OSSERVAZIONI MINERALOGICHE
Pubblicato sul n. 63 di PROGRESSIONE anno 2016
Nell’estate 2005, il Gruppo Speleo Ambientale Sassari ha organizzato una pre-spedizione in Madagascar, grande isola dell’Oceano Indiano, a largo della costa sud-orientale dell’Africa. Questa ricognizione ha avuto come scopo quello di inquadrare il carsismo della fascia sud-occidentale di questo microcontinente e di recuperare quante più informazioni possibili in previsione di una futura spedizione speleologica.
Il villaggio di Saint Augustin, 30 km a sud di Tulear, lungo la costa zona sud-occidentale dell’isola, è stato il campo base per le attività di ricerca nel Plateau di Belomotra, un altopiano carsico interrotto dalle imponenti falesie a strapiombo sul Canale di Mozambico, alla foce del Fiume Onilahy. Con quote inferiori ai 300 metri, la struttura sub-pianeggiante di questo altopiano eocenico costituisce il prolungamento settentrionale del Plateau di Mahafaly ed è chiuso a nord dalla valle del fiume Fiherenana. La sua monoclinale carbonatica leggermente pendente verso ovest, sfuma ad est nella cuesta del Plateau Vineta e insieme al Plateau Mikoboka, al Plateau de Lahopolo e il Plateau d’Ambovo costituiscono l’affioramento più meridionale di rocce carsificabili in Madagascar.
Nella storia geologica dell’isola, tavolato calcareo di Belomotra corrisponde alla parte sud del Bacino di Morondava, una zona distensiva la cui evoluzione geodinamica è connessa con la frantumazione del supercontinente Gondwana e associata all’apertura del rift afro-malgascio, lungo la dorsale di Davie (Schandelmeier et al, 2004). Questa regione è occupata da terreni sedimentari, la cui serie deposizionale si estende dal Carbonifero superiore (Supergruppo del Karoo) all’attuale.
La sedimentazione marina, e in particolare quella carbonatica, è perdurata dal Giurassico medio fino al Miocene ed è costituita alla base dalle marne giurassico-cretacee (con intercalazioni di basalti), seguite dai calcari massivi del Cretaceo superiore e poi da quelli eocenici. Affiorano anche alcune lenti di calcari marnosi aquitano-burdigaliani ricchissimi di grossi gasteropodi, spesso sigillate da formazioni continentali di sabbie ferruginose plio-pleistoceniche (Mette, 2004). L’altopiano carbonatico termina verso il mare con una falesia grossolanamente rettilinea, alta un centinaio di metri, che corrisponde alla faglia di Tulear. (André et al, 2005).
L’estensione delle manifestazioni carsiche coincide con l’affioramento dei calcari ad alveoline dell’Eocene; il suo aspetto è altrettanto più tipico quanto più puri sono i calcari. Qui il paesaggio può essere distinto in un carso coperto, in cui le superfici sono mascherate da materiali non consolidati, residui della decalcificazione (terre rosse) o sepolti da materiali alloctoni, e in un carso nudo, dove i karren sono esasperati raggiungendo profondità di svariate decine di metri (i famosi Tsingy). Il tratto comune espresso dai fenomeni carsici in quest’area è disegnato dalle macro-forme rappresentate essenzialmente da lunghi canyon scavati lungo le direttrici tettoniche principali, da grosse doline dai versanti poco pendenti che degradano dolcemente verso un fondo spesso riempito di sedimenti e dagli “avens”, ampi pozzi simili ai cenotes messicani che si approfondiscono come cilindri per oltre 150 metri, per poi proseguire su piani sub-orizzontali, spesso allagati (Parise, 2005).
Fuori dai classici circuiti di esplorazione speleologica che a partire dagli anni ‘60 hanno interessato le aree carsiche nord e occidentali del Madagascar con campagne soprattutto francesi, i carbonati che affiorano estesamente in questa zona offrono un potenziale carsico ancora poco conosciuto a causa della scarsa praticabilità del territorio. Le ricerche condotte durante la ricognizione del 2005 hanno consentito di raccogliere una serie di osservazioni importanti sul tavolato calcareo di Belomotra, di individuare diverse emergenze sorgentizie e di effettuare la prima esplorazione di alcune piccole cavità localizzate poco a nord del villaggio di Saint Augustin. Tutte impostate su una facies particolare dell’Eocene, un calcare marnoso, giallastro, ricco di grossi molluschi, le grotte visitate si sviluppano alla base del fianco verticale del tavolato di Belomotra. Hanno andamento sub-orizzontale e sono prive di vistosi fenomeni concrezionali, eccetto un’insolita precipitazione osservata nella grotta Zohy Kinakina (in malgascio: la grotta dei pipistrelli). Questa cavità ha uno sviluppo di circa 90 m ed è articolata in una galleria ampia, impostata su una direttrice grosso modo rettilinea interrotta da un corpo di frana, e in una laterale che conduce ad un secondo accesso. Nella volta della galleria sono ben evidenti i piani di stratificazione del carbonato intervallato a livelli marnosi mentre la roccia incassante laterale si presenta massiva e con alveolature da dissoluzione al cui margine inferiore è precipitato un sottile flowstone bianco di pochi centimetri di spessore.
L’esame microscopico in sezione sottile di un campione di questi speleotemi ha rilevato che la fase predominante è la calcite, organizzata in un mosaico di cristalli anedrali fino a 5 mm di diametro con tessitura spatica, inequigranulare, che a nicol incrociati esibiscono altissimi colori di interferenza. Sebbene subordinati quantitativamente, gli elementi caratterizzanti questa concrezione sono però altre due fasi: il quarzo, costituito da piccolissimi cristalli ammassati negli spazi intergranulari, e delle ooliti giallo-brune (con diametro tra i 20 e 100 mm) a struttura di crescita concentrica, una disposizione radiale che fa risultare una croce nera in luce polarizzata e non consente la determinazione con metodi ottici tradizionali. La curiosa giacitura di queste ooliti, rivestite esternamente da sottili lamine micritiche scure e inserite a stretto contatto con il quarzo, ha indotto a verificarne la natura tramite diffrattometria a raggi X (analisi XRPD effettuate presso il laboratorio dell’Istituto di Scienze Geologico-Mineralogiche di Sassari). La paragenesi mineralogica ottenuta su polvere di roccia totale è riportata nel tracciato di figura 6, in cui è ben evidente, oltre alle fasi riconosciute con le indagini in microscopia ottica, il picco dell’ancherite a valori di 2θ pari a circa 31, subito dietro quello principale della calcite.
L’ancherite è un minerale ricco di ferro del gruppo della dolomite, spesso colorata di bruno a causa dell’ossidazione del Fe. Ha formula generale Ca(Fe,Mg)(CO3)2 e solo raramente è presente negli speleotemi calcitici e come minerale in tracce (Hill & Forti, 1997). Alcuni studiosi hanno segnalato però questa fase in associazione mineralogica con calcite, aragonite e quarzo in due grotte della Romania attribuendogli una genesi idrotermale (Diaconu & Morar, 1993). Dalla letteratura l’ancherite risulta anche in crostoni residuali nella grotta di Lechuguilla (Northup et al, 2000), in una grotta in Sud Korea e in una in Tukmenistan (Kashima et al, 1986). Hill & Forti (1997) la segnalano inoltre come prodotto di alterazione metasomatica dei calcari in una cavità in Slovacchia.
Nel campione in esame il carbonato di Ca, Fe e Mg è stato attribuito alla composizione delle ooliti, unici oggetti non risolvibili in microscopia ottica, ma per garantire una corretta determinazione necessitano indagini di laboratorio più accurate, con l’ausilio di una microsonda elettronica.
Per comprendere come sia possibile la formazione di questa associazione calcite-quarzo-ancherite nello speleotema malgascio occorre invocare l’intervento di acque termominerali in condizioni alcaline capaci di mobilizzare la silice e di attivare il processo di ancheritizzazione del carbonato (Durga Prosada Rao et al, 2000), processo agevolato dalla grande percentuale di ferro nei sedimenti superficiali e avvallato dalla presenza lungo il corso dell’Onilahy di numerose sorgenti con carattere idrotermale (André et al, 2005). Un’interpretazione sulla genesi di queste sferule può anche essere ricercata nelle terre rosse che compongono i suoli lateritici dell’altopiano carsico, costituiti da un plasma di microped di goethite (Sourdat, 1977). La mobilizzazione parziale di ferro e la successiva deposizione entro le concrezioni carbonatiche giustificherebbe l’apporto di questo elemento. Tra le possibili origini dell’ancherite non si escludono i prodotti dell’attività microbiologica di qualche strano batterio, capace di metabolizzare il Fe e di catalizzare la sua deposizione come minerale di neoformazione negli speleotemi. Tutte le ipotesi necessitano di essere confermate da ulteriori studi. Resta comunque valido che il ritrovamento di ancherite nella concrezione della grotta Zohi Kinakina risulta essere la prima segnalazione di questo minerale nelle grotte del Madagascar.
Ringraziamenti
Un doveroso ringraziamento a Paolo Marcia, con cui ho condiviso questa avventura, e a Mimmo Di Pisa, per gli importanti suggerimenti petrografici.
Bibliografia
- André G., Bergeron G., Guyot L., 2005: Contrôle structural et tectonique sur l’hydrogéologie karstique du plateau Mahafaly (domaine littoral semi-aride, sud-ouest de Madagascar), Karstologie, 45-46: 29-40.
- Diaconu G., Morar M., 1993: Analyses minéralogiques dans la grotte “Pestera de la Movile” (Mangalia – Dobrogea de Sud), Karstologia, 22: 15-20.
- Durga Prasada Rao N.V.N., Srikari Y., Behairy A.K.A., 1982: Columnar concretions in the Visakhapatnam sediments on the east coast of India, Sedimentary Geology, 31: 303–316.
- Hill C., Forti P., 1997: Cave minerals of the world, Nat. Spel. Soc., pp. 464.
- Kashima N., Suh M.S., Hahn H.Y., Kato M., Hiraoka T., 1986: Speleo-minerals in the Mungyeong karst area, South Korea, Journal of the Speleological Society of Japan, 11: 43-50.
- Mette W., 2004: Middle to Upper Jurassic sedimentary sequences and marine biota of early Indian Ocean (Southwest Madagascar): some biostratigraphic, palaeoecologic and palaeobiogeographic conclusions, Journal of African Earth Sciences 38: 331-342.
- Northup D.E., Dahm C.N., Melim L.A., Splide M.N., Crossey L.J., Lavoide K.H., Mallory L.M., Boston P.J., Cummingham K.I., Barns S.M., 2000: Evidence for geomicrobiological interations in Guadalupe Caves, Journal of Cave and Karst Studies, 62 (2): 80-90.
- Parise M., 2005: Note sul carsismo del Madagascar, Grotte e dintorni, 9: 47-60.
- Schandelmeier H., Bremer F., Holl H.G., 2004: Kinematic evolution of the Morondava rift basin of SW Madagascar: from wrench tectonics to normal extension, Journal of African Earth Sciences 38: 321-330.
- Sourdat M., 1977 : Le sud-ouest de Madagascar: morphogenèse et pédogenèse, Travaux et documents de l’ORSTOM, 70: 228.
Laura Sanna
Istituto di Biometeorologia – CNR, Sassari; Gruppo Speleo Ambientale Sassari: speleokikers(et)tiscali.it