BRUNO BALDASSI – (Trieste, febbraio 1948 – novembre 2020)
Un pezzo della mia gioventù se n’è andato! Così pensai nel momento in cui appresi che il vecchio amico speleo triestino Bruno Baldassi era morto, questo novembre 2020. Aveva settantadue anni, ed era molto malato. Come non ripercorrere le tante, anzi moltissime, grotte discese assieme: dal Carso al Canin e in giro per l’Italia.
Bruno aveva iniziato andare il grotta con il Gruppo Grotte “Carlo Debeljak” alla metà degli anni Sessanta – e non occorrerebbe precisare dello scorso secolo – ma ben presto passa, assieme ad altri tre compagni, al Gruppo Grotte dell’Associazione XXX Ottobre dove, a quel tempo, in quella sezione del CAI di Trieste (dove io ero da poco approdato) ferveva una forte attività speleologica. Era stata da poco approvata – anno 1966 – la Legge regionale n. 42 (detta “speleologica”) su iniziativa di Sergio Coloni (ideata da alcuni uomini “portanti” della Commissione Grotte “E. Boegan”, come Finocchiaro e Vianello) che consentì alla speleologia del Friuli Venezia Giulia di espandersi con gran-de vivacità sull’intero territorio della regione grazie, soprattutto, ai contributi economici alle attività speleologiche. Negli anni a seguire vi fu perciò un fiorire di attività speleo-logica e, naturalmente, di costituzione di molti nuovi gruppi speleologici distribuiti sul territorio, avviando così una lunga fase (durata una trentina d’anni) caratterizzata da una speleologia intensiva (io la definisco così). Quella fase (ormai cessata, e da tempo) portò la speleologia, diffusasi sull’intero ambito regionale, a esplorare la quasi totalità delle aree carsiche esistenti, e quindi a definir-le in una prima loro consistenza. Un aspetto geografico e conseguentemente carsologico non da poco. Tuttavia, essa diede spazio anche ad attività connesse o derivanti, come l’editoria e i congressi, che contri-buirono in modo sostanziale al progresso della nostra speleologia e alla formazione degli speleologi. Una fase che oggi – ripeto il concetto – è finita.
Dunque, in questo fervore di attività si inserisce la parabola speleologica di Bruno Baldassi che, da subito – direi per naturale inclinazione – mostrò una colta intraprendenza. Era, indubitatamente, sostenuto da una intelligenza superiore, uno speleo che, con ottime basi (per l’epoca) di tecnica esplorativa e rilievo, nonché consapevole della valenza scientifica che la speleologia aveva, sapeva cogliere il risultato.
Con il gruppetto di quei giovani io legai subito, e così diventammo inseparabili. Alla domenica in grotta e alla sera in osteria, e infine in spedizione: nella più schietta tradizione degli speleo triestini. Eravamo straordinariamente uniti; poi le strade della vita ci separarono, ma il legame rimase indissolubile, con gli anni (i decenni) inevitabilmente malinconico, ma proprio per questo motivo esso aveva una sua forza, mai spentasi, che si nutriva del ricordo.

L’attività speleologica di Bruno Baldassi si estrinsecò in parecchie aree carsiche italiane (se parliamo del solo aspetto esplorativo), anche in esplorazioni impegnative per l’epoca, dato che egli fu una presenza importante nelle spedizioni al Buco de Castello (Alpi Bergamasche), all’Abisso Cesare Prez (Massiccio del Canin), al Bus de la Genziana (Cansiglio, Veneto), senza enumerare le varie ripetizioni di cavità importanti in Italia. Ol-tre che a produrre un’attività costante sul Carso, fu impegnato in esplorazioni, scavi in cavità e rilievi topografici. La sua cultura lo portò a spingere la “XXX Otto-bre” verso la ricerca scientifica, vedendolo coorganizzatore, dove fu assai partecipe negli studi che in molte grotte del Carso, come negli abissi citati, si realizzarono; non solo, fu a fianco del team che installò una campana idropneumatica (sperimentale e specificatamente progettata) sul fondo della Grotta Lindner, sul Carso, ove per la prima volta si registrarono, con un monitoraggio in continuo, le variazioni idrometriche della falda idrica carsica.
Era vocato all’organizzazione e a gestire gli eventi, per un periodo fu anche capogruppo del Gruppo Grotte dell’Associazione XXX Ottobre. La sua attività, realmente intensa e produttiva, si svolse dagli anni Sessanta a quelli Settanta, per una decina d’anni, lasciando un’impronta sicura.
Bruno Baldassi, negli anni della sua attività speleologica, nella speleologia triestina e regionale fu considerato uno dei suoi uomini maggiormente rappresentativi, e non certo a torto.
Il suo periodo di attività e quindi il suo apporto si inserirono in uno dei momenti maggiormente felici per la nostra speleologia, certamente – come dissi – favorito dalla promulgazione della Legge regionale 42/1966, ma pure dovuto al fatto che – sempre in quel lasso di tempo – sorse, in particolare a Trieste, un consistente numero di speleologi che espressero capacità tecniche e scientifiche non comuni (alcuni dei quali sono tuttora in attività), che catalizzarono la scena, specialmente fra la Commissione Grotte “E. Boegan” e il Gruppo Grotte dell’Associazione XXX Ottobre. Tali condizioni, estremamente favorevoli, consentirono – se leggiamo obiettivamente la storia della speleologia triestina – spedizioni esplorative, studi in grotta e ricerche in generale anche d’avanguardia, formando un background speleologico di livello superiore che condizionò, per lunghi anni anche a seguire, le prospettive dell’intera speleologia locale, ovviamente in senso positivo. Tali condizioni, nei decenni successivi non si ripeterono con quell’intensità, anche se esplorazioni e progetti di ricerca non mancarono. E, altrettanto con obiettività, posso dire che Bruno Baldassi, pur chiudendo poi, definitivamente, la sua esperienza speleologica, in quel particolare periodo fu uno degli uomini trainanti.
Bruno non aveva un carattere facile, complice la sua esuberanza intellettuale, e per questa ragione la sua militanza nella speleologia fu spesso accompagnata dal confronto, dal dibattere, dal porsi; ma, se fosse stato diverso non sarebbe stato il protagonista che fu.
Ora, “quella” speleologia – di quegli anni lontani, intendo – non esiste più, se non relegata all’interno di poche équipe che non rinunciano a “sventolare il gagliardetto sociale” (è un modo di dire, chiaramente) prese come sono a cristallizzarsi su quesiti di “supremazia” ormai totalmente fuori dal contesto attuale. La speleologia attuale è, infatti, totalmente cambiata: ormai la specializzazione richiesta per produrre poggia su una formazione individuale (per ogni tipo di attività, quindi, tralasciando quella esplorativa giacché scontata, in primis quella di documentazione e scientifica), conditio sine qua non per poter sfornare risultati (se pianificati con oculatezza individuandone la fattibilità) spendibili sul piano nazionale e internazionale, dato che questa – differentemente da “quel” passato – è la vetrina odierna e il campo in cui confrontarsi.

Non essendo l’attuale speleologia più quella dei tempi di Bruno, la nuova condizione ha fatto comprendere (purtroppo ancora a troppo pochi) come sia giunto il momento per i gruppi grotte di doversi rimodulare e ristrutturare, e anche velocemente, poiché la formula perseguita (fino a livelli di “quasi estinzione”) è vecchia e superata. Solo attraverso collaborazioni e partenariati, e facendosi aiutare da esperti (cosa che molti abborro-no), si può affrontare una speleologia moderna: da un lato c’è una riduzione dei praticanti e da un altro viene richiesta una maggiore qualificazione individuale: una situazione oggettiva che non è mediabile con le chiacchiere o recitando al passato. Serve coraggio.
In questo senso Bruno Baldassi, pur essendo caratterialmente “uomo del gagliardetto” (come tutti, indistinta-mente, quelli della sua epoca lo furono e me compreso), fu dotato di una visione ampia e solida. Nel caso di Bruno giocò a suo favore – come già dissi – intelligenza e ottima cultura, ed anche una visione fatta di concretezza che concepiva disegni e azioni, di speleologia, dove lui ne vedeva l’inizio (caratteristica di molti) ma ne concepiva pure la fine (caratteristica di pochi), cioè il risultato.
Senza alcun dubbio Bruno Baldassi fu figura trainante – e direi storicamente – specificatamente all’interno del Gruppo Grotte dell’Associazione XXX Ottobre contribuendo, “con visione”, a costruirlo e fortificarlo; ne fa fede il fatto che, cessata la sua attività personale, il gruppo continuò a realizzare per molti anni una speleo-logia di qualità, e ciò non sarebbe stato possibile senza il bagaglio di esperienza in precedenza consolidato. Sono convinto che l’attuale Gruppo Grotte non l’abbia dimenticato, e assieme a lui i suoi valori e quanto ad esso egli abbia dato. Di lui non rimane solo memoria condivisa tra anziani speleologi ma testimonianza in esplorazioni, rilievi topografici, scritti, atti congressuali.
Ricordando la sua figura, dunque, ricordiamo a tutti noi – e mi rivolgo sia alle giovani generazioni sia ai molti anziani irrigiditi nella consuetudine – che della nostra storia bisogna sì far tesoro, ma allo stesso tempo è d’uopo lasciarla agli storici e guardare invece ben oltre al giorno dopo.
Rino Semeraro
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Conobbi Bruno in un pomeriggio d’estate del 1963: stava camminando in calzoni corti lungo la strada di Ga-brovizza per andare a visitare la Grotta dell’Ercole. Fu caricato sull’ISOCAR di Romano Ambroso ed inserito di forza nel gruppo GSCT. Da allora divenne un patito della speleologia, come tanti di noi, e soprattutto divenne un amico. Operammo insieme diversi anni, prima con il Debeljak, poi con la XXX Ottobre e per un periodo, negli anni settanta, divenne capogruppo dei grottisti. Si distingueva per intelligenza e cultura, (suonava molto bene il pianoforte). Conseguita la maturità scientifica si avvicinò all’Università ma presto si distaccò da questa istituzione.
Era arguto ed ironico (possedeva un humor velato e ci comprendevamo molto bene) ma anche sincero e spontaneo e con gli anni l’amicizia si consolidò. Conobbi anche la madre ed il padre e diventai uno di casa. Duran-te gli svaghi e le riunioni festive era estremamente divertente ed arguto e collaborava con tutti. Nelle esplora-zioni non dimostrava di preoccuparsi più di tanto, e ciò lo faceva sembrare talvolta sbadato o superficiale, se non addirittura disattento, ma non lo era: semplicemente seguiva il suo carattere.
Bruno Baldassi fu artefice, nel 1967, dei primi colloqui con il gruppo speleologico yugoslavo di Cosina alla fine degli anni sessanta e con lui esplorammo la Mejame e diversi altri inghiottitoi della Valsecca di Castel-nuovo (Matarsko podolje), in Slovenia: un’area che iniziavamo a studiare per le sue eccezionali caratteristiche idrogeologiche.
Era difficile operare in un periodo nel quale era rischioso entrare nelle cavità d’oltre confine. Nel 1970 decidemmo di rischiare ed esplorammo l’inghiottitoio di Slivie (VG 399) di cui nessuno sapeva nulla…. Perko non lo aveva esplorato e neppure Boegan, esisteva solamente una relazione di un gruppo non meglio identificato di grottisti triestini del 1934. Eravamo in quattro, oltre a Laila che rimase fuori a guardia degli zaini. Ci portammo dietro l’attrezzatura completa di sub per Luciano Russo che forzò il sifone per la prima volta.
Insieme esplorammo le prime cavità di Pala Celar, Canin, discendendo una decina di nuove cavità ghiacciate nel 1967.
Partecipò ad uno dei primi Convegni Speleo organizzati a Postumia, seguì la XXX Ottobre a Roncobello e fu uno dei promotori principali delle spedizioni alla Genziana. Partecipò anche alle operazioni logistiche in Canin (Prez).
Il suo carattere però non gli consentì di sviluppare completamente tutti i programmi di vita, programmi che avrebbero forse richiesto maggiori riflessioni. Ed è così che negli ultimi anni seguì un percorso difficile.
È stato uno dei miei amici di gioventù.
Enrico Merlak