NUOVE ESPLORAZIONI ALL’ABISSO PICCIOLA

Ingresso Picciola ritrovato – foto (P. Squassino)

L’avventura inizia con l’ennesima uscita della stagione.

Partiamo con l’intenzione di disarma­re l’Abisso Frozen entrando dal Turbine, in quanto la parete di accesso al Frozen è or­mai tutta imbiancata dalla prima neve che in alcuni traversi ha coperto le corde fisse. La discesa era programmata in corda doppia. Solita scarpinata dal piazzale di Sella Nevea al rifugio Gilberti quindi: sella Bila Pec, sen­tiero per il bivacco Marussich, ghiaioni verso l’Ursich e infine arrivo sul pianoro sul quale si apre il Turbine. Amara sorpresa: il pozzet­to d’ingresso del Turbine è ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio. Senza attrezza­tura specifica è intransitabile! Dobbiamo ri­nunciare. La Pacia, evidentemente sollevata all’idea di non dover risalire il pozzone sotto al ghiacciaio pensile, mi chiede un’alternati­va che le consenta di continuare a zompare nella neve di questa bella giornata. Con aria innocente recupero dalla tasca dello zaino il rilievo dell’abisso Picciola.

Qui comincia la nostra storia.

L’abisso a nord del Picco di Carnizza, ri­battezzato Abisso Paolo Picciola in ricordo del nostro socio tragicamente scomparso, fu scoperto nel settembre 65, in un anno fecondo di importanti ritrovamenti da parte della CGEB (Abissi Gortani e Davanzo) ed ha avuto una esplorazione intermittente in quanto all’epoca sovente ostruito da tappi di ghiaccio. Lascio volentieri la parola allo scopritore e amico Elio Padovan che con paziente ricerca fra appunti, storici libri delle uscite e ricordi (suoi e dei compagni di allora) ha ricostruito le esplorazioni dalla scoperta al raggiungimento del fondo, nel decennio che va dal 1965 al 1975.

“L’Abisso a Nord del Pie di Carnizza, in seguito intitolato a Paolo Picciola, fu indi­viduato nella campagna di settembre 1965 capitanata da Dario Marini, fatto di per sé abbastanza singolare data la Sua ritrosia a impegnarsi   in   compiti   burocrato-amministrativo-autoritari. Vi parteciparono quasi tutti i grottisti attivi e la campagna fu av­versata da persistente maltempo. L’abisso Boegan, principale obiettivo, era ostruito dal ghiaccio e così ci dedicammo alla ricer­ca di altre grotte. Tra diluvi e nevicate, divi­si in piccoli gruppetti, battevamo zona tra il Col delle Erbe e il Foran dal Mus e accadde che, lo stesso giorno ma in ore diverse, sia io che Porno (il compianto Giorgio Renar) individuammo quello che sarebbe diventa­to l’Abisso Picciola. Tra una piena e l’altra, nei giorni successivi, in tanti tra cui ricordo Roberto Segolin, Willy Bole, Adelchi Casale, Mario Gherbaz e Livio Stabile scendemmo fino a – 208 metri, dove il ruscello scompare in uno stretto meandro. Slim (Roberto Sego­lin) fece il rilievo. Il mese successivo, sempre guidati da Dario, individuammo e scendem­mo due nuovi abissi che chiamammo A 10 e C1, diventati in seguito Abisso Gortani e Abisso Davanzo che, negli anni successivi , ci avrebbero impegnato facendoci trascura­re l’Abisso Picciola.

Trasporto materiale – (foto A. Balzarelli)

Fu così che solo nel settembre del 1968, Nemececk (Livio Stabile),  Giorgio Nagliati (mai più visto dopo) ed io tornammo a cer­care una prosecuzione e la trovammo pochi metri sopra il vecchio fondo, riuscendo a scendere fino a – 290 dove ci fermammo per l’esaurimento del materiale.

13-20 settembre 1969. Superspedizione umida. Paolo Picciola, Mario Privileggi, Fa­bio Pestotti, Mariano Marzari ed io, accom­pagnati all’ingresso dai portatori Stabile, Rosolini, Gasparo, Claudio Privileggi e Giorgio Priolo, entrammo sotto la pioggia battente e, con un nuovo armo che evita le casca­te, raggiungemmo il campo a -200. Tra una piena e l’altra raggiungemmo i -385 ma pas­sammo giorni al campo, bloccati dalle piene, attendendo le morbide. Alla fine confondem­mo la data (orologi senza datario) e uscimmo un giorno prima del previsto. Evidentemente avevamo dormito per due volte 12 ore pen­sando fossero 24.

Anche questa volta problemi con il mal­tempo. Piene e nevicate. Però l’abisso con­tinuava alla grande e ci entusiasmava: ma invano. Da allora, per anni, a -30 metri e/o -60 la grotta rimase chiusa dal ghiaccio. Chiudemmo l’ingresso pensando di evitare così l’accumulo di neve ma era sbagliato perché il ghiaccio proveniva da un ampio pozzo vicino e comunicante. Livio Stabile, Mario Privileggi, Faraone Egizio, Roberto Enneri, Franco Fogar, Roberto Borghesi, Mauro Stocchi, Tullio Ferluga, Franco Orlandini, Maurizio Deshman, Mizzan ed io, oltre a Giordano Canducci dalla Romagna e altri probabilmente dimenticati, partecipammo ai vari tentativi di scavo. Abbandonando uno di questi tentativi lasciai uno stronzo sul fondo a – 60 dove c’era l’ostruzione di ghiaccio. L’anno successivo lo ritrovai in condizioni perfette, come appena rilasciato. Come in un congelatore. Il mutamento climatico ci risolse il problema appena nel 1974, nove anni dopo la scoperta.

8 settembre 1974. Tullio Ferluga, Danie-la Michelini, mario Cova e Mauro Godina ar­mano la grotta fino a – 130 metri.

14 e 15 settembre. Tullio Ferluga, Daniela Michelini, Rino Semeraro, Toni Klingendrath ed io, superato il vecchio limite a -385, raggiungiamo la profondità di – 460 metri dove ci fermiamo per l’esaurimento dei ma­teriali. Il tutto in 12 ore (Tullio ed io, i primi a entrare e gli ultimi a uscire). Senza le piene la grotta è proprio bella e facile.

1 dicembre. Tullio Ferluga, Daniela Mi­chelini, Mario Cova e Fulvio Durnik chiudono l’ingresso con tavole per fermare la neve.

21-24 dicembre. Esplorazione sponso­rizzata. Una ditta fornitrice di Mario Gherbaz ci fornì a un prezzo irrisorio materiali (mo­schettoni, corde, fettucce, ecc.) e abbiglia­mento (duvet, sacchi a pelo,moffole,ecc.) che uso ancora oggi, 46 anni dopo. In cam­bio Marietto doveva fornire una documenta­zione fotografica dell’esplorazione.

Salutati i portatori esterni – Fulvio Durnik, Luis Torelli, Mario Cova, Franco Fogar, Vin­cenzo Predonzan, Umberto Tognolli, Sergio Stibelli – scendemmo in grotta Tullio Ferlu­ga, Mario Gherbaz, Livio Stabile, Willy Bole, Toni Klingendrath, Claudio Dedenaro ed io. Mentre Marietto ed altri allestivano il cam­po a meno 200, Toni ed io scendemmo a -460 per armare il pozzo dove ci eravamo fermati la volta precedente: dopo 9 metri l’esplorazione finisce subito. Fessure impra­ticabili. I due giorni successivi passano alla ricerca vana di prosecuzioni e, soprattutto, al lavoro da comparse e tecnici delle luci per il servizio fotografico di Marietto. Risul­tati: 9 metri di grotta nuova e nessuna foto perché qualcosa nella macchina di Marietto non funzionò. Per fortuna avevo scattato io delle foto sperimentali con pellicola sensi­bile all’infrarosso, interessanti, che Marietto poi inviò allo sponsor. Le facce erano verdi ma … ci stava.

28-29 dicembre. Recupero materiali da -200. Tullio Ferluga, Luis Torelli, Claudio De­denaro, Mauro Stocchi e Mario Cova. Por­tatori esterni: Willy Bole, Roberto Segolin, Livio Stabile, Fulvio Durnik, Fulvio Forti, Ser­gio Stibelli, Pino Guidi, Mario Privileggi, Erica Kosuta ed io.

Da allora sino al 2020 diverse discese nell’abisso libero dal ghiaccio da parte di vari gruppi senza risultati significativi. La profondità massima rimase – 469 metri”

Preparativi – (foto Savio)

Elio cita altre entrate senza risultati suc­cedutesi sino al 2020, fra queste una punta probabilmente sempre nell’autunno 2011 fatta da ungheresi e diverse uscite CGEB 2011 alle quali ho partecipato un paio di vol­te e che mi stanno particolarmente a cuore. Avevo praticamente appena intensificato la mia attività speleologica ed ero contento di entrare in Picciola in buona compagnia confortato da una grotta bella e facile …. di questa avventura parlo estrapolando le parti principali da un articolo pubblicato da Antonella su Progressione 58.

… nella seconda uscita (la prima uscita era stata dedicata a porre la targa in memo­ria di Paolo Picciola e a una prima discesa limitata dal poco materiale) avendo trovato dei fix nuovi (probabilmente infissi dagli un­gheresi ) portiamo solo piastrine, ma a circa 100/120 metri di profondità ritroviamo i vec­chi e rari spit e dobbiamo uscire. Memorabi­le il percorso verso il bivacco DVP effettuato sotto un temporale da paura. Partecipanti: gli Ardetti tutti (Giuliano, Luisa, Igor e Maria) il Bonfo con signora e Bonfetto, il leggenda­rio Refe, Jumbo, Balzarelli, Linus ed Elena; Oliver, Diego Sollazzi, Giannetti e Cristina, Marietto, Piero e Antonella. L’ultimo tentati­vo viene fatto da Refe, Cristina e Giannetti, senza risultati apprezzabili in quanto avver­sato da mille eventi contrari…

Negli anni successivi sull’abisso cade l’oblio… interrotto qua e la da commenti no­stalgici dei vecchi scopritori con una comu­ne conclusione “troppo bello per finire così”.

Torniamo dunque allo scorso 23 settem­bre, dallo zaino esce anche un GPS, la gior­nata è bellissima e non abbiamo scuse: im­piegheremo il tempo che ci resta per cercare l’entrata del Picciola! Scendiamo al sentiero per la ripida discesa ancora ben innevata, proseguiamo sullo stesso sentiero in dire­zione del bivacco Marussich. Dopo quasi 10 anni i ricordi sono confusi ma con l’aiuto del GPS e faticosi saliscendi arriviamo final­mente all’agognata targa. Mentre torniamo verso la meritata birra al Gilberti pensiamo a quanto sarà difficile coinvolgere gli amici nell’impresa …come ci confermeranno le pri­me telefonate: gli interlocutori manifestano un certo scetticismo e concordano tutti sul tempo e la fatica che comporta il trasporto dei materiali fino all’abisso, auspicando il mi­tico elicottero…

Bisogna fare di necessità virtù e cer­chiamo intanto di raccogliere il materiale occorrente fra magazzino e risorse private. Ci troviamo così giovedì mattina 8 ottobre, sempre in due, alla partenza della funivia con un mucchione di roba che riusciamo a trasportare sino al Gilberti grazie all’indi­spensabile aiuto dell’amico Alberto, il diret­tore degli impianti, che ci da un graditissimo passaggio, nonostante la funivia sia ormai chiusa al pubblico. Facciamo gli zaini e li pesiamo: siamo oltre i 20 kg … affrontiamo la salita a sella Bila Pec con passo da bradipi… ma alla fine arriviamo al Picciola. Pochi minuti e tornia­mo verso al rifugio per preparare il secondo viaggio … Alla fine della giornata 70 kg. cir­ca di materiali erano all’imbocco del primo pozzo e noi eravamo soddisfatti ma distrutti. A quel punto, scomparsi dubbi ed incer­tezze, arriva la cavalleria ed inizia a spron battuto la nuova epopea del Picciola.

La domenica successiva ci troviamo in quattro e io e Mauri entriamo con un cer­to ritardo per non aspettare troppo tempo mentre Rocco arma la grotta. Arrivati ve­locemente al vecchio campo a circa 200 metri di profondità assistevo in diretta allo sfondamento di un sottile diaframma di conglomerato e entravo in un meandro da favola… Lasciamo perciò ora la parola all’amico Rocco, che ha partecipato a tutte le succes­sive esplorazioni che hanno portato il nuovo ramo a superare in profondità il vecchio fon­do e … ancora continua!!

“dall’idea di Balza (Adriano Balzarelli) e Pacia (Patrizia Squassino), nasce il PRO­GETTO PICCIOLA.

Sono loro infatti il motore trainante di questa esplorazione stuzzicati dai racconti di Elio Padovan, il quale non ha mai creduto che il Picciola finisse così! Ora che ci sono stato ne capisco bene il motivo!

Dopo il super lavoro di Adriano e Pacia il giovedì, che hanno trasportato quasi 500 metri di corde ed attacchi dal Gilberti alla grotta, eccoci in quattro il venerdì sera al bi­vacco invernale del rifugio. Oltre me (Rocco Romano), Lollo (Lorenzo Slama) e Mauri (Maurizio Ravalico) partiti da Trieste alle 20.00 c’è Adriano, autonomo, partito qualche ora prima. Arriviamo in pie­na notte all’accogliente locale invernale del Gilberti dove pernottiamo poche ore: sve­glia alle 5 e 30 destinazione Picciola, alle 8 e 15 entriamo in grotta io e Lollo attrezzando, Mauri ed Adriano ci seguono più tardi con il resto del materiale. Devo riattrezzare quasi tutto spostan­domi dalla possibile traiettoria dell’acqua e farlo velocemente, infatti abbiamo poche ore a disposizione visto che le previsione meteo danno addirittura neve alle cinque del pome­riggio. A meno 200 circa arriviamo per un’altra via sopra il vecchio campo, emozionante ri­trovare i vecchi chiodi ed i resti abbandonati 50 anni fa. I nostri vecchi erano veramente in gamba a fare tutto quel lavoro scendendo in scale! Proseguo la discesa dopo il campo e su­bito, dieci metri più in basso, vengo attratto da una condotta semi-ostruita da conglo­merato. Chiedo ai compagni se preferisco­no che continui a scendere verso il vecchio fondo o se preferiscono che vada a prendere con un’arrampicata facile questa finestra per provare a scavare il conglomerato. Decidia­mo per la seconda opzione, per cui con un piccolo traverso la raggiungo e comincio a a scavare; poco dopo Lollo mi raggiunge e mi da il cambio. È lui il primo a passare, io lo seguo in piena frenesia esplorativa. Davanti a noi il più bel meandro che ab­bia mai visto, una chicca, fondo di roccia liscia, nemmeno un sasso o un minimo di fango alle pareti, stalattiti sul soffitto, cosa rara in Canin, e perfino una colonnetta e del­le velette bianchissime. Adriano ci supera con l’inganno e proce­de con l’esplorazione avanzando sulla volta! Il meandro sembra non finire mai, così ci diamo un limite di tempo per non rischiare il maltempo all’uscita e per la prima volta in vita mia ci fermiamo lungo un meandro che continua, non interrotti da un pozzo o da un arrampicata … ma dall’orologio!

Il nuovo meandro a -200 – (foto R. Romano)

24-25 ottobre. Siamo in 5, ai 4 dell’altra volta si è aggiunto Spartaco. Anche questa volta il meteo è incerto, le previsioni sono pessime ma dalla webcam nei giorni scorsi abbiamo visto che il tempo non è stato poi così male. Anticipiamo la partenza da Trieste alle 14.30, breve pausa mangereccia e visto che il meteo regge decidiamo di tentare la sorte ed entrare direttamente al Picciola. L’acqua all’interno è davvero tanta ed il rombo della piena ci accompagna per tutto il tempo ma per fortuna riusciamo sempre ad evitarla. Giungiamo al meandro e riprendiamo l’e­splorazione da dove l’avevamo lasciata, lo seguiamo fin quando comincia a stringere e lì, sotto di noi, come per incanto si allarga obbligandoci a scendere in corda. Legata una cento, incomincio la discesa pendolando nei posti più larghi ma subito al terzo frazionamento il meandro spalanca in un pozzone maestoso. Continuo a scenderlo con timore reve­renziale, dopo altri 4/5 frazionamenti termino la corda e proseguo legandone un’altra da 45 metri. Vedo la fine della corda arrivare ad una decina di metri da una cengia ma la discesa prosegue per altri 30 metri ancora. L’ambiente del fondo, visto dall’alto sem­bra un’enorme forra ed a circa 50 metri di distanza la vedo gettarsi in un altro indefinito pozzo… Risaliamo.

All’uscita della grotta prendiamo una “scorciatoia” per giungere al bivacco, la quale ci fa impiegare 3 ore invece della solita ora, girovagando tra karren coperti di neve. Usciti dal Picciola alle 22.30 con arrivo al DVP alle 2.00… anche questo fa esperienza! Siamo a -420 m. Un gran bel risultato che fa ben sperare per le prossime esplorazioni! Ormai, eccitati dai risultati e anche per timore di un imminente lockdown le nostre entrate si susseguono settimana dopo set­timana!!

29-30 ottobre. Il materiale ormai comin­cia a scarseggiare, così Pacia Jenny ed io decidiamo di effettuare una salita infraset­timanale per portare altre corde alla grotta. Scegliamo di salire al DVP passando sotto al Bila Pec e troviamo la neve trasformata in ghiaccio. Dopo lunghi e penosi equilibrismi sui karren ghiacciati raggiungiamo il bivacco che troviamo parzialmente allagato! Il giorno successivo Jenny ed io portiamo le corde in Picciola, fino alla fine del nuovo meandro, mentre Pacia approfitta di un po’ di sole per far asciugare bivacco e materassi. Al ritor­no a Trieste avvertiamo i nostri colleghi che i ramponi sono d’obbligo e sconsigliamo la sosta al DVP

L’1 e 2 novembre quattro partecipan­ti (Rocco Romano, Silvia Foschiatti, Paolo Manca (CGEB) e Maurizio Ravalico (SAS) bivaccano al Gilberti e poi, raggiunto l’a­bisso, concludono la discesa del pozzo e si fermano all’inizio di un meandro portando la profondità del ramo nuovo a circa -400 m. L’ultima esplorazione ci ha visto entrare in 3, Jenny (CGEB) Alberto Dal Maso (XXX Ottobre) ed io (Rocco Romano). Arrivati alla base del pozzone, rivelato­si un P 220 lascio il piacere di attrezzare la nuova via ad Alberto. Seguiamo un altro meandro per pochi metri in direzione NO (direzione tenuta per tutta la lunghezza del meandro) scendiamo un primo pozzetto di 6 metri, alla base pro­seguiamo comodamente sul fondo e arrivia­mo dopo circa 60 metri metri ad un R 16 con successivo R 35. Alla base di quest’ultimo la grotta si di­vide e un grande ambiente meandriforme si apre innanzi a noi. Purtroppo per raggiun­gerlo c’è la necessità di un’arrampicata di 10 metri in artificiale e noi abbiamo i fix contati. Con il poco materiale rimastoci scendia­mo invece sulla destra una china detritica alla cui base una sala di modeste dimensio­ne potrebbe ospitare un futuro campo inter­no. Tra i massi di crollo troviamo il passagio, un R 20 che ci conduce alla vera base della sala. Qui intersechiamo la faglia che da origine nuovamente al meandro, alla nostra destra chiude senza lasciare possibilità, invece alla nostra sinistra, sempre in direzione NO, pro­segue. La sua volta è una condotta di forma el­littica mentre la base sfondata da origine ad un meandro profondo circa trenta metri che scendiamo per una decina di metri fino al termine dell’ultimo centimetro di corda! Met­to l’ultimo chiodo ed appendo la mazzetta pronta per scendere gli ultimi fottuti 20 metri. All’esterno intanto Giusto, Lollo e Paolo Manca, arrivati con un grosso ritardo, alle­stivano con corde e teli una barriera con lo scopo di impedire alla neve di ostruire l’in­gresso.”

Il pozzo da 200 m nel nuovo ramo – (foto P. Manca)

Qui finisce la cronistoria di Rocco delle ultime punte, interrotte da una stagione in­vernale precoce e nevosa come ai vecchi tempi. Si stima che all’ingresso del Picciola ci siano ormai oltre i 6 metri di neve!

Cosa dire di questa prima fase dell’esplo­razione? Intanto pensiamo che la base ope­rativa per questa esplorazione sia il bivacco Marussich, per la semplicità e la vicinanza al Picciola. Le altre 2 alternative – il bivacco spe­leologico DVP e il locale invernale del Gilberti sono troppo lontani e inoltre l’itinerario diretto DVP- Picciola si svolge su tracce con qualche passaggio delicato. Diverse esperienze inoltre insegnano che anche per esperti speleolo­gi uno dei momenti più pericolosi è il ritorno dopo esplorazioni lunghe e faticose. D’altro canto il bivacco Marussich non garantisce la disponibilità sicura di posti letto in quanto ubi­cato su un sentiero molto frequentato. Una alternativa sarebbe la caverna, po­sta a distanza ancora inferiore a quella del Marussich, già utilizzata per ricovero di for­tuna negli anni 60 dai primi esploratori. Un gruppo motivato e un paio di giorni di lavoro basterebbero a renderla passabile (al mo­mento solo tracce di un muro a secco e un abbozzo di una vasca di raccolta dell’acqua di stillicidio). Per quanto riguarda l’esplorazione oc­corre raggiungere il vecchio fondo e ana­lizzare anche con l’ausilio delle moderne frontali eventuali altre possibilità di prose­cuzione, nonché riguardare lo stretto mean­dro finale. Se poi continua l’esplorazione nel ramo nuovo bisognerà attrezzare un campo interno (cfr. sopra già localizzato da Rocco) e rifare completamente il vecchio rilievo e ri­levare ex novo il nuovo ramo.

Se consideriamo che all’inizio l’esplora­zione era considerata come un diversivo dal­la sempre più gravosa esplorazione dell’A-nubi (al momento si scende a -400 m e poi si risale di 450 m …) possiamo dire di aver messo abbastanza fieno in cascina per al­meno due stagioni.

Adriano Balzarelli, Elio Padovan, Rocco Romano, Patrizia Squassino