FRANCO GHERBAZ (12.10.1940 – 22.01.2021)

(foto Arch. CGEB)
La notizia della morte di un amico ti colpisce sempre, ma quando si riferisce a una persona che ti ha accompagnato per un periodo della tua vita (siamo stati in grotta assieme oltre 300 volte) è come ricevere un pugno allo stomaco, un colpo che, per qualche attimo, ti toglie il fiato. Così è stato per me allorché, la sera del 22 gennaio, ho ricevuto la notizia della morte di Franco Gherbaz, per gli amici “Ciaspa”.
È nella logica della natura che i vecchi muoiano lasciando spazio alle nuove generazioni. Sino a quando si tratta della morte degli altri – degli sconosciuti – questa logica viene accettata senza remore, ed è normale che sia così. Però le cose cambiano quando questa regola viene applicata a qualcuno che ti è stato vicino.
Franco Gherbaz era nato a Trieste il 12 ottobre 1940. A sedici anni aveva fondato, assieme ad alcuni coetanei, lo Speleo Club Trieste, gruppo che si era dedicato sia alla ricerca di nuove grotte (Grotta Grazia, 3950 VG, Fessura del Vento, 4139 VG) sia a scavi paleontologici (Piccola Pocala, 529 VG). Dopo un paio d’anni il gruppo si sciolse e Franco si trasferì all’Alpina delle Giulie, nella cui Commissione Grotte venne accolto nel 1958; vi rimarrà sino al 1962, anno in cui passerà all’alpinismo, attività che condurrà per un paio di decenni con i rocciatori della Associazione XXX Ottobre, l’altra sezione del CAI di Trieste, con risultati talmente buoni che divenne Istruttore di Roccia e socio del Club Alpino Accademico Italiano. Rientrerà nella Commissione nel 1983, rimanendovi quindi sino alla morte.
Nella Commissione si distinse non solo come rilevatore ma anche per le capacità organizzative: per un triennio – 1993-1995 – è stato Direttore di Redazione della rivista sociale Progressione, firmandone i numeri dal 28 al 32; in questo periodo collaborò pure alla realizzazione del Manuale di rilievo ipogeo edito dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia (1990) ed alla sua riedizione aggiornata (1992). Nel maggio 1995 venne eletto Presidente della Commissione Grotte, incarico che manterrà sino al 1998. Successivamente, dal 1999 al 2004, gli fu affidata la carica di Vicedirettore della Grotta Gigante. Fra le iniziative che portano il suo nome ci sono il Convegno, organizzato assieme a Roberto Barocchi, per i trent’anni della Legge Speleologica (1996), e il Concorso letterario per i 90 anni della Grotta Gigante (1998). A queste attività vanno aggiunti una trentina di scritti e 34 rilievi di grotte del Carso e del Friuli, cui ancora vanno sommati quelli fatti in altre regioni d’Italia (Veneto e Campania).
Avevo conosciuto questo grottista dell’Alpina il 26 aprile 1959: s’era aggregato a noi del GEST – Gruppo Escursionisti Speleologi Triestini (di cui allora facevo parte), impegnati in una visita alla 12 VG. L’ambiente umano del GEST – scanzonato e per niente serioso – gli piaceva, per cui scendeva volentieri in grotta con noi. Memorabile (me la ricordava spesso) l’escursione del Ferragosto del 1960: il 14 agosto in tre (Ciaspa, Ugo Fabbri ed io), in giro a piedi per le osmize del Carso, partendo da Ga-brovizza, con zaini e scale, (nessuno di noi era motorizzato), visita notturna alla Grotta di Ternovizza, bivacco nella stessa (prima di stendermi nel sacco a pelo mi ero riletto, al lume di candela, fra la perplessità di Ciaspa, un capitolo di Così parlò Zarathustra) e la mattina dopo alla Grotta Noè ove ci raggiunse Virgilio Zecchini; per scendere avevamo utilizzato 40 metri di pesanti scale del GEST e 30 dell’Alpina.
Avevamo stretto amicizia subito, ci univa non solo l’amore per il mondo sotterraneo ma anche il comune avvertire il rapporto con lo stesso. Un modo di vedere la grotta non come mero oggetto di studio, ma neppure come parco giochi: un mondo per noi non alieno.
Assieme abbiamo fatto ancora altre grotte, fra cui l’orrido Bus de La Lum sul Cansi-glio. Poi io dal GEST, a fine 1961, sono passato all’Alpina mentre lui aveva cominciato a dedicarsi alla montagna. Prima di abbandonare il mondo sotterraneo per passare a quello alpino mi donò varie pubblicazioni di grotta, qualche rilievo e un grosso fascicolo, da lui rilegato, contenente ritagli di giornale e testi di speleologia battuti a macchina, materiali che ritengo doveroso ora finiscano negli archivi dell’Alpina.
Nei primi anni ’80, quando è ritornato alle grotte, si è ravvivata la nostra amicizia, sopita sino ad allora ma mai spenta. Amicizia cementata dagli scavi da lui diretti nelle grotte della Valle e in quelli alla Lazzaro Jerko, dalle lunghe belle e serene giornate dedicate ai rilievi in grotta e sul Col delle Erbe.
In Valle a lui si devono gli scavi che fra il 1992 e il 1993 hanno portato alla scoperta del piccolo complesso Pepi de Bottazzo, ottenuto con il collegamento di tre grotte ubicate nell’estremo lembo della Val Rosan-dra, proprio a pochi metri dal confine con la Slovenia: la Grotta sopra Bottazzo, 3971
VG, scoperta nel 1954 dal Debeljak; la Grotta Pepi de Bottazzo, 5843 VG, e il Ciaspa’s Passage, 5844 VG, aperte dalla Boegan.
Terminati i lavori al Complesso Pepi di Bottazzo, nel 1993 Ciaspa è l’anima degli scavi alla ricerca di un nuovo ingresso alla Grotta Gualtiero, 5730 VG. Parte riportando sulla carta la poligonale tacheometrica, fatta al suo interno assieme a Nico Zuffi, e relazionando la stessa con cavità e indizi di cavità presenti sul fianco della Valle e fra loro collegati sempre con il tacheometro. L’attenzione e gli interventi vennero rivolti dapprima alla Grotta del Gufo, 5740 VG, (parecchi mesi di scavi) e quindi con successo alla Curta de Lucio, 5800 VG, divenuta il secondo – e più comodo – ingresso della Gualtiero. Negli anni 1993-1994 lo troviamo fra gli scavatori alla Grotta degli Scalpellini, 41 VG, alla Grotta Ferroviaria, 4352 VG, alla Grotta Funfenb-erg, 5846 VG, in Grotta Gigante, 2 VG, alle 1992 – Ciaspa, Pino, Bibi, Nico e Flavio al Gufo. Torri di Slivia, 39 VG e, a fine biennio, alla Grotta delle Gallerie, 420 VG.
Allorché Luciano Filipas riprese, nel 1997, gli scavi alla Grotta Lazzaro Jerko, Ciaspa fu uno dei primi ad aggregarvisi, fornendo la sua opera non soltanto all’interno della grotta ma anche divenendo il coordinatore dei lavori esterni, e questo per tre anni, sino alla conclusione della campagna nel 1999. Chi vi ha partecipato ricorderà il bel capanno metallico da lui allestito come spogliatoio e magazzino attrezzi, e il grosso tavolo da lavoro, da lui stesso costruito, che al suo interno vi faceva bella mostra. Presente in quasi tutti gli scavi più importanti della Commissione Grotte si può ancora ricordare la sua opera, nel 2000, negli Antri sopra la Grotta delle Gallerie, 5126 VG; nel biennio 2000/2001, alla Grotta Martina, 5640 VG, ed infine nuovamente con Filipas al fondo della Grotta delle Geodi, 21 VG, nel 2002.
Ma non solo scavatore è stato Franco Gherbaz. Diplomato geometra, aveva portato la sua abilità professionale nel mondo delle grotte: i suoi rilievi hanno fatto scuola sia per la tecnica di rilevamento che per la precisione dei dettagli, che curava particolarmente nella chiara restituzione grafica. Varie le cavità rilevate strumentalmente, dapprima con la livelletta Abney (Grotta del Cane, 136 VG, Grotta Cinquantamila, 3978 VG, Grotta Èrcole, 6 VG) e quindi con il tacheometro, acquistato dalla Commissione su suo suggerimento e da lui impiegato dapprima – anni 1985-1986 – per il posizionamento di precisione dei maggiori abissi del versante Ovest del Canin e quindi per i vari rilievi ipogei (soprattutto, negli anni 1994-1996, nella Grotta di Ternovizza, 242 VG, e in parte della Grotta Gualtiero, 5730 VG). Fra le sue topografie spelee di precisione va ancora ricordato il rilievo eseguito con livelle ad acqua, su richiesta dei proprietari e gestori, della Grotta di Baredine in Istria (maggio 1999).

Sul finire del 1998 assieme ad alcuni consoci aveva dato vita, in seno all’Alpina delle Giulie, al Gruppo Cavità Artificiali, Gruppo di cui non solo disegnerà il logo ma ne sarà anche una delle anime. Con questo nuovo sodalizio per un decennio si dedicherà al ripristino e alla valorizzazione delle opere belliche della Grande Guerra. Traccia del suo operato si trova non soltanto sul terreno (i lavori fatti nelle Grotte Karl e Zita, 5020 e 5441 VG, le trincee riportate alla luce …) ma anche nella pubblicistica, concretizzata in una bella pubblicazione dedicata alle opere di guerra del monte Ermada e in due documentate monografie sulla rivista Alpi Giulie.
Alla fine del suo percorso terreno un male invalidante lo ha via via allontanato dalle grotte, contrassegnandone gli ultimi anni, lo mi sento debitore per gli insegnamenti che mi ha dato: è stato il primo dei due modelli di rilevatore cui ho cercato di adeguarmi (avvicinandomi, ma non riuscendoci del tutto).
Grazie Franco, il tratto di strada che, in anni ormai lontani, abbiamo percorso insieme, mi è stato, anche per la tua presenza, meno greve.
Pino Guidi
Un’immagine del gruppo di pensionati che per mesi di dedicò allo svuotamento della Grotta del Gufo.
Ciaspa radunò intorno a sé un gruppo di volonterosi, avendo intuito la possibilità di entrare nella “SAVI” oltre la 2° strettoia. Ormai giunti prossimi al congiungimento, una parete di roccia compatta non dava speranza di proseguimento. Fortunatamente la scoperta della Curta de Lucio permise di concretizzare la sua intuizione, per altra via.
Nicolò Zuffi
Franco Gherbaz, detto “Ciaspa”
In un paio di anni, numerosi soci ci hanno lasciato per un, come si dice, mondo migliore. Franco, speriamo per un po’ di tempo, sia l’ultimo. Era una decina di mesi più giovane di me come pure una decina di mesi inferiore alla mia anzianità nella “Commissione Grotte”.
Oltre ad essere un provetto speleologo, era anche un valente rocciatore. Spesso mi raccontava le sue imprese sulle nostre montagne, invitandomi ad accompagnarlo, qualche volta, nelle sue scalate. Non accettai, perché in quei tempi lontani, per me le grotte erano tutto.
Da giovanissimi facevamo ambedue parte della “Tarocca”, una sottosezione non ufficiale della C.G.E.B., non ben vista dai soci più anziani ai quali contestavamo tutto. Eravamo in pratica dei “sessantottini” ante-litteram. La nostra attività allora era intensa! Ogni domenica scendevamo in qualche abisso e, visto che non ne avevamo molti degni di nota, ci siamo accordati a disostruire il famoso “Abisso presso la cisterna di Gropada” 369 VG, nel cui primo vano i villici avevano scaricato, a seguito delle bonifiche dei loro campi, una ventina di carri di pietrame. Dopo mesi di faticosi lavori gli stessi venivano abbandonati senza aver ottenuto risultati degni di nota.
Franco, oltre ad essere stato uno speleologo di prim’ordine era anche un rilevatore di eccezionale bravura. Ne è l’esempio il rilievo topografico della “Grotta presso Padriciano”, 3978 VG, ossia la “Cinquantamila” … Lire! Questa somma era stata richiesta come garanzia dal proprietario del terreno in cui era ubicato l’ingresso, completamente ostruito, della grotta in questione e così doveva rimanere dopo l’esplorazione.
Un ricordo della sua ingegnosità: durante l’esplorazione dell’Abisso Polidori sulle Alpi Carniche, stavamo rilevando quella gelida grotta, battuta in molti tratti da copiose venute d’acqua; io, dopo mezz’ora di lavoro, ero già fuori uso per quello che riguarda l’opera di rilevamento: la punta della matita si era rotta, la penna a sfera aveva smesso di funzionare e il blocco notes completamente infracidito dall’acqua e su cui era impossibile segnare i dati e i relativi schizzi. Franco invece continuava imperterrito il suo lavoro: tempo prima si era procurato una penna alla quale l’acqua non avrebbe creato problemi durante la scrittura, mentre il notes, fabbricato da lui stesso, era costituito da foglietti di plastica ruvida, sui quali la penna funzionava a meraviglia.
Negli anni dell’inaugurazione del nuovo sentiero turistico nella Grotta Gigante era stato eletto Presidente della Commissione Grotte. Non ricordo se fosse stato presente quando abbiamo raggiunto il Timavo nella Grotta Lazzaro Jerko, 4737 VG: forse la sua salute non era ottimale, ma aveva contribuito egregiamente ai lavori, procurando il capanno metallico che nella dolina per un po’ di tempo era stata la nostra base ed in cui aveva piazzato un massiccio tavolo di legno da lui stesso costruito (capanno purtroppo incendiato da ignota mano tanto invidiosa quanto stupida) e su cui il buon Bibi cucinava pasti caldi per gli scavatori.
Parlando di rilievi voglio ricordare quelli bellissimi delle grotte Zita e Karl, 5020 e 5441 VG, sul monte Ermada, pubblicati nel 2003 nella monografia sulle grotte di guerra di questo monte da lui scritta assieme ad altri due consoci. Una ventina d’anni fa sono stato impegnato con lui nella Grotta Martina, 5640 VG, nei consueti lavori di rilevamento topografico. Da allora, debbo ammettere con tristezza, non ho più avuto l’occasione di vederlo o sentirlo.

Caro Franco se un giorno, come ipotizza qualcuno, ci rivedremo, mi dirai perché ti chiamavano “Ciaspa”. Oggi come oggi mi sfugge dalla mente il motivo del tuo soprannome. Ti saluto con un ciao di cuore.
Bosco Natale Bone
VOGLIO RICORDARE ANCH’IO CIASPA
Siamo diventati amici tardi. Non sono mai andato in montagna con lui e solo poche volte in grotta, negli anni 90. Ci siamo conosciuti in quegli anni, nel direttivo della Commissione Grotte, della quale lui era Presidente ed io consigliere. Così, lunedì sera dopo lunedì sera, esaurite le infinite discussioni sulla Grotta Gigante e sull’attività del gruppo, ci eravamo raccontati le nostre montagne. L’altra passione comune.
Già da molti anni lo ammiravo perché pur provenendo dalle grotte (o proprio per questo?) in montagna si era distinto ad altissimi livelli, ripetendo alcune delle salite più famose dei suoi tempi ed aprendo itinerari di massima difficoltà. Un alpinismo classico, il suo, di grande valore, che gli era valso, in breve tempo, l’ingresso nel numero ristretto degli Accademici del C.A.I.
In quelle chiacchierate un po’ nostal-giche avevo scoperto affinità nel modo di intendere la montagna e soprattutto la sua grande umanità. Il suo grandissimo senso dell’amicizia.
Dopo l’esperienza del Direttivo ci perdemmo di vista per un po’, ma l’amicizia, la stima, la voglia di rivederci rimasero e mi valsero, da parte sua, più di dieci anni fa ormai, il primo di una lunga serie di inviti che dicevano: Sei invitato alla serata corale presso l’osmizza xy dalle 19. Ti preghiamo di confermare prima possibile la partecipazione, cari saluti, Ciaspa.
Teneva in modo particolare a quelle serate che riunivano un gruppo di più o meno ex alpinisti e più o meno ex speleologi, ma soprattutto di amici, accomunati dall’amore per le montagne e per le grotte, ove avevano vissuto momenti magici e momenti tragici, indissolubili. Ci legavano tutti, in quelle serate, le canzoni – di montagna o triestine -cantate con sorprendente qualità, che spesso valevano fiaschi di vino ed applausi dalle altre tavolate. Aveva raccolto, con Nereo Ze-per, in un libretto che mi è caro, 120 canzoni della tradizione corale della Val Rosandra, dedicandolo all’amico Virgilio Zecchini con cui…”aveva cantato, nell’arco di una vita, tutto quello che c’era da cantare, per amicizia, per conforto, per allegria e per sostituire col canto le mille parole che abbiamo taciuto”. Franco, anche negli ultimi anni, era il primo ad arrivare e l’ultimo ad andar via. Così lo ricordo: lo sguardo lontano, concentrato nel canto, con quattro amici affettuosamente intorno, la mano che ritmava con un cicchino fra le dita ed un bicchiere di vino bianco davanti a sé. O in una notte limpida e gradevole di inizio autunno, nel cuore dell’lstria, dopo una giornata a vendemmiare, ancora a chiacchierare piano, fumare, rievocare, bere bianca malvasia e, sempre, cantare.
Toni Klingendrath