Campagna di scavi alla 87 V.G. – Alias grotta presso il Casello Ferroviario di Fernetti

(13a puntata) – Testo edito su Progressione 66

     Luciano Luisa nel cunicolo finale

Nel febbraio 2019 una grossa piena soffiante dal fondo del cunicolo, lungo ormai quasi 90 piedi, dà la conferma che il Timavo passa lì sotto, un’ottantina di metri (o 240 piedi) più in basso. Il gennaio 2019 era stato utilizzato anche per fare il rilievo del cunicolo, operazione che ha portato via ai due operatori (con bussola, cordella metrica e piccola livella) una mattina intera. Risultato: lunghezza m 26, dislivello metri tre. Dopo la grossa piena del 2 febbraio, che ha confermato essere sulla strada giusta, mentre sono ripresi da Furio e Co. i lavori sul fondo del cunicolo, un gruppetto (non altre persone, sono sempre gli stessi uomini che alternano ai defatiganti scavi, riposanti corvée da facchini) impiega alcuni sabati di febbraio e marzo per portare sul fondo tutta una serie di tubi Innocenti e relativi morsetti. Tubi e morsetti che serviranno a Spartaco per rinforzare il muro nel P.22, ormai alto oltre sei metri. Il primo giugno la rottura di una punta costringe ad un rientro anticipato; un altro sabato gli scavatori tornano all’esterno per esaurimento della benzina nel generatore. Finalmente il 24 agosto cede l’ultimo diaframma e si scende, allargandolo, in un cunicolo-meandro con le pareti e il soffitto semi intasati dal fango rappreso, percorso sul fondo da un rigagnolo, abbassandosi di un paio di metri, sino ad un pozzetto risultato profondo due metri e mezzo.

La cavernetta che si trova alla base del pozzetto (m 2,5 x 1,5) presenta due possibili prosecuzioni: una fessura in cui scompare l’acqua e un oblò a quasi due metri di altezza oltre cui si vede un piccolo ambiente. Siamo ad ottobre, raggiunta quota -240, mancano ancora una settantina di metri per raggiungere l’acqua di base e, dopo aver sondato la fessura che inghiotte tutta l’acqua che precipita ne pozzetto, si allarga l’oblò facendolo diventare una porta alta oltre un metro e larga mezzo (ma a 80 cm da terra) che conduce in un ambiente lungo un paio di metri, in discesa, sul cui fondo una “piria” di fango lascia intravvedere una prosecuzione. Una volta vuotata ci si trova in un basso ambiente in cui scorre l’acqua che si perde nella fessura abbandonata. Si decide che quello è il posto da allargare e si ricomincia a trapanare, spostare ziviere cariche di materiale che va a riempire i sacchi, rivelatisi essenziali per l’edificazione dei soliti muretti. A fine dicembre il passaggio dalla ex “piria” (ormai scomparsa e dimenticata) alla prosecuzione del buco è lungo un paio di metri. Quest’ultimo si presenta come una meandro che si approfondisce di un metro o poco più, largo una ventina di centimetri e sul cui fondo prosegue la sua corsa infinita il rigagnolo che ci accompagna in quest’ultimo tratto della grotta.

Nei mesi di novembre e dicembre, considerato che sul fondo c’è posto per lavorare per tre/quattro persone Ciano e Vasco, supportati da Fabio, iniziano una campagna di arrampicate che prevede la verifica di eventuali prosecuzioni suggerite da finestre e camini. L’idea di sospendere o di rallentare i lavori, timidamente suggerita da qualcuno, è stata cassata da una piena – neanche troppo grossa – che ha ricordato agli stanchi, invecchiati e infreddoliti scavatori che il Timavo è sempre là sotto ad aspettare.

Nel corso dell’anno i mali di schiena, alla cervicale, alle giunture hanno sottratto più volte braccia capaci alla forza lavoro e lentamente gli ottantenni iniziatori degli scavi lasciano il loro posto a forze ben più fresche.[1]

Quanto ho scritto qui sopra, è il resoconto dei lavori svolti nell’anno 2019. Resoconto compilato dall’ineguagliabile Pino Guidi, mio compagno di esplorazioni da sessant’anni, da me trascritto ignominiosamente parola per parola. Non potevo fare altrimenti, vista la mia impossibilità di raggiungere i luoghi di lavoro ipogei a causa di una proibizione medica relativa al mio stato di salute. Come il lettore può constatare i lavori svolti nelle parti terminali della grotta in questione (quel malefico cunicolo) non sono stati ancora coronati dal risultato sperato, ossia il raggiungimento del Timavo sotterraneo o di qualche suo copioso affluente, nonostante le faticose e fangose opere di scavo svolte.

Durante l’anno 2006, data d’inizio della campagna di scavi nella 87 VG, non ero particolarmente soddisfatto dell’onerosa opera da noi intrapresa, e parecchie

volte ho mormorato agli amici il mio suggerimento di lasciare i lavori in quella sempre di più maligna grotta, e di dedicarci nuovamente alla nostra vecchia attività: battute di zona, reperimento di qualche micidiale frattura da allargare con conseguente esplorazione e rilevamento topografico della cavità stessa, spesso di dimensioni non eclatanti. Forse non avremmo raggiunto la profondità di 245 metri ottenuti (dopo 14 anni di scavi …) alla 87 V.G., ma in compenso ci saremmo senz’altro divertiti di più. Se all’inizio dei lavori in questa cavità speravo in cuor mio di abbandonarli, ora spero vivamente che questo non accada. In caso contrario, l’esperienza insegna, il primo cretino di qualche altro gruppo speleologico vi scenderà e spostando una pietra, senza colpo ferire, arriverà al Timavo.

* * *

Vi siete mai chiesti, amici lettori, perché si va in grotta? La risposta, direte voi, è ovvia: tralasciando i motivi psicologici e le tendenze psicopatiche suggerite dai vari strizzacervelli, l’andarci fa piacere. Giusto!

Io però la vedo in un’altra maniera e con me tanti altri. Visitando una grotta si rimane affascinati dall’ambiente abbellito dalle formazioni calcitiche, dalle limpide vaschette d’acqua, dall’alternarsi dei chiaroscuri prodotti dalla luce che ci portiamo appresso, dagli eterni silenzi e dalle liquide sinfonie prodotte dagli stillicidii. Tutti gli speleologi, anzi i grottisti, della mia generazione, la pensano come me. Tempo fa l’amico Dario Marini mi ha raccontato come gli piaceva passare qualche oretta da solo in una grottina ben concrezionata. Dopo avervi posizionato con cura numerose candele si sedeva in un cantuccio ad ammirare i chiaro-scuri che le fiammelle formavano tra le stalattiti e le stalagmiti. Se ne stava lì fino a quando quei lumini si spegnevano. Dario appartiene alla mia generazione e quindi anche lui ama la grotta come me.

Le generazioni successive invece, più della bellezza o del fascino che la grotta offre, sono avvinti dalla profondità da raggiungere. Logicamente questi speleologi (attenzione: non grottisti!) appartengono al ceppo di quelli che adorano scendere nelle grotte. Ho un ricordo impresso nella mente che convalida quanto scritto sopra: una trentina e passa di anni fa, ad Est del villaggio di Santa Croce abbiamo aperto ed esplorato una bella ed interessane cavità alla quale era stato dato il nome ”Grotta dell’Autunno”. Si era in quella stagione e quindi … La morfologia di questa grotta era rappresentata da una serie di pozzi, dall’immancabile fanghiglia e da una bella e spaziosa caverna riccamente adorna di concrezioni. L’allora consocio Beccuccio (al secolo Roberto Antonini) venuto a conoscenza della nostra scoperta mi aveva chiesto se esistessero possibilità di prosecuzioni nella caverna. Gli avevo risposto di no, in quanto l’abbondante deposito concrezionale aveva chiuso e nascosto ogni possibilità di avanzamento sia orizzontale che verticale. Con mia somma meraviglia si era messo a sacramentare contro le concrezioni che avevano chiuso gli eventuali passaggi e, dulcis in fundo, aveva dichiarato che se fosse stato un mago, con la bacchetta magica avrebbe fatto sparire tutte le concrezioni da tutte le grotte. Inutile aggiungere che lui appartiene alla generazione successiva alla mia. Dopo aver scritto tante lepidezze, mi congedo da voi, amici lettori, facendo mia – modificandola del tutto – la frase che Cirano, il nasuto spadaccino di Rostand, voleva fosse scritta sulla sua lapide: “Qui giace Bosco Natale Bone, della Commissione Grotte speleologo valente (sigh) che per la Commissione tutto fu e non fu niente”.

Un abbraccio Bosco Natale Bone

Nel 2019 sono scesi a scavare (in ordine alfabetico), chi una volta, chi due, chi molte di più:

Aguettaz Axel, Camerino Paolo, Carini Furio, Caruso Vincenzo, Domagoi Korais, Fedel Aldo, Feresin Fabio, Ferrari Graziano, Gabbino Paolo, Guidi Pino, Kravanja Tom, Luisa Luciano, Miglia Andrea, Prelli Roberto, Privileggi Mario, Savi Glauco, Savio Spartaco, Vasko.

[1] In autunno Glauco, penultimo degli ottantenni ancora in servizio permanente effettivo, cade – per fortuna all’esterno – causa il cedimento di un ginocchio: si farà operare d’urgenza, ma rimarrà fuori uso per parecchi mesi. I vuoti saranno riempiti da arzilli settantenni quali i neo pensionati Mario Privileggi e Vasco.