1991 – Caucaso

 

CAUCASO ’91 – MASSICCIO DELL’ARABICA

Strettoie a Only Stones (Foto P. Pezzolato)

Pubblicato sul n. 25 di PROGRESSIONE – Anno 1991

I perché di questa spedizione

Esaurita, per il momento, l’attività esplo­rativa in Messico in seno alla CGEB si era iniziato a ricercare delle nuove zone “vergi­ni” ove proseguire le attività esplorative ex­traeuropee.
Il Brasile aveva iniziato a dare i primi risultati ma essendo la nostra società com­posta da molte persone si era giunti alla conclusione che per quest’anno si potevano attuare due spedizioni; la prima nuovamente in Brasile: a tentare il congiungimento tra le cavità denominate Sao Vicente 1° e Crei­binha, mentre la seconda in Unione Sovieti­ca, nazione quest’ultima molto vasta per cui bisognava trovare un’obiettivo ben preciso. Memori della spedizione in Pamir a cui ave­va partecipato con buoni risultati il nostro consocio M. Bianchetti, avevamo optato per tale zona tenendo comunque in considera­zione la possibilità di andare in Caucaso sul massiccio dell’Arabica.
Lentamente iniziarono le ricerche per tro­vare un valido appoggio; su suggerimento di alcuni soci, che lo avevano conosciuto in alcuni convegni internazionali, scegliemmo Vladimir Kisseljov vice presidente dello Spe­leo Center di Sverlovsk. Questa persona si era qualificata come uno speleologo profes­sionista alquanto competente e a lui affidam­mo l’organizzazione logistica della spedizio­ne in URSS. Tramite una corrispondenza abbastanza frequente ottenemmo molte de­lucidazioni riguardanti la nostra scelta per cui scegliemmo il Caucaso essendo il Pamir ancora in fase di prospezione per quanto riguardava l’attività in zone ancora inesplo­rate. Alla fine di maggio Kisseljov, su nostro espresso invito, giunse a Trieste dove per una settimana fu da noi ospitato e in base alla singola disponibilità di tempo libero por­tato a visitare alcune cavità della nostra provincia. Si stabilirono i dettagli finali per attuare la spedizione e ci si congedò per rivedersi direttamente a Mosca il 30 agosto da dove avremmo proseguito per la zona designata: l’Arabica; messici° calcareo a NE di Sochi a poche decine di chilometri dal Mar Nero. A detta del nostro “Speleologo profes­sionista” tale zona presentava ancora pa­recchi settori inesplorati con potenziali cal­cerei che raggiungevano i 2000 metri! Questo fatto assieme all’esistenza di diverse cavità che superavano i 1000 metri di profondità faceva supporre che avremmo sicuramente scoperto qualcosa di molto interessante.
Nel mese di luglio furono completati gli acquisti di viveri e materiali in più il giovane socio Ritossa Gabriele (alias Puntina) era riuscito a procurarci dei biglietti aerei sconta­tissimi ed inoltre la certezza di non pagare un extraprezzo per il bagaglio in eccedenza permettendo così di ridurre sensibilmente le spese globali della spedizione.
Partimmo il 29/7 dall’aereoporto di Ron­chi e dopo uno scalo a Budapest giungemmo il 30/7 a Mosca dove Kisseljov ci accolse; da qui il giorno seguente in aereo giungemmo a Sochi. A causa del maltempo che impediva il decollo degli elicotteri il dì seguente utiliz­zammo un camion per concludere così il viaggio d’approccio all’Arabica. Sotto una pioggia battente il pesante veicolo ci portò lungo un disagevole sterrato nei pressi del campo base dell’Iliukina dove giungemmo in circa mezz’ora di cammino sempre sotto la pioggia.
Fummo ospitati da un gruppo speleo di Mosca; il giorno seguente partimmo alla vol­ta del nostro campo base sito a circa 3 ore di marcia da questo; giunti a destinazione inva­no attendemmo l’elicottero che doveva por­tarci tutti i nostri materiali. Arrivò il giorno dopo costringendoci ad una notte all’addiac­cio e praticamente senza cibo, così iniziaro­no i primi malumori nei confronti dell’organiz­zazione sovietica. I giorni successivi vennero spesi nell’allestire il campo base, la cucina e tutto ciò che ci necessitava creando un rico­vero utilizzando un enorme masso nei pressi di un magnifico lago che ci assicurò tutta l’acqua necessaria al nostro premanere in tale area.
Finite queste operazioni preliminari ini­ziarono le battute di zona e di conseguenza l’esplorazione delle prime cavità; lentamen­te i dubbi divennero certezza, ovunque an­davamo scoprivamo cavità siglate negli anni passati, risalenti talune a più di 10 anni fa. Tutte le zone erano state già battute e le uniche cavità da noi scoperte (una quindici­na in totale) erano rimaste inesplorate grazie solamente alla presenza, negli anni passati, di cospicui “tappi” di neve che le avevano occluse; la profondità massima raggiunta fu di circa -200 metri.
Scoperto sifatto inganno chiedemmo ra­gione di ciò al nostro “anfitrione” che si scusò asserendo che lui non poteva conoscere l’attività effettuata da tutti i gruppi esistenti in Unione Sovietica! Inoltre da altre fonti atten­dibili giungemmo alla triste conclusione che tutto il massiccio era già stato abbondante­mente esplorato, non esistevano assoluta­ mente zone vergini dove sviluppare una attvità da perpetuare negli anni ed inoltre le uniche prospettive esplorative riguardavano solamente alcune cavità già parzialmente esplorate o scavi da intraprendere in am­bienti spesso pericolosi in frane di notevoli dimensioni. Purtroppo a metà spedizione poco si poteva ancora fare; in tre scendem­mo a Sochi con la speranza di incontrare qualche valido aiuto all’Istituto Geografico ma non trovammo nessuno e dovemmo ri­tornare sull’altopiano in attesa del volo del­l’elicottero previsto per il 26 agosto!
Grazie alla cortesia del gruppo che ci ospitò il primo giorno, potemmo esplorare una cavità scoperta dai suoi componenti; era sita a sette ore di cammino dal nostro C.B. rea non ci scoraggiammo e puntammo decisi su questa insperata chance con tutto il no­stro entusiamo e anche il nostro materiale. L’esplorazione finì a -240 in frana senza alcuna prospettiva valida per superare tale ostacolo, ritornammo al C.B. e attendemmo il rientro a Mosca dove il 29 agosto Kisseljov ci presentò il conto spese da lui sostenuto per un’ammontare di circa 2.000 US $!
Questa era una palese truffa che noi smascherammo facilmente costringendolo a presentare un’altra nota spese per un’am­montare di 980 US $ che comunque fu ridotta ulteriormante a 622 US $. E su quest’ultima cifra decidemmo di saldare il conto reputan­dolo più che sufficiente.
Kisseljov si era quindi dimostrato un’in­competente, un truffatore maldestro e uno speleologo di basso livello sotto tutti gli apet­ti; comunque tali considerazioni si possono attribuire anche allo Speleo Center di Sver­lovsk di cui lui era anche il vice presidente!
Non rimaneva che tornare in Italia dopo aver tratto parecchie conclusioni in merito, cosa che farà, suppongo, anche chi leggerà questo scritto; a volte gli insuccessi delle spedizioni vengono in qualche maniera “co­perti” ma non è il nostro caso e vogliamo che tutti sappiano come funzionano le cose in Unione Sovietica, se si ha la sfortuna di appoggiarsi alle persone sbagliate.
Purtroppo questa nazione è strutturata in tale maniera che è praticamente impossibile sviluppare un programma esplorativo senza un contatto locale, le rigide leggi e l’idiotesca burocrazia poi fanno il ‘resto senza contare che tutto è scritto in cirillico! Questa relazio­ne spero possa servire a chi in futuro decide­rà di affrontare una spedizione di questo genere: l’unica cosa da fare è sviluppare una prospezione preliminare, ma d’altro canto quando uno “speleologo professionista” ti assicura che non serve perchè lui sa già tutto e conosce a menadito le zone “buone” che fare se non fidarsi?
Noi abbiamo posto la nostra fiducia in questo individuo ed abbiamo sbagliato e penso che anche altre persone avrebbero intrapreso una strada simile per cui chi deve o vuole giudicare il nostro operato pensi bene a ciò che dirà perchè è fin troppo facile sputar sentenze con il senno del poi.
                                                                                             Paolo Pezzolato

STORIA DELLE ESPLORAZIONI E DELLE BATTUTE DI ZONA

Only Stones a: il P 30 a -80 (Foto P. Pezzolato)

Sbaglio d’atterraggio

Il gabbiano Jonathan Livingston anche quest’estate si doveva posare in luoghi sco­nosciuti (speleologicamente parlando), più precisamente in Arabika, sulla grossa cate­na montuosa del Caucaso. Ma l’atterraggio e la permanenza in loco del suddetto stupendo animale fu davvero rapida e fugace, da non permettere quindi di appagare pienamente quella sete di avventura esplorativa presen­te in ognuno di noi.
Infatti, sbagliata pienamente la scelta del nostro anfitrione nonchè guida esperta di­chiarata, non ci restava che girovagare tutti i giorni disostruendo un -240 “only stones” e raccattando fortunosamente i resti di oltre 10 anni di esplorazioni di speleo russi, trovando infine un bel abisso di -250: il “CCCP for CGEB”.
I componenti dello stormo erano tutti dei bei animali, oserei dire di razza pura, a cominciare con: “Somarov” (Mario), il con­dottiero del gruppo; il “Signor Fox” (Paolo), noto contabile serio e meticoloso; “Galina Trippottinova” (Betty), addetta alla custodia della dispensa, nonchè utilissima e gaia in­terprete; “Beccuccio” (Roberto) e “Pada” (Patrizia) rilevatori e disegnatori impeccabi­li; “Dodo” (Marco il sottoscritto), detto anche, mio malgrado, “l’uccello scemo”, dimostra­tosi però il latin lover “alanfordiano” della spedizione; ed in ultimo l’aggregato di Bari lo “scarrafone” (Francesco), dotato di parlanti­na alquanto insidiosa e petulante che gli poteva benissimo causare la fine che si addice a questi “graziosi” animaletti: lo schiac­ciamento.

Te la dò io la Russia

L’approccio con Sochi, piccola località turistica sul Mar Nero, non era certo dei migliori, vista la cappa d’afa che ci attendeva in aereoporto, premonitrice di un grosso, imminente, ciclone.
Simpatica e genuina la cena con pernot­tamento in una casupola di periferia che ostacolava però la visita al centro (ci rifare­mo in seguito).
Risveglio traumatico alle 5 per poi imbar­carci alla garibaldina in una specie di camio­netta 4×4. Scenderemo solo dopo più di 5 ore di scassoni e sconquassi su ripidissimi sterrati in mezzo ad una flora e fauna vera­mente da fiaba.
Naturalmente piove a dirotto mentre, ab­bandonato il mezzo, ci dirigiamo in 40 minuti di marcia al campo russo d’appoggio fre­quentato da gente giovane e simpatica ma allo stesso tempo anche temprata dalla vita durisima di ogni giorno.
“This Russian speleo are the amator” era la frase detta da “V1” (Vladimir in gergo: il nostro appoggio russo) in direzione del buon Orso Paponcio che nel frattempo strizzava le sue luride calzette tentando di trattenere la collera, mentre io, giulivo e sorridente, im­mortalavo la scena di sorpresa col mio fido apparecchio fotografico.
Campo, questo, devastato dalle pertur­bazioni molto frequenti, che ci offriva ospita­lità per una notte in quel che rimaneva delle lorotende. L’indomani camminatina di 5 orette per poi approdare a quello che sarà il nostro campo base: un laghetto azzurrissimo a 2050 metri s.l.m..
L’arrivo dell’elicottero, e quindi del nostro enorme bagaglio, atteso per quel giorno, era destinato invece al mattino seguente dopo una bella dormita al chiaro di luna; senza pranzo e senza cena.
Montati campo e cucina si apriva così la magra caccia ai buchi sovietici. Giorni e giorni di “svolazzi” tra creste, nevai e simpa­tici ghiaioni in pendenza marcando così un – 50 (il famoso “No Nervi”) ed esplorando alcuni “baratri” di 35. E’ la certosina pazienza che con “colpi” di circa 10 ore di camminata al giorno ci faceva spiegare le nostre pos­senti ali facendo vela sull’abisso “Only Sto­nes” (“solo scoi”, per chi non avesse capito).
Infatti a -240 dopo due disostruzioni e una serie di “fettecchie” meandriformi finiva in frana; tanto meglio.
Meritatissimi quindi i due giorni al campo, passati a stirarci le penne e lavare le croste (scusate il termine), nonchè provare l’eb­brezza di una stazione balneare munita di fornitissimo bar a 2000 m di quota.
Spassibo (grazie) Arabikal!!

UN BRINDISI AGLI AMICI RUSSI

In attesa ell’abisso che non arriverà (Foto P.Pezzolato)

Grazie all’amicizia con Asya (graziosa principessina di tutte le Russie), conoscia­mo i componenti del suo gruppo speleo mo­scovita.
Ospiti al campo russo tre dello “stormo”: Betty, Beccuccio ed il sottoscritto.
Segni di fratellanza, scambi di doni, di tecniche speleo e di canzoni (buona la no­stra fiera esibizione canora triestina), il tutto coronato da unanimi progetti, forse campati in aria, per poi concludere con un arrivederci da film strappalacrime. In saccoccia, volando verso il nostro nido, la carta vincente; un bel buco da esplorare distante però 7-8 ore di duro cammino. “Niente aah?i! Campo volante con una tenda in 7 persone! Due giorni di viaggio per il trasporto del materiale! Punta, rilievo e ritorno!”
Questo il breve “briefing” serale.
E così abbiamo fatto!
Il “CCCP for CGEB”, bellissimo abisso eccezionalmente concrezionato, probabil­mente di origine molto antica, respingeva, doveroso dirlo, l’animale più grosso del grup­po: Mario, il resto della compagnia invece, dopo lo spossante meandro di 100 metri, sbucante in un salto di 70 m e quindi in un cavernone franoso, si guadagnava il disar­mo con 20 ore di permanenza.
Sottolineo il meticoloso e alquanto stres­sante lavoro di rilievo portato a termine dalle due nostre uniche presenze femminili in “Rus­sia ’91”, ovvero Pacia e Betty che, con qual­che imprecazione ed abbondante perdita di sudore permettono di ammirare l’unica pun­ta di diamante della spedizione.
Ultimi due giorni di relax poi, “disbrattato” il campo, è l’elicottero a riportarci nella, per così dire, civiltà.
Tralascio la descrizione degli ultimi gior­ni passati a Mosca e Sochi, contornati da Zar e Piazze Rosse, in un bagno di …ehm… vodka, sicuro del bel ricordo che ogni mem­bro della spedizione si porterà appresso. Solo al rientro ci accorgemmo dello scampa­to pericolo, il “golpe” che in quel periodo era sfociato in una “quasi rivoluzione” politica armata, mentre noi, ignari, ci trovavamo al sicuro, sperduti sull’affascinante massiccio dell’Arabika.

DA SSVIDANIA URSS

La frana a Only Stones (Foto P.Pezzolato)

Traendo le conclusioni, senza tralascia­re i disguidi causati dallo Speleocenter loca­le, dei quali nessuno ha la benchè minima colpa, “Russia ’91” è servita a farci acquisire la conoscenza delle scarsissime, se non nulle, possibilità esplorative riguardanti il massiccio dell’Arabika e, a nostro giudizio, maturato su notizie provenienti da fonti at­tendibili, anche sui rimanenti massicci calce­rei.
Se però poche sono state le soddisfazioni tecniche, a parte quei pochi abissi vergini da noi esplorati e strappati alla distesa infini­ta di sigle, restano i validi contatti con dei veri nuovi amici moscoviti e georgiani in previsio­ne, spero, di altre escursioni future quali Kazachistan, Parnir ecc., dove il nostro gab­biano di Livingston possa posarsi con mag­gior successo.

 Breve panoramica sul Caucaso

La grande catena montuosa del Cauca­so si estende per oltre 1000 km in direzione Nord-ovest – Sud-est dalla Baia di Novoros­sijsk sulla riva nordorientale del Mar Nero, a Baku, sulla penisola di Apseron sul Mar Caspio, toccando con il monte Elbrus i 5642 metri. E considerata, grazie alla sua forma­zione e struttura, la continuazione dell’arco alpidico esterno dell’Europa Orientale (Car­pazi e Balcani) che oltre il Mar Nero ricompa­re nel rilievo della Crimea meridionale. Il Caucaso comprende il Grande Caucaso, la Ciscaucasia, la Transcaucasia ed il Piccolo Caucaso bordante, quest’ultimo, la parte sovietica dell’acrocoro Armano.
Il settore veramente alpino, e cioè il Gran­de Caucaso, è costituito da rocce cristalline antiche che va dal Kazbek (vulcano attivo in epoche recenti) al Cugus, lungo il crinale principale. L’attività vulcanica fu particolar­ mente attiva alla fine del Pliocene e all’inizio del Quaternario.
Il limite delle nevi perenni nel Caucaso Occidentale scende a 2700 metri, nel settore centrale sale a 3100 e nell’orientale a circa 3900 metri.
Tutta la zona caucasica gode di un clima relativamente mite in relazione all’altitudine.
Il versante più freddo è quello settentrio­nale dove le giornate di gelo sono più nume­rose.
Temperature medie in gennaio: 0°C in Transcaucasia e -5°C in Ciscauicasia. Le precipitazioni nel Caucaso occidentale oscil­lano sui 2000 mm annui, nel Caucaso orien­tale ed in quello centrale diminuisce via via sino arrivare ai 300 mm a Baku sul Mar Caspio.

Abissi del Caucaso

Nel massiccio calcareo da noi percorso ed osservato, cioè l’Arabika, (omonimo del monte più alto che lo sovrasta) sono presenti molti abissi interessanti per i loro sistemi idrici e per la loro conformazione morfologi­ca; inoltre gran parte hanno una notevole profondità e, assieme ad altri che, veloce­mente andrò ad elencare e facenti parte del massiccio calcareo Bzybskij, evidenziano il gruppo caucasico quale zona di notevole importanza speleologica.
Questi gli abissi dell’Arabika:

  • Abisso “V.V. Iljukhina”, si apre a 2310 m d’altitudine ed è profondo circa -1200 m con i sifoni terminali recentemente esplorati. Questo abisso si sviluppa in un calcare gri­gio del Giurassico superiore (pendenza 30- 40° a sud-ovest)
  • Abisso Kujbyseuskaja con -970 metri di profondità che si apre a 2180 m; appartiene allo stesso sistema idrologico dell’abisso precedente.
  • Abisso Moskovskaja -400 nel 1985 ora più di -900 m di profondità, quota raggiunta con varie esplorazioni e disostruzioni dagli speleologi moscoviti.

Doveroso compiere una breve carrellata sugli abissi più importanti del massiccio del Bzybskij:

  • Sneznaja-Mozonnogo -1370 m, entrata superiore 2000 metri; nella regione del Gran­de Caucaso. La parte superiore della cavità si sviluppa nel calcare dolomitico mentre quella inferiore nel calcare a breccia del Cretacico inferiore.
  • Napra – (West Caucaso) -956 m si apre a 2350 m nel Giurassico superiore con fortis­sima presenza d’acqua e quindi di numerosi pozzi-cascata.
  • Pantjukhina con circa -1500 m di profon­dità è una tra le più profonde e difficili cavità del mondo; esplorata da speleologi russi e cecoslovacchi.

                                                                                                             Marco Bellodi