Resinare in grotta

RESINARE IN GROTTA, PERCHÉ ?

Pubblicato sul n. 63 di PROGRESSIONE anno 2016

 

Chiodo resina (foto S. Savio)

“come sono gli armi, terranno?“

Parliamo qui di “ancoraggi storici” delle grotte del Carso triestino, magari messi lì da illustri personaggi, che oggi, dopo decenni, oltre la storia e la tradizione, non offrono più sicurezza certa. Oltre al fattore vecchiaia, c’è anche il fattore di chi e come ha armato la grotta e man mano che si testano materiali, cambiano le tecniche o soprattutto le mentalità d’armo, ci si trova con una quantità di spit, fix o altro nei posti più impensati e magari non tutti buoni, non di meno il fatto che spesso scendendo i pozzi, cercando dove tu avresti attrezzato, non trovi nulla. Dunque, cosa fare? Vista anche l’intensa frequentazione delle grotte del “Carso Classico”, un’idea già iniziata alla fine degli anni “novanta” è stata quella di resinare, come nelle falesie, dei fittoni lasciando così degli armi fissi ben visibili ed indiscutibili dal punto di vista della sicurezza, magari non in tutte le grotte ma intanto in quelle più frequentate o meglio più usate durante corsi o escursioni guidate. Il lavoro non è difficile, ma più impegnativo di quello che ci si aspetti: bisogna scegliere accuratamente i punti da forare e cercare di creare una linea logica ed intuitiva tale da permettere a chiunque di capire al volo cosa fare durante la fase di progressione. Non da meno bisogna attrezzare in modo semplice, creare degli ancoraggi facili da raggiungere e dei frazionamenti comodi da passare, immaginando dunque che si stia armando per un corso base. Tenendo conto della sicurezza, comodità, semplicità, altezza ragionevole e soprattutto roccia buona, i punti da scegliere rimangono pochi, e su questi spesso abbiamo la necessità di posizionare due calate in modo da poter seguire l’allievo. Chiaramente non in tutte le grotte serve armare in doppio, sarebbe senz’altro uno spreco di materiale ed un abuso alla natura, ma in qualcuna va fatto obbligo, e vi assicuro che non sempre il lavoro risulta banale. La partenza deve essere doppia, comoda e semplice, le corde devono seguire lo stesso percorso, bisogna pensare di sfalsare le corde e i frazionamenti per non incrociarle, mantenere una giusta distanza che permetta d’intervenire sull’allievo ed allo stesso tempo di non essere troppo vicini e darsi contro l’un l’altro. Un sistema che col tempo ho messo a punto e che solitamente uso è quello di scendere ed attrezzare con i “multimonti”. In questo modo, quando decido che va bene ed inizio a resinare, tolgo il MM allargo il foro e resino. Andando per gradi, si può scegliere se fare tutto in una volta o magari si divide l’armo in più uscite; non avendo grossi problemi di avvicinamento alle grotte sfruttando ritagli di giornata ed essendo spesso da solo, io divido il lavoro in più volte. Nulla toglie che se ci si organizza in più persone si può risolvere tutto in un colpo unico. Dunque dicevamo, si sceglie la grotta da resinare, ci si prepara il materiale e sperando di non dimenticare nulla, si parte. Per prima cosa, chi arma usa il “multimonti” e crea il percorso definitivo, attrezza tutto come se dovesse essere un armo fisso che rimarrà in loco per parecchio tempo, il secondo a scendere controlla se serve apportare modifiche migliorative e così fino ad arrivare sul fondo. A questo punto si inizia a risalire e con pazienza, chiaramente l’ultimo, inizia a togliere gli ancoraggi, ripassare il foro di misura adeguata e resinare il fittone. Un buon accorgimento è quello di far aderire il più possibile l’occhiello del fittone alla parete creandogli anche un invito per incassarlo un po’ in modo da evitare anche la più piccola torsione sotto carico. Fatto un pozzo, si passano le corde disarmate a chi sta davanti e si inizia la verticale successiva. Anche qui, c’è da dire che se si usa una resina classica dove il tempo d’asciugatura è rapido, (generalmente la resina grigia), non si fa in tempo a finire i fori che si deve cambiare beccuccio con un conseguente spreco di tempo, resina e soldi: se invece si usa una resina più lenta (io uso la rossa) si spende di più all’inizio ma si risparmia sui beccucci, sul tempo ed abbiamo un minor spreco di prodotto. Alla fine, si aspetta il tempo di asciugatura/ catalizzazione e, uno o due giorni dopo, si ritorna a vedere se tutto è andato a buon fine, del tipo che se qualche fittone messo in una posizione particolare sia sceso un po’: ad esempio se la roccia è porosa può succedere che prenda male e magari sotto sforzo il chiodo giri oppure esca di sede. Se avete fatto un buon lavoro, non succederà nulla ed il tutto sarà perfetto.

A questo punto generalmente compilo una scheda d’armo scrivendo ancoraggi, distanza tra i frazionamenti, se qualcosa va usato come devio o armi particolari. Ma mi raccomando, per evitare incidenti sgradevoli, è buona norma, prima di iniziare un qualsiasi lavoro di resinatura, mettere all’ingresso della grotta una tabella o un qualcosa con un avviso. Io di solito lascio un foglio A4 con scritto: “sto riarmando la grotta con fittoni resinati, non scendete fino al…(ci metto una data)…resina fresca.” Questo per evitare che a qualcuno rimanga in mano un attacco non ancora catalizzato. Favorevoli o no a questa metodologia d’armo, questo lavoro renderà le escursioni più semplici e divertenti e come nelle falesie, alla fine ne godranno tutti. A chi verrà la voglia di fare altrettanto, buon lavoro. Di seguito, una scheda d’armo-tipo che potrebbe essere inserita in catasto nella scheda della grotta in oggetto.

Grotte del Carso Triestino resinate sino al 2016 con questo metodo:

  • Grotta Impossibile 6300VG,
  • Grotta di Padriciano 12VG,
  • Abisso tra Fernetti e Orle 157VG,
  • Abisso II di Gropada 1720VG,
  • Grotta ad E di Aurisina 5115VG,
  • Berlova 823VG,
  • Grotta della Borraccia 79VG,
  • Grotta dell’Elmo 2696VG,
  • Grotta del Maestro 5300VG,
  • Grotta Noè 90VG,
  • Pozzo di Gropada 54VG,
  • Voragine di S. Lorenzo 294VG,
  • Grotta Plutone 23VG.

Mi hanno aiutato Gianni Cergol, Manuela e Guido Sollazzi.

Spartaco Savio