E. A. MARTEL E LA SPELEOLOGIA TRIESTINA (1859 – 1938)
Riassunto
Sulla base di una documentazione, purtroppo non abbondante, conservata negli archivi della Commissione Grotte “E. Boegan”, viene tracciato un profilo dei rapporti intercorsi fra la speleologia triestina e lo studioso francese.
Completa la nota un repertorio bibliografico riportante gli scritti del Martel sul Carso Classico e sull’Istria.
Edouard Alfred Martel, nome prestigioso della speleologia francese, ebbe modo – sul finire del secolo XIX, nel corso di uno dei suoi innumerevoli viaggi – di visitare alcune grotte del “Carso Classico” e di conoscere (facendosi altresì conoscere) gli speleologi che vi operavano. Nel settembre 1893 effettuò un viaggio molto lungo (in cui avrà modo anche modo di visitare grotte dell’Istria, della Croazia e del Montenegro), la cui parte centrale può essere divisa in due settori: le esplorazioni nel bacino della Piuka e la visita alle grotte di San Canziano, le prime condotte in collaborazione con l’Anthron Verein di Postumia, la seconda ospite degli speleologi della Sezione Litorale, avente sede in Trieste, del Deutschen und Oesterreichischen Alpen Vereins. La visita delle Grotte di San Canziano (23 settembre) fu forzatamente limitata a causa dell’alto livello raggiunto dalle acque del Timavo in quei giorni; comunque, vedendo l’opera compiuta da Hanke, Marinitsch, Mueller, Novak, Pazze e Putik, Martel dichiarava di ritenere che gli stessi avessero compiuto le più pericolose esplorazioni di caverne mai effettuate. Una discesa dell’Abisso dei Serpenti (Kacna Jama), sempre con gli speleologi di Trieste, venne sospesa (implicava una preparazione troppo complesso) per mancanza di tempo.
Nella sua sosta sul Carso Classico il Martel ebbe dai colleghi di Trieste – ai già citati bisogna aggiungere i nomi di Marchesetti e Valle – l’appoggio più ampio, estrinsecatosi non soltanto nell’accompagnamento in grotta (a San Canziano riusc a scendere, a causa di una piena che aveva fatto salire notevolmente le acque, soltanto sino alla 20a cascata) ma anche nella messa a disposizione di documenti (pubblicazioni, manoscritti, rilievi), altrimenti introvabili, relativi ai fenomeni carsici locali ed alle ricerche ormai più che decennali sugli stessi.
Questa spedizione del Martel ebbe un seguito alcuni anni più tardi: dalle cronache pubblicate sul “Tourista”, il bollettino del Club dei Touristi Triestini (società che oltre all’escursionismo provvedeva – tramite il suo Comitato Grotte – all’esplorazione delle grotte del Carso), apprendiamo che fra il 14 ed il 16 novembre 1896 lo studioso francese giunse a Trieste, accolto alla stazione da Marinitsch, Muller, Perko ed altri esponenti della speleologia locale. In quell’occasione oltre a rivisitare la Foiba di Pisino si recò alle Terme di Monfalcone ed eseguì misure termometriche sulle acque del Timavo a San Canziano e a San Giovanni di Duino (accompagnato in queste ultime escursioni da soci del D.O.A.V. e del C.T.T.).
Il riscontro dei pur brevi soggiorni di Martel sul Carso fu duplice: da una parte sul Martel stesso, dall’altra sugli speleologi triestini.
Per quanto attiene il primo punto un seguito diretto lo abbiamo nelle pubblicazioni: prima dei suoi viaggi nell’impero austroungarico risulta abbia pubblicato un solo articolo riguardante il Carso (MARTEL 1888), dopo il 1893 se ne contano almeno una ventina. Inoltre, pur non essendo riuscito a scendere né nella Grotta di Trebiciano (allora la più profonda del mondo) né in nessuna delle altre grandi cavità dei dintorni di Trieste, si dimostra ben informato sulla strutturazione dell’idrologia e sulla consistenza del fenomeno carsico del Litorale; prova ne è la tavola, pubblicata a pag. 472 de “Les Abimes”, in cui viene fornito uno dei primi spaccati del Carso, dalle Grotte di San Canziano a Duino, includente le varie cavità profonde del Carso Classico (Ab. dei Serpenti, Grotta delle Torri di Lipizza, Grotta di Trebiciano, Gr. di Padriciano ecc.), tavola che verrà ripresa, ampliata e perfezionata, qualche anno più tardi, da Eugenio Boegan.
Il Martel, nell’aprire il capitolo sul Carso della sua opera più conosciuta, faceva presente che riteneva non essere il momento di dare del Carso una descrizione completa, stante le troppe scoperte che si stavano accumulando in quegli anni rilevando che le sole pubblicazioni più recenti sarebbero bastate a riempire un libro, ed è evidente che gran parte delle notizie riportate sono tratte dalle pubblicazioni cui accenna o da comunicazioni dirette. Le note comparative morfo-idrologiche risentono, per quanto attiene il Carso triestino, di questa limitazione: questo vale per i commenti sulla tesi del Marcovich circa la genesi della grotta di Padriciano, come pure su sulla struttura della Grotta di Trebiciano, ritenuta non del tutto naturale perché il Lindner vi ha lavorato per undici mesi onde allargare i passaggi fra i vari pozzi.
L’impatto sulla speleologia triestina, a quel tempo già ormai ben strutturata (erano cinque le società locali – Commissione Grotte della Società Alpina delle Giulie, Deutschen und Osterreichischen Alpen Vereins, Comitato grotte del Club dei Touristi Triestini, Hades Verein, Club dei Sette – che da parecchi anni praticavano la speleologia organizzata e c’era già un embrione di Catasto) non è comunque mancato, anche se limitato alla sua parte più cosmopolita: ne è la riprova la dedica, da parte degli uomini della Sezione Litorale del D.u.O.A.V., del penultimo lago e del sovrastante duomo delle Grotte di San Canziano. Non c’è traccia del suo passaggio nelle cronache dell’Alpina, mentre una panoramica sulle teorie speleogentiche apparsa in quei mesi sulla rivista del Club Alpino dei Sette pur citando molti autori ignora il Martel. Comunque il nome di E. A. Martel torna agli onori delle cronache speleologiche nel 1896, successivamente al suo secondo viaggio nella regione, in occasione della scoperta di un nuovo abisso presso Prosecco (Carso triestino). La grotta, che almeno per i successivi cent’anni porterà il nome del padre della speleologia francese, era localmente conosciuta quale “Jama na Pauli Vrh Puntar Giovanni”; viene esplorata nel giugno-luglio 1896 dal Comitato Grotte del Club Touristi Triestini, di cui era punta di diamante G. A. Perko (proveniente dal gruppo speleologico Hades, formato da studenti del liceo tedesco di Trieste). Appare evidente come la figura e l’opera dell’esploratore qui giunto da terre s’ lontane, ma non del tutto estranee alla cultura della Trieste di allora (vi viveva una colonia francese piuttosto fiorente di cui tracce sono rimaste sia in alcuni toponimi, sia in alcune espressioni dialettali), abbia impressionato favorevolmente i giovani grottisti che ritennero cosa ben fatta il ricordarlo legando il suo nome ad una grotta molto profonda – per quei tempi – e suscettibile di notevoli sviluppi)
Questi contatti ebbero un prosieguo positivo nel ventennio successivo: grazie al rapporto di collaborazione instauratosi fra il Martel ed alcuni esponenti della speleologia triestina (Marinitsch, Boegan, Perko) la speleologia francese venne regolarmente aggiornata sui notevoli progressi delle ricerche sul Carso triestino – sino ad allora evidentemente non troppo conosciuto nell’area di lingua francese – con corrispondenze ed articoli pubblicati su “Spelunca” da Marinitsch e Boegan (e talvolta anche da Perko). Contestualmente una mezza dozzina di speleologi locali ed alcune società diedero la loro adesione alla Sociètè Francaise de Spéléologie, dimostrando la vocazione ecumenica della speleologia triestina.
Un aspetto forse inedito sui rapporti Martel-Trieste è costituito da una possibile adesione dello studioso francese alla Commissione Grotte della S.A.G. In un elenco manoscritto redatto da Eugenio Boegan e predisposto nel 1933 in occasione del primo Congresso Speleologico Nazionale, fra i soci della Commissione Grotte della Società Alpina delle Giulie – ordinati alfabeticamente, ma senza indicazione del periodo di appartenenza – figura pure il nome di E. A. Martel; questo dato, non supportato da altra documentazione, trova riscontro in una dedica autografa del Martel posta sulla copertina del libro “Les Cévennes et la région des Causses”; la dedica ancorché‚ senza data, permetterebbe di situare indicativamente nel tempo tale adesione.
La scomparsa degli archivi della Società (vi sono passate sopra due guerre mondiali e parecchie occupazioni militari straniere) non ci ha permesso di localizzare nel tempo questa sua associazione, risalente con molta probabilità ai primi anni del secolo, né le motivazioni della stessa. In mancanza di altra documentazione si può soltanto ipotizzare che la stessa sia stata il coronamento di una collaborazione epistolare con il Boegan, basata sulla reciproca stima.
Testo di Pino Guidi e Franco Cucchi pubblicato su Spelunca Mémoires, 17 ,Paris 1993