ENRICO TEDESCHI ( 10 settembre 1860 – 1931)
Tratto dall’ Annuario della R.Università degli studi di Padova per l’anno accademico 1931-32
Dotato di vasta cultura filosofica e naturalistica, Enrico Tedeschi si occupò con pari competenza delle diverse branche di quella disciplina, che egli definì in scienza della natura umana, seguendo in ciò quell’indirizzo che il venerando suo maestro, e maestro dei nostri maggiori antropologi – Giuseppe Sergi -, impresse all’ antropologia italiana. Egli intraprese diverse ricerche dì antropologia fìsica, principalmente craniologia delle popolazioni delle Tre Venezie e del Lazio, fermandosi però con particolare predilezione su quei problemi di geometria cranica, nello studio lungo e paziente dei quali, condotto con originalità di vedute e di metodo, egli cercò quelle leggi che regolano la sviluppo del biosolido umano e dei diversi segmenti di cui esso si compone.
Pregevoli contributi portò anche alla psicologia, all’etnologia e alla paletnologia, con ricerche e studi sulle antichità arie sociologiche, sui miti dell’ anima e sull’animismo letterario, sulla mentalità dei primitivi e sulla psicogenesi, e con l’esplorazione della stazione lacustre di Arquà – Petrarca e di alcuni abitati preistorici dei monti Lessini. Molte delle sue idee e delle sue indagini avrebbero potuto venir sviluppate e maggiormente approfondite con grande vantaggio delle nostre discipline, ma si direbbe, che lo spirito aristocratico del tedeschi si tenesse pago di indicare agli studiosi nuove vie e nuovi orizzonti di indagini, con memorie brevi, ma lungamente meditate e concepite con fine senso critico. Come nella vita privata, cosi nella scienza, egli fu e volle essere un solitario. Un solitario indagatore di quelle leggi naturali (fine di ogni nostra ricerca), che regolano l’evoluzione fisica e spirituale dell’uomo, dell’ignorato parassita – come egli scrisse – di una frazione infinitesimale, dell’ universo. Poiché nella minuta analisi di un problema scientifico o nella fredda metodica della tecnica antropometrica, la mente filosofìca del tedeschi non dimenticava la grandiosità del mondo intorno a noi, la vanità dei nostri sforzi, delle nostre ambizioni. Questa fu forse la causa di quelle ombre di scetticismo – direi anche talvolta di pessimismo – che è facile rilevare nei suoi scritti, dove pure non mancano spunti di signorile humor – e nel suo carattere; e che dovette portarlo a quella concezione ateistica del mondo, della quale egli trovava la più valida e convincente conferma nelle teorie darwiniane e nella armonia che governa il movimento degli astri. Sorto per interessamento di Giovanni Canestrini come sezione dell’ istituto di zoologia, anatomia e fisiologia comparate, il gabinetto di antropologia venne affidato ad Enrico Tedeschi, il quale nel 1897 inizio il corso di antropologia, un anno dopo averne conseguito la libera docenza a Roma. Sotto la sua direzione il nuovo istituto ebbe sede propria ed andò incontro ad un grande sviluppo, diventando in breve uno degli istituti antropologici meglio dotati d’Italia. Ma in Enrico Tedeschi non bisogna vedere soltato l’uomo di studio. Molto del proprio tempo e delle proprie energie egli volle dedicare alla patria ed alla società. Irredento – nacque a Trieste il 10 settembre 1860 – capeggiò numerose cospirazioni studentesche negli anni più belli e fervidi dell’ irredentismo adriatico. Egli fu tra i primi, per usare le stesse parole di Paolo Boselli, che sentì e volle la missione redentrice della Dante Alighieri, il sodalizio possente sorto per aiutare nei duri anni della dominazione absburgica l’opera della pro patria di Trieste. Allo scoppio della guerra Enrico Tedeschi è alla testa del patronato degli irredenti di Padova, dedicando con ammirevole costanza l’opera sua giornaliera di assistenza morale e materiale da profughi e da volontari irredenti. Larga opera benefica egli svolse pure come presidente della mensa universitaria fondata dal fratello prof. Vitale, pediatra illustre del nostro ateneo. Come non cercò plausi o lodi nella sua attività di studioso, così non fu spinto da ambizioni personali ad accettare cariche pubbliche o politiche – fu anche assessore comunale di Padova – ma da quei principi e da quegli ideali dei suoi giovani anni, ai quali, vecchio ormai e sofferente, volle tenacemente e fieramente rimanere fedele.
Raffaello Battaglia