Mauro Godina

MAURO GODINA (Gelato) –  03-07-1947 – 24-01-2023

Gelato per gli amici grottisti, lo incontrai, la prima volta, presso la fontanella scavata nella roccia a metà strada del sentiero che raggiungeva il rifugio Gilberti da Sella Nevea. Al tempo, era il 1965, non c’era la funivia e si portava a spalla tutta l’attrezzatura speleologica necessaria per esplorare le grotte del Canin. Per raggiungere la conca dell’abisso Boegan e il Col delle Erbe si doveva superare sella Bila Pec, a duemila metri di quota. Camminata massacrante con gli zaini stracarichi. Noi dell’Alpina stavamo salendo per un campo estivo e incontrammo i grottisti fratelli e rivali della XXX Ottobre, altra sezione del CAI di Trieste che, invece, scendevano al ritorno dal loro campo. Io portavo, oltre all’attrezzatura personale, un sacco contenente sessanta metri di scalette in acciaio, superleggere, inventate da Mario Gherbaz. Gelato invece portava pure sessanta metri di scalette, ma le classiche del tempo, pesanti e ingombranti, per cui una era legata sulla sommità dello zaino e due le portava una per mano. Accasciatosi a terra con tutto lo zaino e appurato che portavamo gli stessi metri di scala, Mauro sbottò: “No xe posibile !@...”. Pochi giorni dopo, a Trieste, venne da noi. Alla prima uscita in grotta sul Carso con noi venne vestito di una giacca bianca. Dario Marini gli chiese: “..Te son gelatier ?” Da allora fu “Gelato”. In realtà, al tempo, lavorava in una carrozzeria. Mauro aveva un fisico notevole, con una muscolatura ipertrofica modellata dai pesi in palestra. Pro e contro. Aveva difficoltà a trovare trombini (gli stivali di gomma che usavamo in grotta) sufficientemente larghi per i suoi polpacci. Comunque entrò subito a far parte della squadra di punta della CGEB e partecipò alle più importanti esplorazioni di quegli anni. Purtroppo abbandonò le esplorazioni di punta abbastanza presto per le conseguenze di una scivolata sul ghiaccio, avvenuta ai tempi della Trenta sulle nevi oltre sella Prevala, in cui gli fuoriuscì una spalla. Non guarì completamente e gli rimase l’handicap. Nell’abisso Gortani, su di un pozzo armato a spirale per evitare l’acqua di una piena, perse il controllo e pendolò, gridando: “Ooop..less” e schiantandosi sulla spalla lesionata contro una parete. Proseguì. Nel 1966, per allenarci con l’acqua in vista della prossima spedizione alla Grava del Fumo, sul monte Alburno in Campania, grotta percorsa da un ruscello e parzialmente allagata, scendemmo il torrente Rosandra con scale, corde e canotti, dopo aver atteso la mezzanotte libando abbondantemente nella trattoria di Botazzo. Attraversando un laghetto su un canotto alla base di una cascata, Gelato finì in acqua e gli uscì la spalla. Appesantito da lampada a carburo, moschettoni, chiodi, mazzetta … rischiò di annegare perché le sue grida di aiuto, ubriachi come eravamo, le scambiammo per uno scherzo e ridemmo come ebeti. Lo salvò il Gobbo (Mario Battiston), il primo a capire e a tuffarsi. Dal 1968 si dedicò soprattutto al neonato Soccorso Alpino e Speleologico, partecipando anche a corsi avanzati sulle Alpi, dove assistette al precipitare dell’elicottero di appoggio alla loro attività. Ricordo una foto del Piccolo, giornale di Trieste, che lo ritraeva all’imbocco della grotta Noè, quando morirono tre grottisti veronesi per la rottura di una scaletta malfatta e agganciata ad un albero in modo errato.

Mauro apprezzava le nostre attività sportive collaterali e giocava ala nella nostra squadra di calcio. Anche il giro del tavolo, che praticavamo in sede e consisteva nel passare da sopra il tavolo a sotto e risalire senza toccar terra. Lo provò anche a casa, di notte, quando abitava ancora con i Suoi. Svegliò tutta la famiglia perché il tavolo della cucina, seppur appesantito da cassetti di posate, non era adeguato come il tavolone della sede e si rovesciò. Lo trovarono ricoperto da coltelli, forchette, cucchiai … e i genitori si chiesero come fosse potuta succedere una cosa del genere. Forse il fratello Giuliano sa se confessò. Gelato divenne nel 1967, credo, la prima guida regolare della Grotta Gigante. Nel ’65 e nel ’66 Mario Renzi (Savoneta) ed io avevamo iniziato il servizio di guida alla grotta con orario di visita gestito dalla CGEB, nel periodo estivo, ponendo fine all’era di Max della trattoria Milic, unica guida saltuaria. Gelato e Bruno Pegan furono le prime guide fisse per tutto l’anno. Gelato, divenuto poi capo delle guide, quando queste si moltiplicarono, divenne un’istituzione. Molti miei conoscenti, non dell’ambiente, lo ricordano con il Suo toscano all’ingresso o all’uscita della Grotta a dare informazioni. Mauro era sempre pronto alla battuta, spesso salace. Ricordo quando Elisabetta Stenner (Betty), al tempo guida pure lei, mi aveva invitato a cena a casa sua e chiese a Gelato cosa avrei apprezzato particolarmente. Lui rispose: ” Mah! Se fosi in Ti, no me preocuperia tanto del magnar, … ma del bever sai!“. Chiudeva con una caratteristica risata un po’ nasale.

Purtroppo, negli ultimi tempi, dopo la morte di Sua moglie, le poche volte che l’ho incontrato poiché non frequentava più la nostra sede, mi è sembrato avesse perso buona parte della gioia di vivere. Un Suo motto, ai tempi dell’esplorazione del Gortani era: “Che semo Noi, o che no semo Noi, ala fine semo sempre Noi” riferendosi ai pochi che scendevamo in grotta sul monte Canin.

Non più.

… ‘dio Gelato. Elio Padovan.