che si era evidentemente depositato nel corso dell’ultimo Pleistocene, in un periodo climatologicamente definibile più caldo e piovoso, che ha abbondantemente favorito tutto il concrezionamento calcitico. Che, …potrei continuare ancora per delle ore tutte le “scoperte” che gli “speleologi” hanno fatto in materia paleo-climatica (anche dalla tipologia dei depositi di riempimento), scoprendo infine, almeno da quanto ci raccontano le grotte, che il “clima” del Pleistocene non era affatto “glaciale”, ma caldo-umido e “diluviale”. Su di un altro argomento morfologico, che, dalle ricerche eseguite molti anni fa, in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Carsiche di Postumia e continuate poi in diverse cavità della Regione Friuli Venezia Giulia, è stato accertato che grandi sconvolgimenti tellurici di una tipologia ancora poco conosciuta, hanno lasciato tracce molto evidenti nelle nostre grotte e tali eventi si sarebbero verificati più volte, ma di quello di cui si hanno maggiori certezze, è stato datato dai colleghi di Postumia a 12.000 anni fa. Questi sommovimenti tellurici sarebbero avvenuti con contemporaneità sulla crosta terrestre. Che, noiosamente continuando, sempre degli “speleologi” e sempre gli stessi triestini, a partire dal 1979 hanno iniziato a misurare sul Carso, sulle Prealpi ed Alpi Carniche e Giulie, poi in quelle Dolomitiche ed in seguito in tanti altri luoghi con rocce carbonatiche, l’entità dell’abbassamento delle superfici rocciose per consumazione dissolutiva operata dalle acque meteoriche. Nel corso di questi trent’anni abbiamo eseguito migliaia di misure con cui si è appena “cominciato” a capire qualcosa dei tempi necessari per lo studio del processo carsico superficiale e sotterraneo. Che, nella Forra di Pradis con tali misure, dopo il 1995, si è riusciti a quantificare e differenziare la consumazione chimica da quella meccanica, dove questa seconda risulta essere dominante in modo assoluto. Gli “scienziati” che hanno attrezzato queste stazioni con metodi del tutto innovativi, sono dei semplici “speleologi” della C.G.E.B. e del Gruppo Speleologico Pradis. Che, dal 1950 sempre quei noiosi e sprovveduti “speleologi” della C.G.E.B. hanno impostato le prime (in assoluto) “stazioni meteorologiche sperimentali” nella Grotta Gigante (2 VG), Grotta Costantino Doria (3875 VG), Grotta di Padriciano (12 VG): tutte le altre stazioni di questo tipo sorte in Italia, sono state impostate “dopo” aver conosciuto la nostra esperienza!
Non è che delle Università non siano a conoscenza di queste nostre ricerche e che non abbiano dato anche il loro contributo scientifico, ma l’idea e l’impostazione è originale da parte dei soci della C.G.E.B., quindi di semplici “speleologi”, che ne curano le misure e le complesse gestioni.
Di tutto ciò vi sono numerosissime pubblicazioni (eseguite anche in ambito universitario) che illustrano con dovizia di dati tali ricerche, eseguite ed elaborate da “speleologi”; peccato che molte sono scritte in italiano e quindi di conseguenza “scientificamente” inesistenti!
Vi sarebbero tante altre ed anche importanti considerazioni da fare su questo “testo chiamato Postfazione”. Seriamente, questa volta termino, ma con un’ultima considerazione. Badino conclude questa sua Postfazione con un “pensierino”:
Mi pare che da questo libro, emerga molto chiaramente che Walter Maucci, più che un grande speleologo triestino, è stato un grande triestino.
Con questa frase si è voluto eliminare Walter Maucci dalla storia della speleologia. Forse noi triestini non comprendiamo bene certe sottigliezze linguistiche, ma pensiamo che questo non sia un complimento. Spero di non dover occuparmi più di simili “argomentazioni”, considerato pure che ho ormai 82 anni. Viva Maucci, viva Trieste, lunga vita alla C.G.E.B., carissimi saluti.
                                        Fabio Forti – Speleologo e cultore della materia in carsismo.

Un secolo dalla nascita dello speleologo triestino Walter Maucci (1922-2022): una riflessione scritta per i giovani o nuovi speleologi

Tratto dalla rivista Sopra e Sotto il Carso Anno XI N. 5 pag. 30-34

Walter Maucci (in primo piano) durante la spedizione finale della SAS, del 1953, quando per la prima volta si superò il sifone d’entrata del Timavo sul fondo della Caverna Lindner nella Grotta di Trebiciano (Carso)

Questo 2022 ricorre il centenario della nascita di Walter Maucci. Speleologo di statura mondiale sul quale noi, speleologi consapevoli, abbiamo più volte scritto e parlato, certi che l’eredità che ci ha lasciato non è andata perduta. Chi scrive, oggi, è un anziano spe­leologo che lo conobbe e che gli ha sempre riconosciuto quella statura mondiale cui pri­ma affermavo, concretamente fondata su quanto egli espresse nel campo della speleolo­gia, del carsismo e dell’idrogeologia carsica. In questo discorso c’è un substrato ineludi­bile. L’uomo di cui parliamo ha agito, esplorato, studiato, in un particolare contesto sto­rico-ambientale, a cavallo della Seconda Guerra Mon­diale, in una città, Trieste, dilaniata da esasperato civi­smo, etnie contrapposte, cul­ture retaggio di fasti e disastri del passato, confine tra i mon­di latino e slavo, in mezzo a una occupazione nazista e un’altra di un’armata jugoslava, durante un governo milita­re alleato anglo-americano e infine nel ritorno alla Patria, e all’interno di tutto ciò un’in­credibile vocazione per le grotte che ogni abitante di Trieste considerava parte del­la stessa “triestinità”. Io penso di essere uno di quei pochi speleologi triestini attivi rima­sti sulla piazza che, se così posso dire, hanno potuto assi­milare, proprio perché lo han­no vissuto in prima persona, il passaggio tra due momenti di quel “mondo speleologico triestino” che fu (e che non c’è più) legato al suo nome. Parlo di quel periodo che va tra l’apoteosi e l’abbandono di Walter Maucci, come speleologo; di un periodo ancora for­temente intriso della sua presenza anche se questa era fattualmente “passato”. Avendo poi, io stesso, conosciuto abbastanza bene Maucci, ho pensato che un mio contributo forse riusciva a delineare la sua figura sotto sfaccettature un po’ diverse dal consueto “ricordo”. Per capire Maucci, il personaggio, lo speleologo, lo studioso, la sua grandez­za, bisogna entrare necessariamente nel “suo” mondo. E per entrare nel suo mondo forse più che discutere di scienza si deve discutere di gruppi grotte. Una lettura, nel caso di Maucci, che nella speleologia triestina odierna ha tratti opachi: a presto trent’anni dalla morte retaggi della sua attività sono quasi ormai scomparsi e le persone che lo conobbe­ro o che agirono assieme a lui, o contro di lui, appartengono ormai al passato, direi re­moto.

Se accennerò – in quanto non posso esimermi – all’opera scientifica, e al medesimo tempo esplorativa del Maucci, giacché l’ima è incardinata all’altra proprio per il tipo di ricerca cui egli si dedicò, lo farò con grande parsimonia: un’ampia bibliografia è a disposizione per chi voglia approfondire. Dirò invece, brevemente, di alcuni riguardo la vita di Walter Maucci, poco noti, e -come questi siano strettamente contesto storico-ambientale delineato in premessa.

Walter Maucci nacque a Vienna nel 1922. Il padre Rodolfo, germanista, fu profe lingua tedesca al Liceo Oberdan di Trieste, collaboratore sulle pagine culturali del diano triestino “Il Piccolo”, autore di lingua e letteratura tedesca. Tutti i tre fratelli Maucci (gli altri erano Ar- * rigo il primogenito e Corrado il più giovane), furono avviati agli studi con successo. Walter, iniziò l’attività speleologica giovanissimo, con la Commissione Grotte della Società Alpina delle Giulie, dove, per poco, co­nobbe Eugenio Boegan ancora in vita (morì nel 1939). Già scrissi che Walter Maucci mi tratteggiò, personal­mente, la figura di quest’uomo, definendolo come una persona riservata e con l’animo del vero scienziato. Ho sempre pensato, poi, che il giovane Walter subisse un condizionamento dal maturo Boegan, una sorta di im­printing che, forse, mai lo abbandonò.

Nel 1938, quindi, Walter Maucci inizia l’attività speleologica con la Commissione Grotte, ove, dai racconti e dai documenti, s’intravede la sua precocità, poiché in brevissimo tempo apprende non solo la tecnica ma an­che acquisisce capacità di produrre rilievi topografici e, sembra, incline alla lettura dei testi di speleologia dell’epoca di cui la biblioteca sociale dell’Alpina era ben fornita. Studente liceale e poi universitario, si stac­ca ben presto, come qualità di speleologo, dagli altri grottisti triestini. Il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra assieme alla Germania e, di con­seguenza, con la subitanea invasione italiana dei territori sloveni e croati lungo il fronte nord-orientale, le aree carsiche della Venezia Giu­lia divengono “infide” (tra l’altro, pericolose per gli italiani a causa dell’ostilità della popolazione slava), tanto che nel 1941 l’attività spe­leologica dei triestini dovette sostanzialmente cessare, anche perché chiamati alle armi sui diversi fronti. Oltre allo studio, Walter Maucci, tipico giovane della buona borghesia cittadina, si dedica pure al teatro e ad altri interessi culturali e sportivi, come arrampicare sulle pareti delle palestre di roccia degli alpinisti triestini.

Con l’immediata occupazione tedesca di Trieste a seguito dell’armisti­zio dell’8 settembre 1943 tra le forze alleate e il Regno d’Italia, il padre di Walter fu obbligato dal Capo ufficio stampa, nazista, dell’appena costituito Adriatische Küstenland (Litorale Adriatico), subito rimosso il direttore de “Il Piccolo” l’antifascista Silvio Benco che nel frattempo era subentrato al mussoliniano Rino Alessi, a occupare l’incarico di direttore del giornale. Rodolfo Maucci, suo malgrado in quel ruolo poi­ché contrario all’occupazione, e messo all’indice dal patrioti italiani triestini, avviò, assieme ai redattori, un’azione che, più che boicottag­gio (la quale non sarebbe stata tollerata e riflessa sulla propria fami­glia), fu di “grigiore” in ogni articolo che riguardava la Germania. L’u­nico modo per poter condurre una “opposizione”. Sembra tenesse un diario di quanto fece, da esibire alla fine del conflitto, che era ormai perduto per la Germania in quanto le armate arretravano sui vari fronti. Era l’autunno del 1943.   Con l’occupazione tedesca e la presenza del­la Forschungsgemeinschaft Deutsches Ahnenerbe e. V., che installò un Ufficio speleologico alle dipendenze delle S.S. con a capo il col. Scharlau, furono destinati a quel servizio, diretti dallo speleologo ten. cap. Guido Calligaris, noti speleologi: Cesare Prez, Oscar Marsi, e pure il maggiore dei tre fratelli Maucci, Arrigo. Più tardi venne aggregato Luciano Medeot. Si trattava di comandi, ai quali non si poteva rifiutare. L’ufficio, pres­so la sede del Liceo Oberdan, aveva compiti civili e non militari, come quelli concernenti il problema delle fonti d’acqua cittadine etc. Tuttavia, in quel clima di oppressione, con una resistenza triestina che si stava for­mando a seguito della ricostituzione in clandestinità dei partiti politici pre-fascismo, assieme a un partito co­munista triestino, il confine tra essere additati quali collaborazionisti o aver subito un’imposizione dall’occu-patore era sostanzialmente soggettivo nel pensiero dei concittadini. Questi speleologi ebbero un’imposizione dei tedeschi, indipendentemente dalla singola “fede” personale di ognuno, tant’è che tutti loro (eccezion fatta per Calligaris) fecero parte delle squadre che poi, al ritiro delle truppe jugoslave del maresciallo Tito dal terri­torio triestino, si dedicarono al recupero delle salme degli infoibati nelle grotte del Carso, da parte dei titini e loro fiancheggiatori, sotto la direzione della Polizia civile.

Per Walter Maucci, dunque, una giovinezza in piena guerra e occupazione straniera, con problematiche fami­gliari pesanti con cui doveva convivere giornalmente. Alla fine dell’occupazione nazista di Trieste nel 1945, il padre Rodolfo, ovviamente finalmente rimosso dall’incarico di direttore de “Il Piccolo”, e che si accingheva dover dar conto alle nuove autorità di un possibile “collaborazionismo nei confronti del nemico”, morirà di crepacuore due mesi dopo. Non mancò, alla famiglia Maucci, un ulteriore drammatico strascico della guerra negli anni ’50, Arrigo Maucci, giornalista inviato a Vienna, morì, sembra, a seguito di una malattia proprio contratta durante il recupero dei cadaveri degli infoibati; pensate che all’epoca per questi uomini l’unica protezione individuale erano i guanti. Con l’insediamento a Trieste del Governo Militare Alleato, nel 1945 iniziano a costituirsi i primi gruppi speleologici triestini del dopoguerra, l’attività speleologica, pur con gravi difficoltà, riprende, Walter » Maucci si laurea l’anno dopo in Scienze Naturali discutendo una tesi sul fenomeno carsico. Da quello che ri­sulta pure Walter Maucci riprese appena possibile – pare nel 1947 – l’attività speleologica, ma solo nel 1948 la Commissione Grotte, di cui lui era socio, riaprì ufficialmente i battenti. Come si sa, alcuni dei soci (rimasti) nell’immediato dopoguerra furono impegnati nell’opera di recupero degli infoibati e proprio per tale ragione (assieme probabilmente a motivi di diversa natura) la Commissione Grotte “riaprì” tardivamente. Con la “normalizzazione” Walter Maucci si avvia a realizzare un fitto programma di ricerche sul carsismo, di cui è lui stesso il principale attore. Di cosa dispone? Delle conoscenze scientifiche d’anteguerra, inizialmente – pare – solo a livello europeo, e della buona conoscenza sulla consistenza, non solo quantitativa, della speleo­logia del Carso (all’epoca chiamato Carso Triestino), soprattutto a fronte di poco più di cinquant’anni di spe­leologia intensiva realizzata nell’area per molti considerata nei circuiti internazionali quella di maggior inte­resse carsico (e notorietà), nonché dell’eredità scientifica di Eugenio Boegan, che costituirono base fondante per le sue concezioni riguardo il fenomeno carsico. Pertanto, Walter Maucci sostanzialmente operò disponen­do di un substrato tra i più ricchi, all’epoca, riguardo la conoscenza del carsismo; non solo, si trovò proprio in uno dei punti focali della speleologia internazionale, con il Carso e le sue grotte a un passo da casa, e con un’organizzazione speleologica esplorativa ancora all’avanguardia.

Non ripercorrerò la vita e gli studi di Walter Maucci, per cui rimando il lettore ad approfondire nella bibliografia (quasi tutta disponibile in rete). Devo riassumere, però, stringatamen­te quanto espresse onde far comprendere l’importanza della sua figura a livello internazionale. Conscio, naturalmente, che con gli anni trascorsi pure una figura di primo piano come Walter Maucci inizia appannarsi, ed è inevitabile. Il primo periodo può essere racchiuso in un decennio, che lo vide impegnato su vari filoni. L’elaborazione intellettuale di quan­to vide, da giovane speleologo, nelle grotte del Carso, gli studi sui testi e sul carsismo che, durante il periodo universitario, gli consentirono di elaborare una prima sintesi scientifica sull’origine e l’evoluzione delle grotte oltre che del carsismo in generale, e infine su quanto approfondì poi la materia, nel primo dopoguerra, con studi “mirati” indagando so­prattutto sulla geomorfologia delle cavità carsiche, effettuati in prima persona, sulle principali grotte del Carso rimaste in territorio italiano. L’apice di questo periodo è – se vogliamo dare una data – il 1953. L’an­no prima, nel 1952, ci fu la pubblicazione del suo lavoro fondamentale “L’ipotesi dell’erosione inversa quale contributo alla speleogenesi”, mentre le 1953 discusse due lavori di ulteriore sintesi, sia sull’evoluzio­ne delle grotte e del Carso sia sull’idrologia sotterranea del Carso, al pri­mo congresso internazionale di speleologia a Parigi. Questi lavori furono “Inghiottitoi fossili e paleoidrografia epigea del Solco di Aurisina | (Carso Triestino) e “Organizzazione tecnica e risultati delle ricerche sul corso ipogeo del Timavo (1952-53) (Carso Triestino)”, che gli valsero fama mondiale. Se, da quel che si è saputo, a Parigi la speleologia italiana era ufficialmente e “istituzionalmente” rappresenta­ta da Michele Gortani – ebbene – gli occhi di quella mondiale si spostarono sul molto più giovane Maucci. Fu il congresso che riunì per la prima volta nel mondo i grandi speleologi del tempo, quelli che avevano traghettato la speleologia anteguerra nella nuova Europa, poiché, nel ’53, la speleologia ameri­cana era ancora lontana, non ancora strutturata, e poco interessata per affacciarsi a un’assise mondiale su questa materia. Walter Maucci, autorevolmente, era tra questi.

Per l’epoca, Walter Maucci era ancora relativamente giovane per le grandi esplorazioni (ma al limite, dato lo sforzo che era richiesto con la tecnica in uso). Il successo di queste spedizioni era però condizio­nato dall’esistenza di squadre di speleologi forti e ben rodate. A Trieste ne esistevano, rispetto al resto dell’Italia, e tra queste spiccava quella della Sezione Geo-speleologica della Società Adriatica di Scienze (SAS), fondata da Maucci stesso fine 1950-inizio 1951, dopo che fu estromesso (con il classico “colpo di mano”) dalla Commissione Grotte “E. Boegan”; molti si son chiesti perché successe … semplicemen­te, con la sua capacità e la sua propensione a un moderno inserimento della speleologia triestina in quel­la italiana (fu uno dei fondatori della Società Speleologica Italiana il 25 giugno 1950 a Verona, “ne dai suoi consoci poiché legati in modo ancillare a un Istituto Italiano di Speleologia prebellico disciolto), dava “ombra”. Comunque sia, la forte squadra della SAS, pur con fortune alterne e con tati esplorativi più o meno validi, per tutti gli anni ’50, con Maucci alla testa si cimentò in una spedizioni nelle maggiori grotte italiane (per profondità o interesse scientifico): Tassare, Acquasant Spluga della Preta, Antro del Corchia, etc., dove Maucci, espertissimo e innovatore nelle teorie carsismo e geomorfologia ipogea, riuscì “portare a casa” studi pregevoli, sempre pubblicati a livello nazionale. Senza dimenticare che Maucci fu il pioniere della speleologia subacquea italiana * (con le classiche prime esplorazioni nel Timavo ipogeo alle Risorgive di Duino e alla Grotta di Trebiciano), nonché uno dei due invitati ufficiali al Gouffre Berger alla spedizione che la consacrò quale grotta più profonda del mondo.

Un tale background non passò inosservato. L’apice dei suoi studi Maucci lo raggiunse tra il 1958 e il 1960. Cioè tra la sua partecipazione al secondo congresso internazionale di speleologia, a Bari, e la pub­blicazione di una serie di lavori che riguardavano geologia, carsismo e idrogeologia del Carso, che for­marono un volume estratto dal Bollettino della Società Adriatica di Scienze, il cosiddetto “Decennale” giacché edito in occasione dei 10 anni di fondazione della Sezione Geo-speleologica, congiuntamente con articoli di Carlo D’Ambrosi. La “forza” di Walter Maucci si vede, soprattutto, dalla disamina del lavoro presentato a Bari dal titolo “Considerazioni sistematiche sul problema dell’idrografia carsica ipo­gea”. Un lavoro che, nell’ambiente della speleologia (specie triestina) fu fatto passare sottotono. Il mio modesto parere è che fu uno errore, in quanto, indipendentemente dalle schematizzazioni inserite, ma “amate” all’epoca, per la prima volta – direi dai tempi del Martel – fu presentato un quadro esaustivo di quelli che, fino a quel momento, erano i concetti sulla circolazione delle acque sotterranee nei carsi, trat­to da sintesi provenienti da tutto il mondo. Lo sforzo di analisi è evidente: basti scorrere l’elenco biblio­grafico. Maucci, modernamente, ma mediando e adattando ai suoi personali concetti di carsismo, in par­ticolare rivaluta l’opera di Otto Lehmann del 1932 la “Hydrographie des Karstes”. Del resto, Marjorie Sweeting – carsologa a Oxford – nel dopoguerra, parlò di questa del Lehmann come di una grande ope­ra, considerandola l’unico contributo europeo del tempo (tra le due guerre) al dibattito sulla speleogene-si, spiegando che la ragione per cui dai ricercatori nordamericani e britannici fosse stata ignorata risiede­va nel fatto che non c’era mai stata una sua traduzione in lingua inglese, neanche in forma ridotta. Maucci, nel suo lavoro di sintesi sull’idrologia carsica, per la prima volta riporta e dibatte, a un pubblico italiano e nel contempo internazionale, le teorie dei cosiddetti “freatisti” americani (Davis, Bretz e Swinnerton). Il problema era che nelle sue, personali, esplorazioni egli aveva sì visto condotte forzate etc. però le inquadrava ancora nelle “condotte a pieno carico” concepite e codificate prima da Kyrle ne­gli anni ’20 e poi da Chevalier negli anni ’40, tant’è che nella sua sintesi del ’60 sul carsismo ipogeo del Carso il freatismo, se non escludendolo, proprio lo relegò a “casi particolari”.

Dopo il 1960 una serie di eventi, che già descrissi in articoli precedenti, portarono alla disintegrazione della Sezione Geo-speleologica, e ci vollero diversi anni affinchè essa riprendesse un’attività speleologi­ca strutturata. Fu in quegli anni che Walter Maucci, in sostanza, chiuse con la speleologia, tentando di ottenere la cattedra universitaria, forte della sua notorietà e della libera docenza in Speleologia conse­guita nel 1959 all’Università di Bologna. L’occasione si presentò con la costituzione, nei primi anni ’60 dell’Istituto di Geologia e Paleontologia preso l’Università di Trieste. Il prof. Carlo Dambrosi, allora docente presso il neo-costituito istituto, lo chiamò accanto a se, ma con l’avvento di nuove figure dirigenziali e, soprattutto, con l’ostilità di una parte del mondo accademico di allora (vecchi rancori in campo scientifico), la cat­tedra, come chiaramente scrisse Claudio Scala, mai arrivò. Maucci, per­fettamente conscio che ciò cui ambiva per lui era ormai sfumato, ama­reggiato abbandonò la partita e la speleologia. Scrisse ancora qualche articolo scientifico – l’ultimo risale al 1974 – ma ormai riproponendo cose già dette e conosciute o non di primaria importanza. Poi al ritiro dall’insegnamento – era professore al Liceo Oberdan di Trieste – si tra­sferì per motivi personali a Verona dove, negli anni ’70 iniziò, grazie all’allora direttore del Museo di Storia Naturale di quella città prof. San-dro Ruffo, una lunga e straordinaria stagione di studi sui Tardigradi (se ne era sempre occupato), divenendo, attraverso molte spedizioni nel mondo e pubblicando opere ancor oggi di grandissimo rilievo scientifico, vedi assieme al Ramazzotti il poderoso “Phylum Tardigrada” del 1983, uno specialista a livello mondiale di questi invertebrati protostomi celoma-ti. Organismi affascinanti, i Tardigradi in anidrobiosi aumentano notevol­mente la loro resistenza ad agenti fisici e chimici; così possono meglio supe­rare periodi di congelamento, ma anche sopportare dosi di radiazioni UV e ionizzanti che ucciderebbero organismi attivi, temperature molto basse o ele­vate (fino a -273°C e a +151°C), elevatissime pressioni atmosferiche (600

MPa) e sostanze chimiche. L’accordo di Maucci con il museo era la donazione della sua raccolta 15.000 vetrini) che comprendeva pure quella lasciata dal Ramazzotti. Walter Maucci morì nel 1995 a seguito di un attacco cardiaco durante una delle sue tante spedizioni di studio. Si trovava in Borneo, sul campo. Ritornando alla speleologia, Maucci fu inviso e ostacolato da buona parte della speleologia triestina. Molti gruppi grotte, e molti grottisti che vedevano in lui “lo speleologo”, unico e inarrivabile, gli dichiararono “guerra” in tutti i modi, usando il dileggio e l’ostracismo. Però, non fu fermato da loro ma da consorterie accademiche più grandi di lui. Nei gruppi grotte triestini non si è mai metabolizzato bene che i grandi speleologi fioriscono indipendentemente dalle “politiche” speleologiche. Nella speleologia triestina, in quella che ha contato veramente, svettano due nomi, ambedue legati alle proprie capacità, Eugenio Boegan e Walter Maucci, e quest’ultimo fu discepolo del primo, dunque dirlo non è irrilevante. La fama Walter Maucci se la costruì con le proprie mani, con la propria intelli­genza, con il suo qualificato impegno dedicando la vita alla scienza.

Scrissi in passato che Maucci fu il mio Maestro nella speleologia, pur se non nella pienezza del termine giacché la mia frequentazione con lui fu breve. Però fu proprio lui mi avviò alla speleologia di ricerca con il suo sostegno didattico e – sempre come scrissi – verso “la vera via”, quella che da significato pie­no alla speleologia poiché si colloca lungo la strada maestra.

Giunge il momento della riflessione, indirizzata ai giovani o nuovi speleologi: trovate maestri con quel profilo scientifico e tecnico che vi consenta di avviarvi verso la “vera via”, sempre che abbiano la pas­sione per farlo, e se non li trovate nel vostro gruppo grotte – ebbene – cercateli da altre parti, ormai la speleologia travalica i confini ristretti dell’associazionismo stracittadino. Lo dico perché, specie nel Friuli Venezia Giulia c’è un grande bisogno di speleologi “formati”, o meglio che si “formino”. Dato che l’associazionismo speleologico locale, almeno da venticinque anni, tra le altre cose non investendo nella formazione (che costa fatica), adagiandosi al sussidio annuale che l’amministrazione regionale elargisce – si faccia o non si faccia arriva comunque – ha diminuito capacità progettuale e di crescita, ma soprattutto, così facendo, per esaurimento ha ridotto all’osso la classe dirigente di profilo elevato: l’unica risorsa essenziale per poter pianificare e realizzare una speleologia che stia al passo con i tempi. Non servono soldi per andare in grotta, ma per fare speleologia oggi sono indispensabili, e non si può cercare all’interno di un corporativismo locale per trovare risposte che solo dai grandi speleologi, in Ita­lia e nel mondo, si possono ottenere. Nel corporativismo locale ci si riflette come in uno specchio. Ultima riflessione: a Walter Maucci la speleologia triestina, prodiga nell’affibbiare nomi fantasiosi, se non in qualche caso scurrili, ai grandi abissi che scopriva, oltre che giustamente a moltissimi di quelli di noi che son venuti a mancare, non gli ha mai intitolato una pur modesta grotta, o uno straccio di caverna, di galleria, di passaggio, di cunicolo più infimo. Nulla. Sì, anche in questo gesto si riflette la grandezza di Maucci.

Ecco, a cent’anni dalla sua nascita, uno speleologo come Walter Maucci valeva la pena ricordarlo!

di Rino Semeraro

Bibliografia dell’articolo

  • Dambrosi S. & Semeraro R. (eds.), 2009 – Walter Maucci (1922-1995): speleologo scienziato triestino.-Scritti memorialistici e celebrativi. Ed. Società Adriatica di Speleologia, Trieste: pp. 150. Disponibile [online] su: http://www.sastrieste.it/SitoSAS/PDF/ Libro%20Maucci.pdf
  • Semeraro R., 1984 – La rinascita della speleologia regionale. – Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, 1 Aggiornamenti, la ricerca scientifica, Istituto Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, Udine: pp. 277-314.
  • Semeraro R., 1997 – Ricordo di Walter Maucci. In memory of Walter Maucci. – Ipogea, 2, 7-11; anche su: Quaderni di speleologia e dell’ambiente carsico, n. 1 (1999) / “La ricerca speleologica nel Friuli-Venezia Giulia: attualità e prospettive”: pp. 17-20.
  • Semeraro R., 2015 – Walter Maucci, a vent’anni dalla sua scomparsa (1995-2015). – Sopra e sotto il Carso, Notiziario online del CRC “C. Seppenhofer”, a. 4, n. 7, luglio 2015: pp. 24-38. http://www.seppenhofer.it/files/sopra_e_sotto_il_carso_7_-_2015.pdf
  • Semeraro R., 2020 – Dopo che Maucci abbandonò la speleologia …. – Sopra e sotto il Carso, Notiziario onli­ne del CRC “C. Seppenhofer”, a. IX, n. 10, ottobre 2020: pp. 43-47. https://drive.google.com/file/d/1A9PVuCup-cG-ilvtlp2z7QGLGKDj8H4k/view