Giorgio Tarabocchia

GIORGIO TARABOCCHIA – Trieste 19 ottobre 1935 – Trieste 7 aprile 2015

Giorgio Tarabocchia inizia a far speleologia con una pattuglia del Corpo Nazionale Giovani Esploratori Italiani che nel novembre del 1951 scende, giovanissimo, nella Grotta delle Geodi, 21 VG.

Qualche anno dopo, siamo nel 1957, entra nel Gruppo Speleologico San Giusto dove trova alcuni degli amici con cui aveva visitato la sua prima grotta. Nel 1964 il Gruppo lo elegge alla sua presidenza, incarico in cui verrà riconfermato ancora per molti anni. Durante la sua gestione il GSSG amplia la sua attività: dopo i grossi lavori del 1968 all’abisso Martel, 144 VG, ove una ventina di giornate di lavoro portano alla scoperta di un nuovo ramo, le esplorazioni si estendono al vicino Friuli, al centro e al sud d’Italia e all’estero. Pe la parte più strettamente culturale vengono intensificate le ricerche archeologiche nella Grotta delle Tre Querce, 1102 VG, ricerche al cui termine verrà stilata una corposa relazione, che troverà in parte ospitalità sul primo bolletino a stampa del G.S.S.G.: La nostra attività (1970).

Nel 1971, in accordo con gli speleo dello Jamarski Klub di Lubiana, organizza tre spedizioni all’Abisso dei Serpenti nel corso delle quali viene individuata la fessura che permetterà successivamente agli speleo sloveni di raggiungere il corso del Timavo. In questa cavità il GSSG vi tornerà ancora, sempre in collaborazione con gli speleo sloveni, anche negli anni seguenti. I risultati ottenuti nella grande grotta slovena verranno la lui poi esposti, assieme ad Alberto Dini, in una pubblicazione specifica.

Fra le iniziative cui ha partecipato attivamente si possono ricordare la costituzione del Comitato Difesa Fenomeni Carsici (1972), la realizzazione di un documentario nella grotta Naidena (1973), un accordo per esplorazioni e studi con lo J.K.L.M. – Associazione Speleologica Slovena di Lubiana (1974), l’organizzazione del V Convegno Regionale di Speleologia del Friuli Venezia Giulia, in cui tenne la prolusione inaugurale (Trieste, 1981) e la cura degli ‘atti’ (1982).

Anche se, per l’età e gli impegni professionali, non potrà più partecipare attivamente alla vita del Gruppo, vi rimarrà sempre attaccato, collaborando con la Redazione de “El testòn de grota”, a cui invierà per ogni numero uno scritto sui bei tempi, speleo, andati.

Pino Guidi

Giorgio Tarabocchia ci ha lasciati

di Rino Semeraro

Testo pubblicato su Cronache ipogee, 4/2015, Trieste aprile 2015

Un grave lutto per speleologia triestina e regionale: Giorgio Tarabocchia ci ha lasciati, aveva ottant’anni. Altri – per dovere formale e morale – vorranno commemorare con precisione di dati l’opera di Giorgio Tarabocchia nella speleologia, non io, che desidero invece soffermarmi su come egli intendeva e voleva la nostra disciplina fosse, in che modo la concepiva, e come, concretamente, egli agisse per perseguire questi fini. Ciò perché – secondo me – la sua visione, ad ampio raggio, sulla speleologia fu l’aspetto fondamentale che lo identificò rispetto ad altri, un indirizzo che, bene, si coniugava con quello caratteriale e culturale che lo contraddistingueva come persona. È su questo aspetto, infatti, più d’ogni altra cosa che intendo soffermarmi. Prima però bisogna dire che il vuoto, nella speleologia, è profondo per questa mancanza, anche se Giorgio da lunghi anni si era ritirato dal nostro ambiente: è il ricordo di un uomo che ha saputo gestire la speleologia con rara intelligenza, e benvoluto da tutti, che fa pesare questa perdita, oltre all’affetto personale di molti noi che n’è colpito. Due righe soltanto – dunque – sul suo impegno nella speleologia. Giorgio Tarabocchia fu uno dei più vecchi iscritti al Gruppo Speleologico San Giusto, anche se non tra i fondatori, iniziando l’attività negli anni Cinquanta dello scorso secolo. Oltre alle esplorazioni cui partecipò, tipiche di un gruppo ancora in formazione e quindi sostanzialmente fatte sul Carso, che caratterizzarono i suoi primi anni di attività, ben presto egli s’interessò di preistoria carsica: uno scavo alla Caverna delle Tre Querce, eseguito dal “San Giusto”, su autorizzazione della locale Soprintendenza, lo vide tra i protagonisti. Lo scavo, negli anni 1965-68, classificato come “Campagna di riassestamento delle trincee di scavo alla Caverna delle Tre Querce (Carso)” che riprendeva quelle fatte da Moser, Marchesetti, Perko e Neumann d’inizio Novecento e quella del Battaglia del 1926, portò alla luce alcuni notevoli reperti del Neolitico e dell’Età Romana e si concluse con una pubblicazione specifica di Tarabocchia e Dini, dove venne presentata una più dettagliata stratigrafia del deposito. Intanto, nel 1964 Giorgio Tarabocchia diviene presidente del “San Giusto” dando – almeno a mio parere – una svolta, anche se non immediata, all’associazione, intesa come indirizzo nel fare speleologia. Per Giorgio Tarabocchia, la speleologia è, realmente, un’unione fra esplorazione e ricerca, e pertanto, pur con le difficoltà insite in un’associazione che fu l’ultima, in ordine di tempo, dei grandi gruppi speleologici fondati a Trieste del dopoguerra, e che perciò doveva “recuperare” un decennio rispetto agli altri, egli comincerà con lena a promuovere e sviluppare un’attività sociale in quella direzione. Lo fece cercando, costantemente si può dire, occasioni propizie, coadiuvato – giusto ricordare – dall’amico fraterno Alberto Dini che sarà sempre al suo fianco. L’occasione fondamentale (almeno per la mia interpretazione storica) venne agli inizi degli anni Settanta, attraverso un accordo tra gli speleologi dell’allora Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia e il “San Giusto” per la riscoperta della (mai ritrovata) “galleria Prez” nell’Abisso dei Serpenti (allora in Jugoslavia, ora in Slovenia). Il gruppo ha così modo non solo di esplorare una grotta importante ma di avviare una serie di ricerche, di base, sulla meteorologia ipogea e sulle acque. Nel corso delle esplorazioni, soprattutto incentrare su risalite in parete, invece della “galleria Prez” fu il fatidico passaggio che portava al Timavo ipogeo che sarà scoperto dagli speleologi del “San Giusto”, e subito comunicato a quelli sloveni che così, autonomamente, giunsero al fiume. Appena dopo la concessione jugoslava al “San Giusto” a riprendere il programma concordato (che era stata fermata), Giorgio Tarabocchia, che nel frattempo aveva maturato con lo scrivente una forte amicizia, volle cogliere l’occasione per portare a casa “qualcosa di più”, e si organizzò in tal senso. M’interpellò (ero ancora socio della Commissione Grotte “Eugenio Boegan”) e così predisponemmo l’esecuzione di un campionamento geologico sino al fiume ipogeo, in barba al veto posto dagli jugoslavi, che, questa volta (ultima uscita!), gli uomini del “San Giusto” raggiunsero, appurando di persona, e documentando, il grave inquinamento delle acque timaviche. Poi, con tali dati (unici ancor oggi) più quelli raccolti dalle precedenti spedizioni del “San Giusto” e osservazioni personali che realizzai durante una mia discesa ai “Serpenti” di molti anni prima, grazie a lui riuscii a stendere uno studio generale dell’abisso che comparve sul volume a firma di Dini e Tarabocchia, pubblicato dall’editore “Italo Svevo”, intitolato “L’abisso dei Serpenti”, uscito nel 1982 a coronamento delle campagne esplorative del “San Giusto”. Direi, fu, la “prova generale” – quella dei “Serpenti” – della raggiunta maturità del “San Giusto” che, con Tarabocchia, si assestava come team di validi speleologi con una visione al risultato e ai congressi. Poi, sotto la guida di Giorgio Tarabocchia, il “San Giusto” continuò per questa strada, che – effettivamente – mantenne per moltissimi anni. Certamente, poi, a Giorgio Tarabocchia si deve ascrivere il successo di esser riuscito a indire, organizzare e celebrare il 5° Convegno regionale di speleologia del Friuli Venezia Giulia nel 1982 (in tempi in cui solo i maggiori gruppi approcciavano questi impegni), finanche promuovere tutta una serie di campagne ed esplorazioni in cui la ricerca trovava, anche se a volte con difficoltà, sempre spazio nell’attività speleologica. Ricordo, assieme a lui, una campagna esplorativa e di studi sul Monte Coglians (Catena Carnica) (dove ci sbizzarrimmo anche in prospezioni geofisiche sulle depressioni carsiche d’alta quota), poi un viaggio di studio nelle grotte dell’allora Cecoslovacchia su invito delle organizzazioni speleologiche statali. Dopo i “Serpenti”, è giusto che altri, meglio di me – penso al “San Giusto” – possano parlare più diffusamente della sua opera che – ripeto – va vista nell’ambito del “quel” tipo di speleologia, descritta, che indissolubilmente lo legò come persona. Come presidente del “San Giusto”, egli prestava particolare attenzione alla fase propositiva, cogliendo con accortezza le varie scelte che si presentavano; poi, un volta disegnato il progetto, lasciava ampio spazio a tutti, facendo esprimere a ognuno il meglio di sé. In un’epoca in cui nei gruppi grotte triestini erano guardate con perplessità azioni non strettamente speleologiche, Giorgio Tarabocchia riuscì a comprendere, e appoggiare, iniziative parallele che si rivelarono fruttuose. È il caso, nell’ambito della botanica carsica, del progetto sulla “Particella sperimentale del Bosco Bazzoni”, inizialmente coordinato da Eliseo Osualdini, che fu da lui sposato, come “San Giusto”, nel 1978 intuendone le potenzialità, e che ebbe, negli anni a seguire, uno sviluppo sorprendente (certo, nemmeno da lui previsto) chiudendo il cerchio quasi trent’anni dopo con la creazione di un mirabile centro didattico con la Grotta Nera al suo interno quale aula per la preistoria del Carso. Debbo dire che Giorgio Tarabocchia ed io ci frequentammo, parecchio, anche al di fuori dell’ambiente speleologico: l’amicizia e la stima tra di noi erano cresciuti divenendo solidi sentimenti, ed era un piacere discutere con lui sui vari temi, dalla speleologia alla storia alla politica, giacché, differentemente da altri, aveva un’innata capacità di sviluppare il discorso con verve, introducendo, solo artatamente, luoghi comuni proprio per marcarne la dissonanza: il discorso, anche il più pesante, doveva contenere degli stacchi di vaporosità per renderlo meno greve. Educato in una famiglia della buona borghesia e legato al mondo del “Lions”, al modo scherzoso di esprimersi di un triestino che con nonchalance guardava lontano, abbinava un aplomb sicuro e disinvolto, tuttavia sempre serio e autorevole quando il momento lo richiedeva, che lo separava dalla moltitudine. Ci ritrovammo, dopo il suo distacco dalla speleologia per sopraggiunte incombenze (il tipo di economia triestina, in cui lui era inserito, era ormai cambiato e necessitavano altri mercati), negli anni Novanta nella Repubblica Ceca, dove entrambi trascorrevamo periodi di lavoro, lui per il commercio mentre io come impresa, e non passava occasione per vederci a cena in qualche buon ristorante decretando unanimemente, come si ripetesse un rito (che sapevamo dal finale scontato), la non comparabilità tra i vini sud-moravi e quelli del Collio cui il nostro palato era abituato, cioè l’impossibilità di una correlazione di valori: un modo, spensierato e quasi goliardico, scanzonato quanto ripetitivo come un “tormentone”, per mantenere viva quell’amicizia sincera che ci legava appartandoci, momentaneamente, dai rispettivi pressanti impegni.  Giorgio Tarabocchia fu uno speleologo, e allo stesso tempo un organizzatore nell’ambito della speleologia, che si distinse da altri. La collaborazione – differentemente dalla maggior parte dei suoi contemporanei che ebbero responsabilità nella speleologia – per lui era cosa normale, pur dovendo, per la carica sociale che ricoprì per venticinque anni, portare (giustamente) il grano al suo mulino. Era conscio, però, dei ruoli e delle dimensioni in cui doveva operare e mai – affermo, mai – sopravvalutò l’interlocutore che aveva di volta in volta dinanzi, per quanti titoli o qualifiche potesse questi esibire (difetto, invece, di molti speleologi d’oggi che si lasciano abbindolare) solo valutando – da buon borghese che apprezzava innanzitutto la materialità della concretezza – un uomo “per quel che era e che poteva dare”, e basta. Un modo di vita, e d’intenderla (tipico della vecchia e operosa, colta, classe mercantile triestina, cui apparteneva), che, durante la sua responsabilità societaria nel “San Giusto”, lo fece sbagliare assai raramente, a tutto beneficio di un ambiente che, così, sotto la sua guida, si trovò maturo a impegni più grandi, che poi obiettivamente vennero e furono coronati da successo. Ed è il caso di ricordare come Giorgio Tarabocchia, durante la sua lunga presidenza al “San Giusto” diede generosa ospitalità al Comitato regionale per la difesa dei fenomeni carsici, senza averne l’obbligo ma con spirito di servizio, essendo uno tra primi speleologi a considerare prioritari i temi ambientali. Tanto da essere, poi, l’autore di uno studio, con relativa cartografia, sul degrado della proposta Zona Franca Industriale sul Carso: una sorta di fotografia prodromica di ciò che sarebbe potuto accadere dopo un utilizzo invasivo della vasta area situata tra due poli urbani carsici, Opicina in Italia e Sežana in Jugoslavia, destinati inevitabilmente a espandersi. Avendo, io, tenuto la carica di presidente del citato Comitato per alcuni anni – in sostituzione dell’amico Dini impegnato in incarichi politici negli enti locali – gli ho sempre portato gratitudine per quella sua disinteressata disponibilità.   Questa figura, di primo piano, della nostra speleologia non può e non deve essere riposta nel cassetto dei ricordi; almeno non così presto, poiché è inevitabile, per tutti noi, che ciò accada. Sta dunque negli speleologi, nei dirigenti d’oggi, far sì che il suo ricordo si perpetui, che la sua azione si tramandi, perché se si può parlare di uno di noi che “ha fatto cose buone”, questo è lui. Il mio ricordo, ora, va a una nostra lontana esplorazione in una “strana” (almeno per noi formati sul Carso) grotta nelle arenarie massicce dei Carpazi settentrionali in Cecoslovacchia. Ai nostri sorrisi, celati agli speleologi ceki, a quello pseudokarst che i locali volevano farci vedere a tutti i costi all’interno del rigido programma d’escursione stilato da un passato regime di cui, entrambi, ci facevamo beffe, pur guardando con angoscia e pena l’umanità che avevamo intorno a noi, che sottostava alla dittatura, afflitta ma non spiritualmente vinta. E a come, d’intesa, solo sbirciandoci di sfuggita (lui con l’occhio che brillava d’ironia), decantammo loro le “bellezze” di quella grotta paradossalmente orribilmente geometrica fatta solo di fratture allargate e nulla più. Ecco, in quei momenti eccelleva l’intelligenza di Giorgio che, con garbo e abilità, maestro nel savoir-faire, sfoggiando un buon inglese faceva apparire credibile l’incredibile mentre gli altri assentivano a bocca aperta e con cenni del capo. Dal suo stile di vita – riconosco – imparai parecchio facendone tesoro.   Ora, non trovo altre parole: si avvicina, come una marea, la sofferenza di questa mancanza, che è definitiva. O forse no, sbaglio, perché il sorriso un po’ sornione di Giorgio, assieme al suo humour, non lascerà così facilmente la mia memoria. Un domani, ci sarà una memoria collettiva costruita più razionalmente, e il reale valore di Giorgio Tarabocchia nella nostra speleologia farà sì che questa divenga pietra miliare, così, là, nell’ideale galleria dei ritratti dei nostri benemeriti, fra altri uomini del suo tempo, potremo ammirarlo e con serenità riandare al tempo perduto. Adesso, però, è il momento della rassegnazione e della riflessione, il momento di accostarci al dolore della famiglia, tutti noi speleologi e amici che lo abbiamo conosciuto e apprezzato, noi che abbiamo vissuto, chi un pezzetto di esistenza chi molta strada di più, accanto a lui, e che sentiamo ancora il calore di quella vicinanza che rende meno triste il distacco, pur nella mestizia di saper d’aver perduto un vecchio e fedele compagno di viaggio.

Scritti speleo di Giorgio Tarabocchia:

  • 1970: Relazione di chiusura per l’anno 1968, La nostra attività, Boll. del GSSG, Tip. Mosetti, Trieste 1970: 5-6
  • 1970: Programma di attività per il 1969, La nostra attività, Boll. del GSSG, Tip. Mosetti, Trieste 1970: 7
  • 1970 [con A. Dini]: Studi e ricerche di paleontologia umana alla “Grotta delle tre querce”. Estratto della nota preliminare, La nostra attività, Boll. del GSSG, Tip. Mosetti, Trieste 1970: 53-65
  • 1978: Relazione di attività del Gruppo Speleologico San Giusto, Atti del 12° Congr. Naz. di Spel., S. Pellegrino Terme nov. 1974, Mem. XII di Rass. Spel. It., Como 1978: 378
  • 1979: La parola al Presidente, El Testòn de Grota, 1 (2), Trieste dic. 1979
  • 1981: Considerazioni, El testòn de grota, not. del G.S.S.G., n.s., 2 (9-10): 2, Trieste dic. 1981
  • 1982 [con A. Dini] L’abisso dei serpenti, Edizioni Italo Svevo, GSSG, Trieste 1982, pp. 82
  • 1982: Benvenuti al V° Convegno Regionale di Speleologia , Atti del V Conv. di Spel. del Friuli Venezia Giulia, Trieste30 ott. – 1 nov. 1981, Trieste 1982: 15-25
  • 1982: Monte Cogliàns – campagna esplorativa e risultati preliminari sulle indagini svolte, Atti del V Conv. di Spel. del Friuli Venezia Giulia, Trieste30 ott. – 1 nov. 1981, Trieste 1982: 109-117
  • 1982: Censimento, quantificazione ed interpretazione del degrado ambientale in un’area del Carso Triestino e riflessi sulle strutture carsiche, Atti del V Conv. di Spel. del Friuli Venezia Giulia, Trieste30 ott. – 1 nov. 1981, Trieste 1982:181-186
  • 1982: Nello scorso mese di maggio, El Testòn del Grota, a.3, n. 13, Trieste set. 1982
  • 1982: Alla fine di settembre, El Testòn del Grota, a.3, n. 13, Trieste set. 1982
  • 1982: Tempi di bla-bla, El Testòn del Grota, a.3, n. 13, Trieste set. 1982
  • 1983: Il Comitato promotore per l’istituzione di un “Laboratorio di Ricerche Carsiche”, Atti del 6° Conv. di Spel. del Friuli Venezia Giulia, Udine apr. 1983, Mondo Sotterraneo 7 (2): 20-23, Udine ott. 1983
  • 1983: Il VI° Convegno Regionale di Speleologia, El Testòn de Grota, 4 (15/16), Trieste 1983
  • 1983: Stillicidio di notizie, El Testòn de Grota, 4 (15/16), Trieste 1983
  • 1983: Gruppo Speleologico “San Giusto”. Relazione di attività, Rass. di Attività delle Soc. Spel. triestine, n. u. 1983: 19-26
  • 1984: Lo sfogo di uno speleologo: “Trieste manca di iniziative”, Il Piccolo, Trieste, 4 nov. 1984
  • 1984: Due realtà a confronto, El testòn de grota, not. del G.S.S.G., n.s., 5, 20, Trieste giu. 1984
  • 1984: Relazione di attività del Gruppo “Speleologico San Giusto” di Trieste nell’anno 1983, El Testòn de Grota, 5 (19), Trieste marzo 1984
  • 1991: Relazione sull’uscita del Gruppo alla Fovea Maledetta – 822 VG – 23-24 aprile 1966, El Testòn del Grota, a.1, n. 1: 53-54, Trieste 1991
  • 1993: In grotta, El Testòn del Grota, a.2, n. 2: 18-19, Trieste 1993
  • 1996: I nostri primi 40 anni 1954-1994, El Testòn del Grota, a.3, n. 3: 12-13, Trieste 1996

Ulteriori notizie su Giorgio Tarabocchia si possono trovare in:

  • Dini A., 1993: Di questi sette baldi giovani …, El Testòn del Grota, a.2, n. 2: 18-19, Trieste 1993
  • Tavagnutti M., 2015: Giorgio Tarabocchia, Sopra e sotto il carso, 4 (4): 29, Gorizia apr. 2015