VOLUME XIV – 1974

INDICE GENERALE VOLUME XIV – 1974

Trieste 1975

FORTI – S. STEFANINI – F. ULCIGRAI: Relazioni tra solubilità e carsificabilità nelle rocce carbonatiche del carso Triestino

Sono stati campionati 18 diversi litotipi appartenenti a tutte le formazioni affio­ranti sul Carso Triestino e corrispondenti ad aree caratterizzate da una morfologia car­sica rispondente ad una «classe di carsismo» ben definita o a termini intermedi tra due «classi»  successive. I campioni in questione, ridotti in cubi (di circa 5 cm di lato), sono stati im­mersi in acque piovane raccolte nella stazione meteorologica della Grotta Gigante, sul­l’altopiano carsico, nei pressi di Trieste. Sono stati eseguiti due cicli di prove, il primo nel marzo 1972 con H2O piovana aggressiva (pH = 4,55) il secondo nel gennaio 1973 con H2O piovana meno aggressiva (pH = 6,03). In entrambe le prove dopo 24, 48, 72 ore di immersione sono state deter­minate le quantità di Ca e Mg messe in soluzione dalle acque mediante uno spettrofoto­metro ad assorbimento atomico UNICAM SP90A. Tre campioni (una breccia dolomitica e due diversi tipi di calcari) in frammenti e polveri sono stati fatti inoltre reagire con acqua piovana a pH 4,45 per 6 giorni e ciò per verificare le diversità di attacco dell’H2O piovana su differenti superfici di uno stesso litotipo. I campioni sono stati anche oggetto di uno studio petrografico volto alla defini­zione dei litotipi secondo la classificazione di R. Folk. I risultati si possono così riassumere: è stata confermata la maggior solubilità di quasi tutti i litotipi calcarei rispetto alle dolomie; nei calcari quelli micritici e miero-allochimici risultano più solubili di quelli spatico-allochimici di cui certi campioni, ad altissima percentuale di sparite secondaria, risultano addirittura meno solubili delle stesse dolomie. E’ stata inoltre messa in evidenza la proporzionalità diretta tra le quantità di carbonati che vanno in soluzione e la superficie di attacco e si è osservato che le mag­giori dissoluzioni avvengono con acque meno abbondanti ed a bassi valori di pH: in questo caso l’azione solvente si esplica con maggiore intensità nella fase iniziale per decrescere con il trascorrere del tempo; con acque abbondanti e meno aggressive l’azio­ne solvente è invece inizialmente meno intensa ma è costante nel tempo. E’ stata riconosciuta una buona corrispondenza tra solubilità e classi di carsismo (vedi Figg. 8 e 9) nel senso che nella maggior parte dei casi, campioni molto solubili appartengono ad alte classi di carsismo e viceversa. Sotto questo punto di vista, qualche campione ha presentato un comporta­mento anomalo che è stato perfettamente spiegato con l’intervento di altri fattori quali la litologia, il periodo della stratificazione e la frequenza delle fessurazioni. Questi ri­sultano condizionanti, in senso negativo o positivo, la carsificabilità delle formazioni dalle quali provengono i campioni in questione.

TULLIO TOMMASINI: Ventitré’ anni di termoigrometria alla Grotta Gigante sul carso Triestino

Dal 1951 al 1973 la Grotta Gigante, sul Carso Triestino, è stata tenuta sotto con­trollo termoigrometrico allo scopo di determinarne il clima. Il primo ciclo di misurazioni sistematiche, protrattosi a tutto il 1955, ha fornito una sufficiente idea dell’andamento climatico della cavità. I dati raccolti sono stati pub­blicati dal prof. Silvio Polli, che ha provveduto pure ad esporre esaurientemente i risul­tati ottenuti (vedi bibliografia). Successivamente, a scopo di controllo, venne intrapreso un secondo ciclo qua­driennale di misure, dal 1958 al 1961. Tuttavia una ostruzione più accurata degli ingressi della cavità, effettuata nel corso del 1958, ha portato ad una notevole variazione del clima interno, evidenziata da un progressivo aumento della temperatura e del tasso di umidità. L’elaborazione dei dati raccolti nel corso del secondo ciclo è stata pure curata dal prof. Polli, ed i valori termoigrometrici medi sono stati dallo stesso pubblicati. E’ mancata peraltro in tale studio un’analisi comparativa tra i due cicli di misure. Poiché, nel corso del secondo ciclo, è stata riscontrata una continua tendenza all’aumento della temperatura, sussisteva il dubbio che il clima della grotta, alle nuove condizioni, non si fosse ancora stabilizzato. Venne pertanto svolto un terzo ciclo di mi­sure, di durata biennale, dal 1969 al 1970. I risultati, pubblicati dall’autore sembravano indicare che l’ambiente ipogeo, pure essendosi ulteriormente riscaldato, avesse ormai rag­giunto il suo nuovo equilibrio. Una riprova di quanto sopra poteva venire solamente da un ulteriore ciclo di misurazioni. Questo venne svolto dall’autore nel corso del 1973; i risultati hanno dimo­strato che effettivamente la grotta ha ormai raggiunto un suo nuovo equilibrio termo­igrometrico, non essendosi riscontrati ulteriori cenni di progressivo riscaldamento. Nel presente lavoro vengono pubblicati i valori medi mensili della tempera­tura e dell’umidità relativa dei vari punti della grotta scelti quali stazioni psicrometriche per tutti i dodici anni di misurazione, più alcune tabelle comparative. Vengono infine discussi i risultati ottenuti ed evidenziati gli spostamenti delle zone microclima-tiche individuati all’interno della cavità.

GUGLIELMO ANTONUTTO – MAURO MELATO – ANTONIO PEZZOLI: Ricerche istologiche ed immunochimiche sulla sostanza organica presente in ossa umane dell’età del ferro rinvenute nel castelliere di Nivize sul carso Triestino

Gli AA,, esposte alcune premesse metodologiche, presentano i primi risultati emersi da una serie di ricerche istologiche ed immunochimiche tendenti a dimostrare ed a definire la presenza e le componenti della sostanza organica in ossa umane dell’età del ferro. I primi dati dimostrerebbero l’esistenza di comunanze antigeniche tra le so­stanze presenti negli estratti d’osso ed alcuni costituenti proteici del siero umano. Per il presente studio ci siamo avvalsi di resti scheletrici umani rinvenuti in un pozzo carsico compreso nel castelliere dell’età del ferro di Nivize presso Trieste. Detto materiale, scoperto durante lavori di disostruzione ed esplorazione a scopo speleologico della cavità sopracitata, è attualmente conservato presso la Società Alpina delle Giulie. Associati ai resti scheletrici umani sono stati rinvenuti numerosi frammenti ceramici attribuibili all’età del ferro nonché molte ossa di animali, domestici e selvatici, il cui studio è stato effettuato da Riedel (1968). Con il nostro lavoro abbiamo inteso affrontare lo studio del materiale sche­letrico umano dal punto di vista istologico e biochimico. In considerazione della complessità e vastità del problema ci limiteremo a fornire con la presente nota i primi risultati emersi dalla ricerca e che, come tali, presentano valore essenzialmente metodologico. Ci riserviamo di fornire risultati quantitativi, relativi all’intera popolazione studiata, in note seguenti.

ALFREDO  RIEDEL: La fauna dell’insediamento preistorico di Cattinara

L’insediamento preistorico di Cattinara presso Trieste presenta una fauna del­l’età del ferro con animali domestici (capra, pecora, bue, maiale e cavallo) prevalenti su quelli selvatici (lupo, cinghiale, cervo). II lavoro costante di revisione dei reperti fossili nelle brecce di Slivia e di Bristie induce a nuove considerazioni sull’età dei depositi. In primo luogo, le associazioni faunistiche — con particolare riguardo ai resti di carnivori — inquadrano le specie esaminate nel senso e nei termini di una paleoecologia ben precisa (V. G. Pinna, Ed. ERI 1974). Inoltre, sempre in relazione all’ipotesi di un Carso triestino ancora non com­pletamente abraso — anzi sufficientemente coperto dai residui dell’originario mantello marnoso-arenaceo — il complesso faunistico descritto parla di una carat­teristica «isola di rifugio», nella quale, fra pianura alto-adriatica e digradanti val­loni di acque defluenti verso le paludi e gli acquitrini meridionali (linea delimitata dalla fossa mesoadriatica) prosperavano, a latitudine singolarmente elevata, quei pachidermi così rari nelle altre zone, tranne che in Liguria (e nel Lazio-Campania). Da ultimo, resta la constatazione che la «fauna di Visogliano» appare con sfumature di seriorità — più primitiva, in altri termini, — rispetto ai reperti di Bristie. Volendo, infine, creare un raffronto entro i reperti del triangolo Visogliano -Bristie – Caverna del Timavo, sembra che la fauna o risulta caratterizzata da un forte attardamento, oppure contraddistinta da archetipi feloidei, ienidi ed ursidi di età del medio pleistocene, anziché del Würmiano. Viceversa — come accennato nelle precedenti pubblicazioni — lo stato di fossilizzazione di alcuni reperti (mandibole) non crea l’impressione di estrema vetustà, specie i denti d’elefante e di rinoceronte, che — a parte la protezione normale dello smalto — non risultano totalmente petrefatti, ma presentano superfici discretamente vive e lucide. Ciò, forse, per il particolare terreno argilloso o calcitio-alabastrino che le ingloba, sul fondo delle cavità originarie.

RENATO  GERDOL: Osservazioni preliminari sulla tipometria di alcune industrie litiche del carso Triestino

L’Autore esamina le caratteristiche tipometriche delle industrie litiche delle grotte  Cotariova   (Musteriano)  e  Benussi   (Epipaleolitico)   sul  Carso  triestino. Il complesso charentiano della Cotariova è caratterizzato da una forte percen­tuale di strumenti su piccole schegge e su microschegge; i manufatti litici non ritoccati conferiscono all’industria un certo carattere microlitico osservabile anche nell’industria degli strati superiori della Grotta Maggiore di San Bernardino, nel Veneto. Le industrie della serie epipaleolitica della Grotta Benussi, fortemente micro-litiche, presentano strumenti e manufatti litici non ritoccati ricavati prevalentemente da schegge. E’ possibile cogliere alcuni aspetti evolutivi simili a quelli che sono stati messi in evidenza nei complessi sauveterroidi e tardenoidi della Valle dell’Adige.

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