Grotte di La Val

GROTTE DI LA VAL (APRILE ’78)

La Val 1954 (Foto Finocchlaro)

Pubblicato sul n. 2 di PROGRESSIONE – Anno 1978
Le grotte di «La Vai» non sono nuove alla speleologia triestina; scoperte ed esplo­rate ai tempi critici della nostra Commis­sione (principio degli anni 50), per anni hanno rappresentato, e rappresentano, una valida lezione di speleologia per i giovani e una tappa fondamentale per la crescita della nostra associazione.
Fu uno dei componenti di quelle glo­riose spedizioni, ormai addetto a lavori d’uf­ficio, a parlarci di questa splendida cavità, indicandoci gli eventuali punti oscuri che ancora perduravano.
Questo primo capitolo esplorativo ven­ne concluso, temporaneamente, in due usci­te complessive; saranno però i cinque della prima ad accorgersi repentinamente che il rilievo dell’ultimo tratto (dal l° al 3° sifo­ne) non corrispondeva del tutto con la real­tà, credendo di esplorare ambienti nuovi.
L’imboccatura si trova presso il paesino di Pradis di Sotto (provincia di Pordenone), ed è collocata sul fondo di una piccola valle chiusa che raccoglie tutta l’acqua piovana, gettandola nella cavità; basta infatti un ac­quazzone per provocare il «sifonamento» della grotta.
Un foro orizzontale del pavimento di terriccio (ingresso II), permette l’accesso, dopo un successivo salto, al famoso mean­dro di 150 metri che, nonostante sia comodo e largo, per il suo procedere tortuoso mette a disagio chi è ancora acerbo in fatto di esplorazioni. Da qui in avanti l’acqua sa­rà la nostra umida e permanente interlo­cutrice.
Discesi 3 salti che non superano i 10 metri si giunge al celeberrimo «passaggio basso», alto una cinquantina di centimetri (per circa 6 metri di lunghezza) metà dei quali sono occupati dall’acqua (gelida ov­viamente). C’era chi cercava di costruire un ponte di sacchi e chi invece, restando dove l’acqua è meno profonda, guardava attonito chi era già al di là del passaggio e si striz­zava i calzini invitandolo all’audace guado.
Dopo il «passaggio basso» inizia la parte più bella della cavità, e si prosegue con am­pie spaccate ed eleganti traversate per la «galleria delle marmitte», costellata da nu­merose cascatelle che si tuffano in ampie pozze d’acqua verde intenso.
La galleria termina troncata da due salti di 15 e 22 metri, e siamo giunti alla «con­fluenza». Due gallerie che si dipartono dal­l’ampia sala formano una «V» dove per due volte i componenti si daranno appuntamento proseguendo a destra per la «galle­ria dell’affluente», alla fine della quale era stata iniziata, anni addietro una vertiginosa arrampicata artificiale alla ricerca del colle­gamento con il «Noglar» (cavità non molto distante); a sinistra verso i sifoni terminali.
La roccia della risalita presentava buone placche per affondarvici il perforatore ma il procedere dopo 60 m diventò puro maso­chismo per l’instabilità della roccia, e per­chè nell’unico camino risalibile rombava una cascata.
Mentre c’era chi, sull’ultimo scalino del­la staffa, colpiva vigorosamente la roccia, qualcuno, paonazzo in volto e con l’intera cavità che gli roteava intorno, dava tutto sé stesso per gonfiare il poderoso canotto per il superamento del 1° laghetto; non tan­to ignorando l’esistenza del comodo «By pass», ma perchè la sua localizzazione veni­va a risultare nella roccia più compatta, ed essendo privi di facoltà medianiche, non restava altro che spendere un po’ di fiato ed improvvisarsi marinai. Il canotto del resto rimarrà gonfiato per tutta la durata della esplorazione e lo si trascinerà per poz­zi, arrampicate, cascate e cunicoli, finchè, al tanto atteso momento di usarlo, giaceva a terra privo di forma e con qualche taglio in più.
Il freddo penetrante è purtroppo la ca­ratteristica dominante di questo ramo che porta al fondo, insieme allo scrosciare del­l’acqua che ci abbandonerà solamente dove una breve arrampicata verso l’alto, all’al­tezza di un poderoso spinello, permette l’ac­cesso ad un cunicolo e qui solo il placido ticchettio delle gocce, lo strusciare delle tute e Io sbuffare delle narici accompagnano il grottista.
Il profondo e suggestivo 3° sifone (mal rappresentato nel vecchio rilievo) non fece che accentuare la sensazione di esplorare ambienti nuovi, ma la seconda uscita can­cellò ogni dubbio: bisognava solamente ef­fettuare un rilievo più preciso ed accurato.
Fatto il rilievo, disarmata la grotta.
Non vi era nulla di nuovo quindi; la solita acqua, gli stessi ambienti, la solita gioia di stare insieme.
                                                                                                      Marino Serra