
Progetto ambizioso quello di Igor, a suo confronto il mio appare indubbiamente più pacato e rilassato; così debitamente spronato da lui decido di riprendere in mano il mai concluso lavoro delle iscrizioni della grotta di Padriciano. Alcune foto e indicazioni forniteci da Spartaco Savio inducono ad una nuova sessione esplorativa 2020, condotta da Igor con l’aiuto di Alessio Busletta, Mauro Norbedo e Paolo Toffanin.
Quando per la prima volta nel 2015 rivolsi l’attenzione alle iscrizioni della 12 fu quasi più curiosità che un vero intento di redigerne un dettagliato registro, allora non avevo minimamente immaginato il volume di questo patrimonio storico, né quanto interesse in me avrebbe sortito nel tempo a venire.
La Vecchia Signora, questa la veste in cui mi piace pensarla e il modo con cui sono solito salutarla all’ingresso e all’uscita: un segno di compassata educazione e rispetto per questa vecchia grotta un po’ malconcia, deturpata e spesso ingiustamente declassata a semplice campo d’addestramento, in cui però la storia della speleologia triestina ha segnato i propri passi per più di due secoli.
A distanza di sei anni mi rendo conto di quanto effimere siano a volte le nostre convinzioni: quando sembra che tutto ci sia stato rivelato e ogni curiosità e conoscenza esaudite, t’accorgi che lo svelato non è proprio tutto. Nuove iscrizioni appaiono come per incanto, proprio là dietro l’angolo, in posti già visti, stravisti e anche ampiamente ricontrollati.

A tutt’oggi quanto rilevato è riferito solamente al tratto tra l’ingresso e la partenza dell’ultimo pozzo (il 45); di questo ciò che è stato possibile riconoscere e decifrare, assomma a più di 350 unità.
Pensare di prenderle tutte in considerazione è ovviamente impossibile, per cui questa volta concentrerò la mia ricerca solamente su una piccola parte di esse, che però rappresenta, per noi della CGEB, un piccolo sguardo sui nostri grottisti del passato.
Quelli che con poche conoscenze, tanto ardimento e sicuramente anche una buona dose d’incoscienza, hanno dato origine a questo storico sodalizio e anche a quelli dei loro naturali avversari, ma colleghi per condivisa passione.

La Trieste di metà ottocento era una città in notevole espansione e trasformazione, una nuova classe stava prepotentemente emergendo e surclassando la vetusta nobiltà triestina, una classe medio borghese composta da commercianti, finanzieri, artieri, navigatori, letterati, insegnanti, costruttori, magistrati e amministratori pubblici.
Una classe abbiente che poteva permettersi alcuni lussi di tempo libero, integrati da un discreto benessere economico; una classe i cui rampolli costituivano la scolarità d’elite di licei e ginnasi triestini preparandosi a una vita da protagonisti, in una città in cui ben prosperavano e che al contempo contribuivano a far ben prosperare.
Ginnasti, remieri (come allora erano definiti gli appassionati di canottaggio), escursionisti, alpinisti e non ultimi per importanza i grottisti. Tendo a usare il termine grottista in quanto quello più in uso al tempo, poiché la parola speleologia e il relativo praticante speleologo sono termini primigeniamente coniati all’uso da Alfred Martel, solamente verso l’ultimo decennio dell’800.
Classi di pensiero e di etnie diverse si contrapposero in questa attività, chi di estrazione prevalentemente italiana, altri di fede austriacante.
Una concorrenza che rappresentò il motore trainante dell’attività speleologica e fu certamente lo stimolo determinante nel produrre ricerche e esplorazioni, in una frenetica corsa parallela alla conoscenza del sottosuolo carsico.
Diverse sono le sigle della Società degli Alpinisti Triestini (S.A.T.), della Società Alpina delle Giulie (S.A.G.) e della Società Alpina delle Giulie Commissione Grotte (S.A.G. C.G.).
Fra i protagonisti più importanti ci sono:
GIUSEPPE PAOLINA
Giuseppe Paolina (figura 1) del quale ci sono due iscrizioni, 8 dicembre 1883 (figura 2) e 25 aprile o agosto 1886 (figura 3). Poco conosciuto e sicuramente un po’ oscurato dal nome del figlio Guido che per un periodo, fino alla sua prematura morte nel 1904, tenne la presidenza della Commissione Grotte della S.A.G. Giuseppe Paolina nel 1883 fu, non solamente uno dei primi soci della neonata S.A.T. e componente del suo Comitato Grotte, ma anche cassiere e membro del primo consiglio direttivo. Conosciuto nell’ambiente sportivo triestino, fu elemento interno al nascente sistema sportivo scolastico cittadino e valente elemento di traino nella nascita di quei sodalizi atletici che portarono nel 1863 alla costituzione della Società della Ginnastica e Nautica Triestina, di cui per molto tempo fu membro del direttivo.
Società di ispirazione irredentistica italiana, ma in cui convergeva la maggior parte della nuova borghesia triestina, fra cui anche nomi come Peter Pignoli e Peter August Pazze, dirigenti del comitato grotte della Sezione Litorale del Club Alpino Austro-Tedesco, paradossalmente avversari nel sottosuolo, ma associati nello sport.
ANTONIO VALLE

Antonio Valle professore di zoologia 25 Aprile 1883 (figura 4 e 5), dirigente al Museo di Storia Naturale di Trieste; segretario durante la Presidenza di Muzio de Tommasini della Società Adriatica di Scienze Naturali (Tommasini e Valle dimissionari alla fine del 1921 furono nominati, in qualità dei propri ruoli, onorari); ricercatore e scopritore di nuove specie nel mondo acquatico (Crost. pa-rass. dei pesci del mare Adr., bollettino della SASN); Responsabile del Museo della Pesca e fin dagli inizi socio del Comitato Grotte della S.A.T., con il quale è partecipe alle prime uscite esplorative nel 1884 dell’abisso di Trebiciano alla ricerca e campionatura di specie animali. Nonostante la contrapposizione nazionalistica che contraddistingueva la Società degli Alpinisti Triestini con il D.O.A.V (Deutschland und Ósterreichische Alpen Verein – Sektion Kustenland), Antonio Valle risulta associato a quest’ultimo negli anni 1885-86-87. Il 25 luglio 1895, partecipa ad un’uscita esplorativa alla Kacna Jama (Abisso dei Serpenti) assieme a Josef Mari-nitsch, Friedrich Muller e il capitano Novak, dove ricerca e cataloga diverse specie di fauna acquatica e vegetale.

LUCIANO SAULI

Luciano Sauli (1894-1985) di Trieste (figura 6), era un impiegato delle ferrovie. Socio della Commissione Grotte nel secondo decennio del 900 (presente fino al 1915, non appare negli anni successivi). Scoperse nel 1965 sulla Vremsica un coleottero appartenente a un gruppo di specie caratterizzate da ali ridotte in entrambi i sessi; descritto nei dettagli da E. Wagner, il cui nome assieme a quello di Sauli venne associato alla scoperta, Dimorphocoris Sauli-Wagner.
VITTORIO BERTARELLI


La biografia di Luigi Vittorio Bertarelli (figura 7) redatta da Pino Guidi e consulta-bile sul sito CGEB lascia ben poco spazio a nuove notizie, figura di spicco del Touring Club Italiano, appassionato speleologo vicino all’ambiente dell’Alpina, fu sicuramente fondamentale per la pubblicazione del Duemila Grotte redatto da Eugenio Boegan con la sua collaborazione. Nelle foto d’archivio che lo ritraggono si nota uno sguardo vispo pieno d’interesse, la firma che lascia alla grotta di Padriciano è costituita da una semplice grafia corsiva in fine ed elegante tratto di matita, poco più grande di 5 cm. (figura 8) che si trova in una piccola nicchia, volesse quasi passare educatamente inosservato a non voler disturbare l’ambiente circostante.
FELICE BOEGAN

Felice Boegan (figura 9) e Ettore Alessandrini due monogrammi vicini che si contraddistinguono per l’esecuzione, dove le iniziali contigue di nome e cognome, una sul lato dell’altra, quasi si fondono in un tutt’uno. Entrambi appartenenti allo studentesco Club Alpino dei Sette, di cui Felice fu il presidente e il fratello Eugenio segretario, si ritrovano dopo il 1894 a militare nelle fila del comitato grotte della SAT. I due monogrammi si trovano vicini ad un’elegante grafia stilizzata rappresentante le tre lettere simbolo della Società degli Alpinisti Triestini (figura 10). La grande somiglianzà di esecuzione se raffrontata con il simbolo del Club Alpino dei Sette a firma Felice Boegan, che si può osservare nel relativo giornale sociale “la Mosca”, sembrerebbe attribuire la paternità dell’esecuzione a Felice Boegan (figura 11), così come il rilievo della grotta di Padriciano da lui eseguito nel 1892 è erroneamente attribuito al fratello Eugenio.

Enzo (figura 12) 1952 e 1984 due date e un cappello stilizzato (figura 13). Fu Pino Guidi a farmi presente che questo era il simbolo di Enzo Capei, al secolo Vincenzo Obersnel, socio CGEB e di come era uso lasciare traccia del suo passaggio nelle grotte che visitava.
VINCENZO OBERSNEL
Enzo (figura 12) 1952 e 1984 due date e un cappello stilizzato (figura 13). Fu Pino Guidi a farmi presente che questo era il simbolo di Enzo Capei, al secolo Vincenzo Obersnel, socio CGEB e di come era uso lasciare traccia del suo passaggio nelle grotte che visitava.
Frequentavamo la sede del medesimo sodalizio, eppure non ci siamo mai incontrati, questo un po’ mi rammarica perché Enzo Capei, anche se da tempo ci eravamo persi di vista, non mi era estraneo. Lo conobbi nel 1978, nel giro di una compagnia di vetusti appassionati fotografi escursionisti. Vetusti perché a me ventunenne così apparivano al tempo, dato che, chi più chi meno, avevano tutti suppergiù l’età di mio padre. A pensarci bene lo scrivente, al momento, è più vecchio di loro.
Il perché del soprannome sarebbe evidente per chiunque lo avesse incontrato: girava sempre con il basco in testa e usava fumare con il bocchino. Aveva uno sguardo un po’ sornione, un sorriso appena abbozzato e un parlare tranquillo e suadente. Non l’ho mai visto arrabbiarsi veramente, dare in escandescenze o alzare la voce a dismisura, proferiva le sue storie, le sue teorie e i suoi pensieri con pacatezza, sembrava quasi che nulla lo toccasse, l’intimorisse o scalfisse quella sua quasi innaturale imperturbabilità.


Era una persona di cultura e grandi conoscenze, appassionato di Trieste, del Carso, della storia e del territorio, ma di tutto ciò non fece mai ostentazione; ricordo ancora le sue parole quando parlava della passione per le sue ricerche, consultava vecchie carte topografiche austriache – “Sule vede carte militari austiache se vedi tufo, le xe precise e cariche de detagli, se te sa come vardar te poi capir come che iera una volta el posto”. – Conserverò ancora con più piacere quelle fotocopie delle legende delle sue carte militari austriache di cui abbisognavo per poter consultare i miei due miseri esemplari che ne erano sprovvisti.
A distanza di anni mi rendo conto che quei suggerimenti li sto seguendo ancora adesso, quando cerco qualche luogo o qualche nome su vecchie mappe e libri e sfogliando vecchi zibaldoni negli archivi. Come usano dire i francesi: chapeau, che mi sembra il modo più appropriato per salutare lui e chi come lui seppe vivere e insegnare educatamente con garbo.
Giuliano Ardetti