Mario Gherbaz

Mario Gherbaz (14.8.1943 – 2

9.2.2016)

Mario Gherbaz inizia la sua attività speleologica nel 1956, giovanissimo: a tredici anni fonda, assieme ad un gruppo di coetanei, il Gruppo Grotte Timavo, struttura che con una sessantina di metri di scale e tre volte tanto di corde si dedica alla visita di tutte le più belle grotte del Carso triestino. Nel 1958 si avvicina alla Commissione Grotte “Eugenio Boegan”: nel 1959 è socio della Società Alpina delle Giulie, la sezione di Trieste del CAI di cui la Commissione fa parte, l’anno seguente, ormai diciassettenne, diviene membro della stessa.
Con la ‘Boegan’ inizia a svolgere un’attività di tutto rispetto: fra il 1958 e il 1960 è presente alle spedizioni all’abisso Polidori, nel 1960 è alla Preta ove, assieme a Lorenzo Cargnel, riesce a superare i passaggi che avevano fermato tutte le precedenti spedizioni e ad aprire così la via verso l’attuale fondo. Dal 1961 in poi fa parte delle squadre di punta nelle esplorazioni delle grotte dei monti Alburni. Nel 1962, al termine di una di queste, assieme ai consoci Peppe Baldo e Tullio Piemontese, scende in Calabria per aggregarsi ad una spedizione dei piemontesi impegnati nell’esplorazione dell’abisso del Bifurto. Al rientro a Trieste realizza un nuovo modello di scalette superleggere i cui schemi di produzione presenterà l’anno seguente al IX Congresso Nazionale di Speleologia. La sua attività esplorativa lo porta sino a Sciacca e Santo Domingo.
Allorquando alcuni soci della Boegan ‘riscoprono’ il Canin Mario Gherbaz diventa un assiduo frequentatore degli abissi di questo massiccio carsico, dedicandosi alle esplorazioni all’ab. Boegan (-624), al Davanzo (scopre la nuova via che bypassa l’ostico meandro dei 400 metri) ma soprattutto al Gortani che rileva accuratamente per i primi nove chilometri e di cui è rimasta nella storia l’esplorazione del novembre 1967, condotta con A. Casale, in cui viene raggiunto un primo fondo a -675.
Presente a tutte le esplorazioni effettuate sul Carso dal gruppo di giovani di cui è diventato l’indiscusso leader, è protagonista degli scavi all’abisso Colognatti, alla grotta della Fornace, alla Grotta Gigante (ove esegue ardite arrampicate alla ricerca di nuovi vani). E’ istruttore a tutti i corsi sezionali di speleologia e nel 1969 supera l’esame di Istruttore Nazionale di Speleologia del CAI, titolo che manterrà sino al passaggio ad Istruttore Emerito. Quando nel 1966 viene costituito il Soccorso Speleologico Mario Gherbaz è uno dei primi ad essere convocato a farne parte; nel 1970 alla morte di Marino Vianello, responsabile del VI Gruppo, è chiamato a prenderne il posto, incarico che manterrà sino al 1980.
Molto interessato ai problemi tecnici legati alle esplorazioni negli anni ’60-’70 contribuisce all’ammodernamento del parco attrezzi della ‘Boegan’ e quindi realizza nuovi strumenti atti a rendere più veloce e sicure le discese in grotta: le scalette superleggere, sacchi speleo per il trasporto del materiale, la tuta Gortani ma soprattutto l’Universore, attrezzo che svolge le funzioni sia del discensore che del bloccante per la risalita. Della quarantina di pubblicazioni che lascia la maggior parte riguarda proprio la tecnica e la sicurezza in grotta.
A differenza di molti bravi esploratori è stato anche un ottimo organizzatore: dopo aver collaborato alla preparazione del primo Convegno Nazionale della sezione Speleologica del CNSA (Trieste, 1969) a lui si devono il secondo ed il terzo (Trieste 1971 e Trento 1973) e il settimo Congresso Internazionale del Soccorso Speleologico (Cividale – Trieste, 1987).

MARIETTO

 

Mario Gherbaz (foto A. Danieli)

Volevo lasciare una nota personale sul ruolo che ha avuto Mario Gherbaz per la speleologia in generale, e per me in particolare; credo infatti che non sia stato stimato quanto meritava, soprattutto in patria, forse a causa del suo caratterino. Non sono mai stato troppo intimo di Marietto, e non gli ho mai detto quello che sto per raccontare. E del resto in Marietto ho sempre sentito una grande stima per me, quasi tacita, accompagnata a mezza voce da un po’ di irritazione per il fatto che non fossi triestino. Per me Marietto è stato un mito dell’adolescenza. Lo avevo incontrato quando muovevo i primi passi nella speleologia, nel 1971. Tutto preso dall’emozione della scoperta di un intero mondo da esplorare, avevo rovistato nella minuscola biblioteca del gruppo speleologico di Savona trovando la cronaca delle esplorazioni che avevano fatto lui e Adelchi Casale in Gortani. Mi avevano colpito due cose. Una era l’enormità dell’impresa “sportiva”: in due per quasi dieci giorni e con innumerevoli sacchi (andavano avanti a scalette) avevano portato avanti un’esplorazione straordinaria in una grotta che, all’epoca, era al vertice delle difficoltà. Il contesto “normale” delle esplorazioni in quegli anni era di superspedizioni con squadre di appoggio, di punta e di recupero. L’impresa degli esploratori bolognes-faentin-torinesi della Preta – abisso che aveva avuto l’onore di contribuire a formare la testa di Marietto – era stata rivoluzionaria, ma si trattava comunque di una grossa squadra che si era distribuita nell’abisso per permettere a due di loro di raggiungere il fondo. L’impostazione era quindi ancora tradizionale. Con Marietto e Adelchi al Gortani si era entrati in una nuova dimensione, anche se sono sicuro che loro non se ne erano resi pienamente conto: avevano formato una squadra leggerissima, autonoma, che avanzava tutta insieme, come quelle che avrebbero operato in Apuane e nel Marguareis molti anni dopo. Non solo. La lunga permanenza, erede dei passati stili esplorativi, obbligata dalle tecniche pesanti che ancora utilizzavano, anticipava l’approccio che poi sarebbe stato utilizzato per le profondità estreme degli anni ’90 e 2000, ancora in Apuane ma soprattutto in Caucaso e Asia Centrale, quando neppure le tecniche di sola corda avrebbero più permesso di mantenere le permanenze sotterranee a livelli civili. Insomma, la loro impresa annunciava tempi nuovi. Ma questo è ancora nulla. La discesa -siamo nel 1967- era ben lungi da una pura impresa in caccia di record esplorativi; i due avevano condotto ricerche biologiche, osservazioni sui pipistrelli, misure di temperature e osservazioni mineralogiche. Ma ricordo che mi aveva soprattutto colpito un dettaglio: l’articolo raccontava che loro cercavano uscite verso la Val Raccolana sui piani di gallerie perché avevano capito la struttura del Gortani, che è una grotta eminentemente orizzontale (!..). Questo era incredibile, coglievano la tridimensionalità e il rapporto della grotta con la struttura esterna della montagna, anticipando di anni l’approccio esplorativo più avanzato che avremmo poi utilizzato sulla scia di Fighierà e compagnia. E, del resto, il diavolo sa perché mai questo dettaglio mi avesse colpito così tanto ai miei 18 anni, completamente ignorante della speleologia vera e perso in una cittadina lontana dal mondo delle grotte. Anni dopo anch’io sono disceso in Gortani tante volte con gli amici della Commissione; avendo finalmente avuto modo di valutarne la struttura, mi ero sorpreso a vedere come quella lezione non fosse stata percepita dai successori di Marietto. Gli abissi del Canin erano diventati soprattutto dei luoghi di imprese incredibili, di armi e riarmi e camminate bestiali e fatiche e sforzi e rilievi in meandri ignobili. Ma si era perso di vista il complesso del sistema carsico, la sua unitarietà, che andava ben al di là dell’impresa sportiva. Credo di averlo un po’ restaurato io, col mio lavoro sull’ormai lontano “Abissi Italiani”, descrivendo il sistema delle grotte del Canin come un complesso che occupa l’intera montagna ma i cui punti chiave sono i grandi freatici come la Galleria del Vento e non i subdoli approfondimenti che proseguono i lapiaz esterni, sviando verso il basso gli esploratori. Ora credo che le conoscenze del sistema siano andate moltissimo avanti grazie agli speleologi ungheresi, e mi spiace che non si sappia di più. A me rimane distinta la memoria dell’emozione che mi suscitò la lettura di quell’impresa, e il ricordo del nascere in me il desiderio di emulare Marietto e Adelchi. Negli anni credo di averlo fatto, ma si sappia che è stato anche perché sono salito sulle loro spalle. Mi spiace non aver mai avuto l’occasione di dirlo a lui, e così l’ho raccontato qui. Grazie di tutto, Marietto.

Giovanni Badino

COSÌ DI LUI HANNO SCRITTO

La morte di Mario Gherbaz ha avuto una forte eco anche a livello nazionale: diverse persone hanno voluto ricordare lo speleologo e l’uomo, conosciuto in occasioni diverse ed annualità diverse, a dimostrazione di un’eccellenza distribuita su varie generazioni, non solo la sua. Come Redazione abbiamo raccolto queste voci e qui le proponiamo, ringraziandone gli autori per il sincero e commosso ricordo

La Redazione

Ieri abbiamo saputo della triste notizia che l’esploratore e ricercatore del Gortani, Mario Gherbaz, è tragicamente morto. Nella ricerca in Gortani, pensiamo a lui in sua memoria.

Gortani Team, Ungheria. (…)

Mario Gherbaz, speleologo del CAI di Trieste, per noi un ricordo particolare è stato il primo a scendere il pozzo Trieste nelle grotte di monte Kronio: a suo figlio Piero un grande abbraccio da Sciacca…

Michele Termine, giornalista TeleRadioSciacca

Io l’ho conosciuto bene ed era una grande persona, oltre che una colonna della nostra speleologia. Quando abbiamo girato il film sul Reka/ Timavo il suo aiuto e il suo entusiasmo sono stati, come sempre, fondamentali. Marietto ci mancherai.

Tullio Bernabei, Associazione Geografica LaVenta

Gran perdita. Un abbraccio a tutti.

Giovanni Badino, Associazione Geografica LaVenta

Io l’avevo visto in diverse occasioni. Un grande speleologo (…) Ricordo con piacere a Bora 2000 avvicinandomi al gruppetto canoro triestino fra i quali c’era anche lui, alla richiesta di una canzone di grotta, mi soddisfò immediatamente!

Sandro Ghidelli, G.G. Busto Arsizio

 …ed i ricordi mi riportano a Maggio ‘79!…in quel di Roncobello (BG) dove conobbi, durante il 2° Corso di aggiornamento per Istruttori Nazionali, Mario “Marietto” Gherbaz…..e fu proprio in quell’occasione che lo vidi anche all’opera con il primo prototipo di Universore! (…) Mitico Marietto, che tempra! Che anni! Ciao non ti dimenticherò.

GianMaria Pesenti, Istruttore Nazionale di Speleologia Emerito 180

Appena ho letto di Gherbaz ho subito pensato: “Universore”, e sono andato a tirar fuori dalla polvere i primi numeri di Speleologia. (…) Impagabile la sua foto mentre risale un pozzo con gli occhiali da sole. In grotta con lui non ho potuto andare, ho brindato però insieme a brocche di Gran Pampel.

Andrea Bonucci, Associazione Speleologi Romani

Un pezzo della nostra storia che ci lascia. Un abbraccio alla famiglia ed un saluto a Mario

Gianni Ledda, Gruppo Speleologico Fiorentino CAI

Sono di quella generazione che si è avvicinata alla speleologia quando Mario Gherbaz, giovanissimo, era già un mito. Leggevo con avidità le sue esplorazioni, Spluga della Preta 1960, una per tutte; per me, sardo, sembrava un marziano e lo ritenevo inarrivabile. La vita ci fatto incontrare e ho apprezzato oltre al mito l’UOMO e la sua attitudine alla socializzazione. (…) Ci siamo visti l’ultima volta a Casola dove lo fotografai seduto in “panchina” con gli amici Lelo Pavanello e Giorgio Baldracco; credo discutessero del futuro della Speleologia. Chi è credente lo rivedrà quando salterà il fosso; gli altri, ed io con quelli, solleveranno ancora una volta il bicchiere. Un abbraccio forte ad Antonella e Piero, esteso a tutti i familiari ed amici. Buona esplorazione Mario, ti sia lieve la terra.

Angelo Naseddu, Speleo Club Domusnovas

Voglio esprimere la mia vicinanza ad Antonella e Piero e agli amici triestini della CGEB che in questo momento piangono la scomparsa del compagno di una vita. Che ti sia lieve la terra.

Francesco Secci, Gruppo Grotte Cagliari CAI (…)

Mio padre ogni tanto cambiava codice nei racconti, iniziava a parlare triestin (ala vecia maniera) e allora saltava fuori sto famoso Marieto, che per me bambino era uno dei personaggi delle favole…

Giuseppe A. Moro, Circolo Speleologico Idrologico Friulano

Lo conoscevo solo di vista ma ho letto tanto delle cose che ha fatto… Veramente una grande perdita. Ciao.

Alberto Buzio, Gruppo Grotte Milano CAI SEM

Ci siamo incontrati quattro decenni fa…è stato un mentore, e molte volte un mecenate d’un intera generazione di speleologi della Iugoslavia socialista…mio mentore: davanti a lui, con lo speleobiologo Egon Pretner, in cucina nell’appartamento in via Manna, ho provato la prima imbragatura…mi ha invitato a partecipare al corso del soccorso speleo in Marguareis…da qui ho trasferito l’utilizzo del contrappeso tra gli speleo iugoslavi. Con un barile di argilla dalle grotte sporcavamo le attrezzature per portarle più facilmente oltre la frontiera…ha collaborato nella prima fiera di attrezzatura speleologica in Iugoslavia. Era mecenate e mentore del primo arrampicatore di fama mondiale iugoslavo…sponsorizzò più spedizioni speleo… è stato un eccezionale disegnatore … mi ricordo i suoi disegni contro l’industria nella zona franca, che inquinava il Carso, alla fine degli anni settanta del secolo scorso…i desideri per rimuovere le ossa della gente buttata negli abissi del Carso dopo la seconda guerra mondiale…la cura per il piccolo figlio. La vita ci ha separati… ma come si dice per gli amici: siete come le stelle, non le vedete sempre, ma sapete dove sono quando serve. E finalmente l’ho incontrato ancora durante le riprese del film nelle grotte di Škocjan..orgoglioso del figlio, pieno di energia, trasmessa anche su tutto il gruppo (come al solito)..così rimarrai. Con l’angoscia nel cuore,

Franc Maleckar, Jamarsko Društvo Dimnice Koper, Slovenia

 Correvano gli anni a cavallo tra i 70 e gli 80 e lo scontro ideologico tra il MAO e il DUCE era uno degli argomenti di confronto con Marietto. … lo conobbi meglio nella veste di mio severo esaminatore al terzo Esame per INS…” Triestin” fino all’osso… profondo conoscitore de scalette così come de grampampel. Un pezzo importante della speleologia storica italiana ci ha lasciato … Ciao Marietto, cantaci qualcosa de Trieste da dove ti trovi…

Felice La Rocca, Istruttore Nazionale di Speleologia SNS CAI

Mi dispiace. Quando Glauco Lasagni me lo ha presentato a San Marco in Lamis nel 2012 non potevo crederci… Mario Gherbaz? Quello delle esplorazioni sugli Alburni negli anni ‘60? Mi strinse la mano con vigore guardandomi dritto negli occhi! Io l’avevo visto solo sulle foto storiche fuori il nostro Casone! Con rotoli di scalette accatastati! Che riposi in pace.

Ivana Guidone, Gruppo Speleologico Natura Esplora

Voglio esprimere la mia vicinanza a quanti hanno perso non solo lo speleologo, ma anche, e soprattutto, l’uomo.

Max Goldoni

Mario Gherbaz e Fabio Venchi Grotta di Monte Cucco, ott. 2008 (arch. CGEB)

Ci sono cose di cui non vorremmo mai parlare. Una di queste sicuramente è la morte. L’unico limite che si frappone tra lo speleologo e la conoscenza, invalicabile, inconoscibile, terribilmente lontana dalla realtà ipogea. Se c’è lei, non ci sono né corde, né imbraghi e né caschi. Un paio di week end fa abbiamo rivisitato la Grava di Melicupo, una grave situata sul monte Alburno che custodiva un piacevole segreto. Nel 1961 un diciottenne triestino testardo armato di quella voglia di abissi che solo chi fa speleologia può capire, la esplorava per la prima volta rilevandola e facendola così conoscere ai molti. La vita a volte è strana: Marietto Gherbaz è morto il giorno dopo (la nostra rivisita ndr). Quando si è piccoli si sa di chi si è figli, scriveva Andrea Gobetti nella prefazione di “Una frontiera da immaginare”, ma più tardi le cose si complicano. Quando si diventa adulti è sempre tutto più complicato. Si diventa figli del proprio tempo della propria terra e della società che ci plasma e ci rende uomini e donne diversi ciascuno a suo modo. Resta innegabile quanto la Commissione Grotte Boegan e tu Marietto hai fatto per la speleologia di quel monte che ci accomuna. Che la terra ti sia lieve Marietto, affinché quei fiumi sotterranei che tanto cercavi in vita possano ora svelarsi ai tuoi occhi

Pino Palmisano, Gruppo Speleologico Martinense

MARIETTO GHERBAZ 1943-2016

Se un giorno verrà scritta una storia della speleologia italiana, invito fin d’ora il suo autore a dedicare almeno una nota a piè di pagina a Marietto Gherbaz, il quale non ha mai preteso di essere uno speleologo, ma bensì un grottista come lo siamo stati quasi tutti noi di questa generazione, tranne Marino Vianello, che aveva tutti i numeri, di far parte della categoria superiore, nella quale avevano militato Boegan, Finocchiaro, e Walter Maucci. Per il resto i frequentatori del nostro sottosuolo sono appartenuti al variegato movimento del grottismo triestino, il quale ha dato molti soggetti che in fatto di familiarità con le entità ipogee non avevano nulla da invidiare alla maggior parte dei presunti speleologi d’oltre Timavo. Quando nel 1958 Marietto arrivò in Commissione assieme al fratello Franco era un adolescente piccolo e mingherlino e per questo fu chiamato da allora con il diminutivo del suo nome. Tre anni dopo prese parte alla prima spedizione sugli Alburni, dando subito prova di possedere le qualità del grottista di razza: grinta da vendere, paura di nulla e capacità di sopportare senza lagnarsi disagi e fatiche prolungate. Non aveva quel che si dice un fisico atletico, ma vi sopperiva con una straordinaria instancabilità e con una saggia gestione delle sue forze, in modo che era lui a non cedere quando gli altri mollavano. Ad un certo punto lui si rese conto della sua superiorità e manifestò apertamente l’ambizione di essere l’uomo di punta nelle esplorazioni più impegnative, mettendo da parte per sempre quel poco di docilità con la quale aveva superato l’umiliante rito del “batizo”dei neofiti. In questa affermazione della sua prorompente personalità venne a galla un difetto non da poco: che avesse a che fare con l’ultimo arrivato o con una persona di riguardo, Marietto diceva tutto ciò che gli passava per la testa, anche cose sgradevoli che gli attirarono molte antipatie, dovute anche alla sua caustica vis polemica. Quando Marietto scendeva sottoterra diventava una perfetta macchina da grotta, non lasciava nulla all’improvvisazione, sia nella sistemazione delle attrezzature che nella successione delle manovre. Gli mancava il carisma del leader, ma voleva affermarsi come protagonista nelle operazioni di maggior complessità tecnica.

Adelchi Casale e Marietto Gherbaz al Gortani 1967 (foto arch CGEB)

Fu così che maturò l’idea della discesa in solitaria dell’Abisso Gortani, un’impresa allora senza precedenti che non ebbe la meritata risonanza. Invece di una folla osannante, lo speleonauta fu accolto da uno stormo di corvi gracidanti, mentre il racconto non potè essere pubblicato perché troppo lungo. Marietto era anche un innovatore ed infatti mise a punto un originale sistema molto rapido per la costruzione delle scalette superleggere e studiò a lungo il progetto del cosiddetto Universore, un attrezzo per salire e scendere sulla sola corda. Il prototipo venne proposto a ditte specializzate, le quali però non lo giudicarono funzionale, una bocciatura che fece piacere a molti incapaci. Tra me e Marietto c’era un rapporto particolare: a me piaceva l’uomo duro che accettava le sfide con le grotte più repulsive e lui mi stimava quale scopritore di nuove zone speleologiche, ma forse anche per non essere riuscito a battere il mio tempo nella risalita sulla scala della grande verticale della Grotta Gigante, un record oramai imbattibile. Lui sapeva bene che a Sciacca io e Ciano gli avevamo salvato la vita, ma non volle mai ammetterlo da pragmatico che non sbagliava in nessuna situazione operativa. Per Marietto io provavo l’affetto che uno zio ha verso un nipote un po’ discolo, però tanto bravo e irriducibile, capace di venire in Vespa da Trieste al nostro campo sugli Alburni. Dismessa la tuta da grotta si mise a vendere gli attrezzi del suo mestiere ed il negozio non poteva che chiamarsi Avventura, nel quale convenivano tutti i praticanti la speleologia e l’alpinismo. Era strano vedere in veste di “bottegher” la persona che aveva progettato e messo in opera il geniale impianto per la discesa nella necropoli sotterranea del Monte Cronio, grazie al quale le esplorazioni divennero meno rischiose. La popolarità che gli fu negata nell’ambiente grottistico triestino, caratterizzato da antiche rivalità e dalla ripulsa verso l’egemonia della Commissione Grotte, la ottenne nell’ambito della speleologia italica, quale simpatico celebrante del misterico rito del Gran Pampel ed animatore dei movimentati incontri conviviali. A mettere nella giusta luce chi era stato Marietto è stato a sorpresa Giovanni Badino – il riconosciuto guru della nostra speleologia – il quale lo ha indicato come uno dei più forti esploratori del sottosuolo di tutti i tempi. Devo solo a lui se sono rientrato – magari dalla porta di servizio – in quel sodalizio al quale ho dato le mie migliori risorse e che continuerò ad amare fino alla fine della vita. Guarito dai suoi mortificanti malanni, ora Marietto solca senza trovare ostacoli le profondità del Carso, dove tanti anni fa, ha esplorato il terribile Abisso Colognatti, budello fatto di fango e strettoie nel quale nessuno è più disceso. Fu con lui in un’avventura ai limiti delle possibilità umane l’amico Peppe Baldo: su una roccia vicina sta inciso il profilo del loro abisso, a sfidare la consunzione dei secoli e la dimenticanza degli uomini.

 Dario Marini

 MARIO GHERBAZ SCRITTI 1961-2015

Marietto era un tecnico nato che non amava molto scrivere. Quando lo faceva era per portare alla tecnica speleologica qualche nuovo contributo: della cinquantina di scritti che ci ha lasciato una trentina sono rivolti alla tecnica speleologica (fra tutti l’Universore la cui prima versione è del 1977) ed al Soccorso. I cinque testi di descrizione di grotte sono concentrati nel primo decennio (1961-1970: due sul Gortani, di cui aveva elaborato i primi nove chilometri di rilievo), fra i sette scritti di argomenti non tecnici o descrittivi tre sono dedicati al commosso ricordo di amici scomparsi. Un cenno particolare merita “Italia speleologica. Dal diario di uno speleologo” pubblicato nel 1971 su Stalattite, il bollettino del Gruppo Grotte CAI di Schio. Ultimamente la sua vis polemica aveva trovato spazio sulla Gazzetta dello speleologo, bollettino sul quale è intervenuto più volte in difesa di quella che riteneva essere l’anima della speleologia (meglio, del grottismo) giuliano. Per meglio capire il Mario Gherbaz scrittore dovrebbero essere prese in esame anche le molte esposizioni – talvolta lettere, talaltra realizzate come memoriali – con cui egli relazionava su interventi di soccorso o affrontava la vita tecnica (ma anche ‘politica’) speleologica: sono delle piccole monografie, estremamente dettagliate, complete in ogni loro parte, delle arringhe che davano alla parte avversa ben pochi elementi cui controbattere. Sarebbe troppo lungo elencarle tutte (sarà il compito di chi, fra qualche anno, vorrà approfondire la conoscenza di questo grottista attivo fino all’ultimo), ma mi piace ricordare lo scritto con cui si opponeva, in nome di una tradizione antica e consolidata, all’ingresso delle donne nella Commissione Grotte. Era il 1975, e da allora molta acqua ha attraversato le profonde gallerie di Trebiciano e della Lazzaro Jerko per tornare alla luce a San Giovanni di Duino, e molte cose sono cambiate nel mondo, anche speleologico. Ma il combattivo Marietto, che se aveva finito per accettare il gentil sesso fra i “grezzi”, non aveva perso con gli anni la sua indole battagliera e il suo spirito grottistico. Come dimostrano il repertorio canoro realizzato con Franco Gherlizza nel 1995 e poi aggiornato, ma pubblicato in un numero contenuto di copie, una dozzina di anni dopo.

Pino Guidi

  • 1961 Grava di Melicupolo, Campagna speleologica sul monte Alburno, agosto 1961, Trieste 1961: 10
  • 1963 Un nuovo sistema per costruire scale, Atti del IX Congresso Naz. di Spel., Trieste set.-ott. 1963, Como 1965; 283-288 1965 L’abisso Mauro Colognatti, Alpi Giulie 60: 49-55
  • 1966 La Grotta dell’Uragano, Alpi Giulie, 61: 67-72
  • 1969 L’abisso Gortani, Rassegna Alpina, 10: 196-198 – Dimostrazioni pratiche, Atti del I Conv. Naz. della Sez. Spel. del CNSA, Trieste 1-4 nov. 1969, Tip. Mosetti, Trieste 1971: 34-43 – Relazione gruppo studio argani, Atti del I Conv. Naz. della Sez. Spel. del CNSA, Trieste 1-4 nov. 1969, Tip. Mosetti, Trieste 1971: 173-174
  • 1970 Gortani -920. La più profonda grotta d’Italia supera se stessa e si avvicina ai 1000 metri, Spel. Emiliana, Not., s. 2, 2 (4/5): 1, Bologna 1970 – Considerazioni e primi risultati sulle possibilità di un’indagine sui “tempi morti” nelle operazioni di soccorso in grotta, Mondo Sotterraneo, n. u. 1970: 65-75,Udine
  • 1971 Metodi esplorativi della Commissione Grotte, Atti della I tavola rotonda sulla sicurezza in grotta, Montecompatri 26 giu. 1971, Roma 1972: 22-24 – Programma ideale, difficoltà e risultati possibili di una campagna per la prevenzione degli incidenti in grotta, Atti del II Conv. Naz. della Del. Spel. del C.N.S.A., Trento 1971, Trento 1973: 220-227 – Un sistema per poter marchiare e distinguere le corde, Atti del II Conv. Naz. della Del. Spel. del C.N.S.A., Trento 1971, Trento 1973: 264-268 – Italia speleologica. Dal diario di uno speleologo, Stalattite, Boll. del Gruppo Grotte CAI, Schio, vol. 8: 41-50
  • 1972 – [con L. Diamanti] Grotta sifone di Ponte Subiolo, Boll della Del. Spel. del CNSA, 1: 44-52, Trieste 1972
  • Marietto Gherbaz in Canin anni 60′ (foto arch. CGEB)

    1973 Considerazioni anti-infortunistiche, Not. di Spel. Emiliana, s. 2, 5 (6): 3, Bologna 1973 – Esperienze, considerazioni, prospettive sull’impiego delle ferule pneumatiche, Atti del III Conv. Naz. della delegazione Spel. del C.N.S.A., Cuneo nov. 1973: 30-31 – Tecniche moderne e sicurezza, Atti del I Conv. di Spel. del Friuli Venezia Giulia, Trieste dic. 1973, Trieste 1975: 92-93 – I benemeriti del Soccorso alpino, Il Piccolo (Segnalazioni), 17 gen. 1073

  • 1974 – [con R. Borghesi] Relazione dettagliata sull’incidente e l’operazione di soccorso a Roberto Borghesi nell’abisso “E. Davanzo”, Boll della Del. Spel. del CNSA, 3: 58-65, Trieste 1974
  • 1975 Il bivacco speleologico “Vianello – Davanzo – Picciola”, Alpi Giulie, 69 (3) – Una nuova tuta per la speleologia, Atti del II Conv. di Spel. del Friuli Venezia Giulia, Udine mar. 1973, Udine 1975: 107-109
  • 1977 Il primo attrezzo universale di sicurezza per l’uso delle funi: l’Universore, Atti del III Conv. di Spel. del Friuli Venezia Giulia, Gorizia nov. 1977, Gorizia 1978: 101-108
  • 1978 – [con G. Baldracco, C. Giudici, P. Guidi] Prevenzione degli incidenti e soccorso Marietto Gherbaz in Canin anni 60′ (foto arch. CGEB) 185 speleologico, in ‘Manuale di speleologia’, S.S.I., Longanesi ed., Milano 1978: 425-440 – Attività nel 1977 del II Gruppo, Boll della Sez. Spel. del CNSA, 7: 16-17, Trieste 1978 – L’Universore, Mondo Sotterraneo, n. s., 2 (1): 5-8, Udine 1978 – Dimmi con che corda vai e… , Progressione 2, 1 (2): 12-14, Trieste dic. 1978 – Considerazioni sulla resistenza allo strappo di corde e longes di uso corrente, Mondo Sotterraneo, n. s., 2 (2): 4-6, Udine 1978
  • 1979 Attività nel 1978 del II Gruppo, Boll della Sez. Spel. del CNSA, 8: 8, Trieste 1979
  • 1981 Dispositivo Universale Continuità Esplorativa (D.U.C.E.), Speleologia, 5: 20-22, Milano giu. 1981 Premio San Benedetto, El Testòn de Grota, n.s., 2 (9/10), Trieste set.-ott. 1981 – Il Soccorso Speleologico e la Protezione Civile: situazione, esigenze, problematiche e prospettive, Atti del V Conv. di Spel. del Friuli Venezia Giulia, Trieste ott.-nov. 1981, Trieste 1982: 335-347 – Il Soccorso Speleologico, Atti del V Conv. di Spel. del Friuli Venezia Giulia, Trieste ott.-nov. 1981, Trieste 1982: 385-389
  • 1982 Il pedale nei frazionamenti, Atti del XIV Congr. Nazionale di Speleologia, Bologna settembre 1982, Bologna 1983: 89-92
  • 1983 Alcune migliorie tecniche in materia di ancoraggi: il “pianut” ed il “segnaspit”, Atti del VI Conv. di Spel. del Friuli Venezia Giulia, Mondo Sotterraneo n.s. 7 (2): 197-200
  • 1984 2° Gruppo – 1981, Boll della Sez. Spel. del CNSA, 10 (1983): 16-18, Trieste 1984
  • 1985 Tullio Piemontese, Progressione 14, 8 (2): 50, Trieste 1985
  • 1987 Tecniche e materiali per la progressione in grotta, Il Carso 1986: 45-48, Gorizia 197
  • 1995 – [con Gherlizza F.] Cantade de Likoff, CAT ed., Trieste 1995, pp. 32
  • 1997 Grotta libera, Gazzetta dello speleologo, 7: 7-8, Trieste giu. 1997 – L’evoluzione della specie, Gazzetta dello speleologo, 8: 7-8, Trieste lug. 1997
  • 1998 Karstic Park, Gazzetta dello speleologo, 19: 8, Trieste giu. 1998 2007 L’opinione dello speleo, Gazzetta dello speleologo, 122: 5-7, Monfalcone gen. 2007
  • 2008 Prima traversata “Grotta Impossibile – Grotta di Montecucco”, Progressione 55, XXXI (1-2): 129-130, Trieste gen.-dic. 2008
  • 2009 Una nuova maniglia per il MAO: osservazioni tecniche in proposito, Progressione 56, XXXII (1-2): 141-142, Trieste gen.-dic. 2009
  • 2011 1970-2010 Quaranta anni fa: la Commissione Grotte non vi dimentica… siete e sarete sempre con noi, Progressione 57, 33 (1-2) (gen.-dic. 2010): 203, Trieste 2011 – L’Assemblea della Scuola Nazionale di Speleologia del CAI, Progressione 57, 33 (1-2) (gen.-dic. 2010): 162, Trieste 2011
  • 2015 Giorgio Pertoldi “Filippin”, Progressione 62, 37-38 (1-2) (2014 e 2015): 136, Trieste dic. 2015

CIAO NAZZARENO, CI RITROVEREMO

Non si puo esprimere la tristezza e il vuoto che ti coglie quando perdi un grande amico, senti che se ne va una parte di te stesso. Conobbi Mario nell’estate del 1966, una sera arrivò in sede (piazza Unità) reduce dalla spedizione in Alburno; entrando apostrofò tutti con quella sua voce tonante e scherzosa forse un po’ canzonatoria. Imparai subito o quasi ad apprezzare il suo carisma la sua rude bontà sempre pronto a sostenerti, aiutarti, spronarti, nacque così una solida amicizia cementata durante le varie spedizioni fatte assieme sul Canin. Le vicissitudini della vita ci separarono per diversi anni, nel 2001 quando ritornai a Trieste, ritrovai tutti gli amici di un tempo ma fu Mario quello che mi fece la piu grande accoglienza, rinacque cosi una grande amicizia. Come non ricordare in questi anni le tante ore e giornate passate: in CGEB, dagli Alpini, durante l’Adunata a Trieste, in Caponera, alla Azzurra a feste, a Polcenigo, in barca a pescare, a funghi, a Ossero. Caro amico mio, mi mancherai tantissimo e mancherai a tutti noi, stai sicuro che ci rivedremo e forse fra non molto tempo, allora potremmo stare sempre assieme, assieme a tanti amici già ANDATI AVANTI, ciao Mario.

Plucia (Mauro Sironich)