GIOVANNI FORTUNATO BIANCHINI (prima metà del 1700)
Tratto dalla rivista Cronache Ipogee n.7 anno 2023 pag. 35-40
Le prime ricerche sul Timavo sotterraneo nell’antica contea di Gorizia
Premessa
Non si può parlare di Giovanni Fortunato Bianchini se non si va ad analizzare il contesto storico in cui egli visse.
Si è sempre creduto che nell’area dell’antica Contea di Gorizia non vi furono in passato grandi studiosi del fenomeno carsico, ciò può apparire vero solamente ad un esame superficiale. Se andiamo, infatti, a riscoprire le vicende legate a questo particolare settore delle scienze geografiche, possiamo trovare diversi autori, che in passato, si sono dedicati allo studio del carsismo e soprattutto alle indagini volte a scoprire il percorso sotterraneo del fiume Timavo. Una leggenda metropolitana racconta che Dante in esilio nel suo continuo peregrinare, fu ospite di Enrico II Conte di Gorizia; la tradizione vuole che, durante il suo breve sog-giorno in questa città, egli visitasse le famose grotte di Postumia. Qualcuno addirittura in passato ha creduto di identificare la sua firma in uno dei tanti graffiti che compaiono incisi lungo le pareti della cosiddetta “Grotta dei nomi antichi”. Pochi invece sanno che egli fu attratto anche da una piccola grotta situata nei pressi di Tolmino (Tolmin – Slovenia). La cavità e i suggestivi orridi formati dal fiume Tolminca impressionarono a tal punto il sommo poeta che egli, così si disse, si ispirò proprio a questi posti per ambientare l’in-gresso del suo inferno. I versi “ Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la dritta via era smarrita. “, infatti, per chi conosce la zona, ben si addicono ai luoghi visitati dal poeta. Non sappiamo se tutto ciò risponda al vero oppure se si tratti solamente di una leggenda, ad ogni modo, a testimonianza di ciò non lontano da Tolmino, all’epoca territorio della Contea di Gorizia, esiste tuttora una cavità chiamata “Grotta di Dante” (Dantejeva Jama) all’ingresso della qua-le su una targa si legge che essa fu visitata dal poeta nell’anno 1319. È questa, se vogliamo, la più antica testimonianza di una esplorazione “Speleologica” compiuta nell’ambito del territorio goriziano. Nonostante le prime documentazioni scritte di una certa attività speleologica a Gorizia risalgano solamente alla seconda metà del 1800, dobbiamo rilevare che alcune spora-diche notizie riguardanti solitarie esplorazioni in grotta, siano ben più antiche. Solitamente queste erano eseguite a scopo utilitaristico, esse venivano effettuate soprattutto da “cacciatori di cristalli”, uomini cioè che frequentavano l’ambiente sotterraneo alla ricerca di minerali e materiali pregiati; ferro in modo particolare. È così che un nobile cividalese, Virgilio Formentini, appartenente ad una famiglia che prenderà residenza stabile a Gorizia, essendo signore e giurisdicente delle montagne del Tolminato e di Idria, scoprì e mise in attività nel 1497, le miniere di “argento vivo” (mercurio) di Idria. E’ notorio che all’epoca la ricerca di “cristalli” avveniva spesso seguendo all’interno delle cavità naturali la vena del minerale; questa attività, che era abbastanza diffusa nelle vallate dell’alto Isonzo, probabilmente era praticata a Idria anche dai Formentini. Io stesso, del resto, ho potuto visitare nell’alta Val Trenta (Slovenia) una di queste “grotte” e devo riconoscere che i primi esploratori dovevano essere stati degli “speleologi” di tutto rispetto. Inizialmente le esplorazioni nel goriziano, dunque, seguono un ordine pratico legato ad un bisogno strettamente economico, del resto anche nella vicina Trieste la speleologia nasce proprio dall’esigenza concreta di doversi approvvigionare d’acqua potabile. Gorizia essendo invece situata al centro di un anfiteatro collinare e montano ricco di sorgenti e attraversata da un fiume, l’Isonzo, dalle acque limpide ed abbondanti, non aveva certo bisogno di cercare l’acqua; pertanto le ricerche si svilupparono in tutt’altro campo. I risultati che ne conseguirono furono senza dubbio lusinghieri, visto che proprio a Trenta si sviluppò una di-screta attività estrattiva di minerale ferroso. Sorprendentemente, intorno alla prima metà del 1700, incontriamo un certo Giovanni Fortunato Bianchini che sulle tracce di quanto aveva asserito Padre Pietro Imperati da Duino, sulla continuità sotterranea tra il fiume Recca ed il Timavo, esplora sistematicamente alcune cavità del Carso triestino alla ricerca di tracce del miste-rioso fiume ipogeo. E’ così si scopre, rivoluzionando un po’ le conoscenze attuali, che la primogenitura delle indagini per accerta-re il percorso sotterraneo del Timavo, spetta a Gorizia e anticipa la data del 1800 indicata dal Forti quale inizio delle indagini scientifiche sull’accertamento della continuità sotterranea di questo storico fiume. In effetti il Bianchini, già a partire dai primi anni del 1700, dato per scontato quanto asserito dall’Imperati, si chiedeva come mai la portata del Timavo registrata alle sue bocche presso Duino era di gran lunga superiore alla portata del Recca stesso. Egli pertanto, attraverso attente osservazioni, formula delle possibili soluzioni al problema che poi, con dotte argomentazioni, andrà via via scartando, ma che comunque stanno ad indicare che le indagini da lui condotte avevano una certa base scientifica, il che era senza dubbio un atteggiamento nuovo per affrontare i problemi geografici dell’epoca.
Il Bianchini inoltre nel corso delle sue ricerche, svolte presumibilmente intorno all’anno 1753, si trasformerà in ardito speleologo come avrò modo più avanti di illustrare. Altro insigne goriziano che si occupò dell’ambiente sotterraneo, anche se marginalmente, fu il nobile Carlo Catinelli, nato a Gorizia nel 1780. Già nel 1797 egli intraprese una brillante carriera militare che lo portò in vecchiaia, nel 1854, ad ottenere dall’imperatore la corona ferrea di III classe, unitamente al cavalierato austriaco. Mi sembra doveroso segnalare il Catinelli non per la sua attività militare, ma perché fu uno tra i primi a scrive-re dei trattati sul fiume Timavo, questo a dimostrare ulteriormente che già allora anche a Gorizia c’era un certo interesse verso questo misterioso corso d’acqua sotterraneo. Tra il 1884 e il 1900 ci sarà a Gorizia un periodo di grande fermento intellettuale dove, specie nel campo delle scienze naturali, si metteranno in mostra alcune singolari figure di studiosi di tutto rispetto. Sarà, infatti, nel 1884 che il barone goriziano Carl von Czörnig in occasione di una conferenza tenuta a Parigi, presenterà una dettagliata relazione intitolata: “L’Isonzo, il fiume più recente d’Italia”. In essa egli indubbiamente interpretando e avvalorando l’ipotesi di antichi scrittori ricorda l’esistenza di un grande lago nel tratto superiore del fiume e un secondo esteso bacino d’acqua situato nel tratto mediano dell’Isonzo le cui acque attraverso delle caverne situate alle pendici del Carso subito a sud di Gorizia davano origi-ne al percorso sotterraneo del Timavo. Il Czörnig, infatti, a supporto delle sue tesi affermava: “… Le acque dell’Isonzo medio, cioè quelle dell’Idria colla Baca si volsero dall’altra parte. Esse assunsero il loro corso presente (in riferimento al 1884. N.d.A.) fino a quella località situata sotto la città di Gorizia, ove presso il pendio del Carso si trovava un lago che riceveva a occidente detto fiume, (allora nominato Sontius) a oriente invece il Vipacco (allora denominato Frigidus). Questo lago aveva un livello d’acqua circa 16 metri più alto del fiume odierno e si riversava nelle caverne del Carso. All’uscita del medesimo (dopo un percorso sotterra-neo di circa un miglio) le sue acque causa la forte pressione del lago molto più alto e le strette aperture, sgor-gavano con straordinaria velocità e gran rumore, costituendo l’ammirato fiume Timavo che venne illustrato da quasi tutti i poeti e geografi dell’età classica. …” (A. Comel, 1923). Se vogliamo in qualche modo giustificare il Czörnig dobbiamo ricordare che l’errore in cui egli è incorso può essere parzialmente spie gato se andiamo a consultare le rappresentazioni topografiche antiche. Nella cartografia antica, infatti, spesso le sorgenti del Timavo erano rappresentate in corrispondenza delle pen-dici sud del Carso Goriziano, se non addirittura come ramo laterale dell’Isonzo. Sarà poi il goriziano Alvise Comel nel 1923, come vedremo più avanti, a rimettere a posto le cose confutando queste tesi con dotte argo-mentazioni.
Giovann Fortunato Bianchini: La sua vita
Giovanni Fortunato Bianchini visse intorno alla prima metà del 1700, purtroppo non ho trovato alcuna documentazione riguardante la vita e le origini di questo studioso, ma da quanto egli scrisse e soprattutto da come egli, nei suoi scritti, si rivolge al conte Guido Cobenzl (… Signor Conte mio Signore …) presumo si trattasse comunque di un cittadino della Contea di Gorizia. Del resto era ben conosciuto in questa città e godeva di una certa credibilità se il Catinelli lo cita più volte nel suo studio sul Timavo. Con molta probabilità quel Conte Guido Cobenzl a cui egli si rivolge, per assonanza di nome e corrispondenza di date, potrebbe essere individuato in un certo Guidobaldo Cobenzl. Questi era figlio di Giovanni Gasparo e Carlotta di Rindismaul; Guidobaldo nacque, infatti, nel 1716 presumibilmente a Gorizia visto che la nobile famiglia dei Cobenzl possedeva, dal 1597, un palazzo in questa città. Nel 1780 egli, assieme al Coletti, fondò l’Accademia degli Arcadi Romano Sonziaca; uomo di raro ingegno e di lettere, di erudizione profonda in diverse materie, eccelleva in modo particolare nelle scienze naturali. Il Cobenzl era anche barone di Prosecco, di Luegg, di Mossa, signore di S. Daniele e di Reiffniz. Il nobile signore al quale il Bianchini scriveva nel 1754 poteva pertanto essere proprio il sopracitato Guidobaldo Cobenzl; a parte la corrispondenza del periodo storico in cui i due vissero, a suffragare tale ipotesi è impor-tante osservare che quest’ultimo aveva la giurisdizione del Castello di Lueg, il famoso castello costruito all’ingresso di una grande caverna non lontano da Postumia, l’attuale castello di Predjama. Al proposito possiamo leggere in un passo delle “Osservazioni intorno al fiume Timavo” scritte dal Bianchini rivolgendosi al conte suo signore: “ … e ‘l Fiume di Luego, sotterraneo Fiume non piccolo che passa sotto Luego nobile Castello di vostra giurisdizione. … “. Nel leggere questo lavoro, dunque, non si può che rimanere colpiti, in senso positivo, dalle numerose osserva-zioni che egli riporta sul fenomeno carsico esistente nell’area tra Duino e S. Canziano. Ed è proprio nel corso di queste sue ricerche che egli descrive la particolarità del paesaggio carsico in un linguaggio molto semplice e allo stesso tempo incisivo. Riporterò qui di seguito uno stralcio delle osservazioni eseguite dal Bianchini nel corso di una delle sue escursioni, là dove egli tenta di suffragare l’ipotesi che nessun altro fiume oltre al Recca interviene ad ingrossare le acque del Timavo nel tratto tra S. Canziano e Duino. Egli scrive: “ … E mi confermai nella massima camminando nel mese di Ottobre dell’anno 1753 per lungo tratto di que’ monti più vicini al Castello di Duino, senza incontrar mai né fiume né fonte né ruscello né pozzo: gli vidi però da capo a piedi e per ogni parte pieni di mille fori, di scavature e di fosse profondissime: esaminato in più luoghi il sasso che gli compone, lo trovai sempre fragile, e pieno di fessure e di pori facilissimi a dare alle piogge ed alle nevi libero adito di penetrare in dentro: conobbi benissimo la facilità dell’acqua in penetrare il sasso, dal considerare la troppo stentata coltivazione che quivi si pratica; poiché scelgono i poveri Abitatori certi siti più bassi e scavati a guisa di larghi pozzi (evidentemente sta parlando delle doline. N.d.A.), ne coprono il fondo sassoso di terra e letame, vi seminano le biade per metterle in salvo da’ venti gagliardissimi, ne ritraggono giusta ricolta, e questa vien sovente pregiudicata dal secco, e non mai dal-le piene o dalle pioggie più dirotte … “. Il lavoro del Bianchini è tutto teso, come si vede e come egli afferma più avanti, a scoprire il perché la portata del Timavo alle bocche di S. Giovanni di Duino è molto maggiore rispetto a quella registrata all’ingresso del Recca nelle Grotte di S. Canziano. Nel fare ciò egli ci porta a conoscenza dei lavori svolti dal Padre Pietro Imperati, vissuto presumibilmente nella seconda metà del 1500, che per primo dimostrò la continuità sotterranea tra le acque del fiume Recca e quelle del Timavo. Il Bianchini, infatti, era venuto a conoscenza nel 1752 del voluminoso carteggio avvenuto tra l’Imperati ed il grande naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi; in particolare egli riporta il testo, scrupolosamente in latino, di una lettera riguardante appunto le esperienze fatte dal religioso per accertare l’effettiva continuità sotterranea tra i due fiumi . Dal momento che tale vicenda si integra ed è complementare alle ricerche svolte dal Bianchini, vale la pena di aprire una breve pa-rentesi per illustrare sommariamente l’opera svolta da Padre Pietro Imperati. Lo stesso Bianchini ricorda che il frate era uno scrittore molto scrupoloso e credibile sull’argomento trattato, nonché colto nello stile latino. La lettera, di cui parla l’Autore, è probabilmente indi-rizzata proprio all’Aldrovandi e risponde a precise richieste for-mulate dal naturalista bolognese, per questo motivo egli sottolinea e precisa: “ … Timavum amnem pluris invisi, plura de ipso scruta-tus sum. Non te fugit, veteres vel septem, vel novem huic dedisse ostia: ipse ego plura quam duodeviginti numeravi, & quidem ma-jora; quorum alia vasto scatent gurgite, alia innumeris ebullitioni-bus. … “. Padre Imperati ci parla inoltre dei suoi famosi esperimenti effet-tuati per accertare la continuità sotterranea tra il Recca e il Timavo, non ci è dato di sapere come egli sia riuscito ad eseguirne i necessari controlli, ma le sue descrizioni sulle modalità di esecuzione sono molto precise, al proposito così si esprime: “ … Mersi fluminis cursus a voragine usque ad ostia tribus experimentis fatis innotuit, primò injecta alga marina bene sicca, dein foliis quarundam plantarum alienigenarum, & praesertim pini atque cupressus, demum paleis frumenti in frusta redactis; at nondum satis exploratum est, undenam tanta aquae copia; ostia enim longe superant fontes. …”. Come si vede egli, oltre ad aver intuito l’esistenza di una certa relazione tra i due fiumi, volle accertarsi dell’effettiva continuità con degli esperimenti che, se oggi possono sembrare alquanto semplici-stici, ebbero pur sempre dei risultati positivi. Il Bianchini dunque, dando per scontata la conti-nuità sotterranea del Timavo con il Recca, si chie-se perchè la portata d’acqua registrata alle bocche di S. Giovanni di Duino fosse di gran lunga supe-riore a quella del fiume all’entrata nelle Grotte di S. Canziano. In un primo momento egli ipotizza sulla possibilità che altri corsi d’acqua sotterranei intervenissero ad alimentare il Timavo, a tale proposito egli cita il lago di Circonio (Cerkniško polje – Slovenia) “ … e tosto mi venne in pensiero il Lago di Circhnizza, ampio Lago posto all’Oriente del Cragno, ed assai famoso per le maraviglie riferite da’ Geografi e dagli Sto-rici, e che tuttavia si appalesano per vere al giorno d’oggi ….” e il fiume Lokva che entra nella grotta sotto il castello di Predjama. La seconda ipotesi fu ben presto scartata in quanto egli si rese conto che queste acque, in effetti, defluivano verso la valle del Vipacco: “ … E poca fatica costò l’esame intorno al Fiume (il Lokva, N.d.A.), per essersi scoperta subito la sua corrente del tutto opposta al declivio del Recca e del Timavo: e di più si trovò vera alla prima l’antica costante tradizione degli Abitanti vicini, la quale porta ch’egli rinasca più gonfio alle sorgenti del Vipacco; appalesandosi quivi la polvere e le raschiature molte del legno, provenienti dal molino a sega eretto nelle pertinenze del Castello, e girato dalle stesse acque prima di perdersi sotterra. …”. La prima ipotesi invece venne tenuta più in considerazione in quanto esisteva una credenza popolare in cui si affermava che ogni volta che il lago di Circonio si vuotava, si assisteva ad un innalzamento delle acque del Timavo ed infatti il Bianchini dice: “ … Ma non tanto facili e piane riescirono le ricerche intorno al Lago, e le difficoltà si resero sempre maggiori da certa mal fondata credenza invalsa fra’ Contadini del Carso, facili ad asserire, che alle maggiori crescenze del Recca sepolto, abbia parte il Lago Circhnizza, benchè egli sia in distanza di quaranta e più miglia da San Giovanni di Duino: e di ciò (dicono essi) abbiamo prova sicura dall’anitre gittate nel Lago, e comparse dopo qualche tempo sane e vispe giù per la corrente del Timavo. … “. Egli esaminò quindi altri fiumi situati nelle vallate adiacenti il lago di Circonio ma alla fine dovette constatare e arrivare alla conclusione che non ci fossero altri corsi d’acqua ad alimentare il Timavo sotterraneo oltre al Recca. Per raggiungere tali certezze il Bianchini si improvisò “speleologo” e visitò numerose cavità nella zo-na tra Duino e S. Canziano, “ … scopersi infine molte voragini aperte qua e là, e tutte profonde; e non seppi in più d’una di esse trovare il fine, a motivo della troppo scabra tortuosa frattura; in altre gittando più volte sas-si, gl’intesi bene dopo lungo cadere perdersi nell’acqua; e massime in due aperte a perpendicolo trovai una profondità di venticinque braccia di sasso, e di tre braccia e più d’acqua stagnante. … “.
Tale cronaca, redatta nell’anno 1753, sta a testimoniare tra l’altro uno dei più antichi resoconti di una metodica “campagna speleologica” eseguita sul Carso, ma per quello che mi riguarda essa è senza dubbio un’impor-tante testimonianza dell’attività speleologica svolta nell’ambito del territorio goriziano.
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di Maurizio Tavagnutti