Un insolito metodo di indagine speleologica

 

Aria, corrente d’aria

Da sempre grottisti e speleologi hanno ricercato questa traccia per individuare ingressi di grotte nuove o prosecuzioni in quelle conosciute.  La meccanica che innesca queste correnti naturali, ha molteplici origini: correnti a sacco, a camino, barometriche, di piena, ecc. Qui non vogliamo stabilirne le origini. L’argomento è stato già trattato esaustivamente da vari autori e non è il caso di ritornarci sopra.
Sappiamo però che questi fenomeni avvengono solo in determinate condizioni e talvolta per periodi piuttosto brevi. Correnti d’aria osservate occasionalmente da esploratori, non sono state rilevate dai visitatori successivi e viceversa ingenerando, a volte, dubbi sull’affidabilità dell’osservatore.
In molti casi, riuscendo a cogliere l’attimo fuggente, sono state individuate moltissime grotte nuove e prosecuzioni anche importanti in grotte esistenti.
Capita però che campagne di scavo anche importanti per seguire notevolissimi flussi d’aria (es.: grotta Lazzaro Jerco 4737 VG – aria di piena del fiume Timavo), siano stati sospesi perché in fase di magra del fiume non c’era nessuna traccia da seguire in mezzo all’immane frana che stavamo attraversando.
In una situazione del genere, una sera in sede, venne buttata giù, da parte di Franco FLORIT, l’idea di ripristinare il flusso d’aria utilizzando un ventilatore. La proposta provocò lo scetticismo e l’ilarità della compagnia.  Giuliano ZANINI mi raccontò l’episodio durante una visita alla GR. Martina (5640 VG) in VALROSANDRA sempre alla ricerca dei flussi d’aria, assenti in quel momento. Discutendone insieme l’idea non solo risultò valida ma attuabilissima. Tra l’altro avevo letto da qualche parte, che in Vietnam, i marines americani utilizzavano dei potenti ventilatori con cui soffiare fumogeni colorati nei cunicoli dei Vietcong allo scopo di individuarne le uscite.
Giuliano partì in quarta e iniziarono le prime prove. Il primo ventilatore fu realizzato da Giuliano utilizzando materiale da modellismo aereonautico. Un motorino a scoppio con un’elica montato su un telaio di fortuna fu il primo ventilatore. Era la fine di novembre del 2000 ma questa prima soluzione non funzionò. Giuliano passò quindi a utilizzare ventilatori a 12 volt alimentati a batterie.   Dopo vari adattamenti e con la realizzazione di una chiusura ermetica della grotta Martina su cui montare il ventilatore, ci organizzammo per la prima prova concreta.
Era il 28 febbraio 2001 e Giuliano, all’esterno, attivò il ventilatore in aspirazione per la prima volta. La situazione all’interno era di una leggera corrente entrante, ma all’attivazione del ventilatore, da tutti i fori del fronte di scavo cominciò a soffiare aria e aria scendeva anche da fori del soffitto che non avevamo notato prima. Una valutazione approssimativa, indicò il flusso indotto come 5 volte quello naturale entrante. Il sistema sembrava funzionare.  Alcuni giorni dopo, il 3 marzo 2001, ci attrezzammo per una prova più completa.   All’esterno batterie per sovralimentare il ventilatore e all’interno un anemometro per misurare la velocità dell’aria. La velocità massima misurata in queste condizioni fu di 17,6 Km/h e notammo anche il rientro dell’aria all’arresto dell’aspiratore.  Il metodo funzionava perfettamente e apriva un nuovo orizzonte d’indagini.
La notizia del metodo e del suo primo utilizzo, fu data su Progressione 44 nella descrizione dei lavori fatti per aprire la Martina. In questa grotta il sistema fu applicato più volte per trovare l’origine della forte corrente d’aria naturale e fu possibile stabilire il probabile collegamento con la soprastante Grotta Ferroviaria (4352 VG), anche se i conti non tornavano. La quantità di aria aspirata dalla Martina era molto più elevata di quella entrante nella Ferroviaria.
La scoperta e l’apertura dei nuovi rami della soprastante Grotta delle Gallerie (il punto dove scavare dopo l’apertura del primo pozzo fu individuato sempre con il ventilatore a 12 volt e batterie al piombo), diedero nuovo impulso all’impiego del metodo. I flussi d’aria naturali indicavano un possibile collegamento fra le due grotte e la situazione si presentava come il terreno ideale per la sua applicazione allo scopo di trovarne il collegamento.
Nel frattempo i ventilatori utilizzati subivano miglioramenti e modifiche. Furono provati ventilatori elettrici a bassa tensione (ventilatori di radiatori automobilistici anche sovra alimentati a 24 volt) e ventilatori elettrici a 220 volt di vario tipo alimentati con gruppo elettrogeno.
I risultati migliori però furono ottenuti realizzando un ventilatore applicando due eliche da aeromodellismo direttamente all’albero del motore a scoppio di un decespugliatore. Dopo questo primo, costruito con materiali di recupero, ne realizzammo altri due di diversa potenza e velocità progettando e costruendo tutti i particolari secondo un progetto ben definito su dei motori acquistati allo scopo. I ventilatori con motore a scoppio, pur avendo delle prestazioni certamente superiori, avevano però l’inconveniente di produrre i gas di scarico per cui l’uso era limitato all’esterno tranne che in qualche caso con grotte percorse da correnti d’aria secondarie (es. Grotta Delle Gallerie-420 VG) che riescono a smaltirne i fumi. La potenza di questi è stata tale da creare una situazione di panico in uno speleologo trovatosi nel cunicolo d’ingresso della Martina e da trasformare l’aria in nebbia nella prima caverna (velocità misurata in uscita 70 Km/h).
Su Progressione 47 e 52 sono riportati parte dei risultati ottenuti con questo metodo.
Essendo ormai attrezzati con ventilatori (sarebbe meglio chiamarli aspiratori) di vario genere e potenza cominciamo ad applicare il metodo su vasta scala. Quasi sempre con Giuliano all’esterno ad attivare i suoi gioielli e gli altri a “ravanare” per cunicoli e strettoie alla ricerca dell’aria e a misurarne la velocità. Il principale banco di prova è la VALROSANDRA. Significative sono state due prove effettuate sulla strettoia del ramo Christian della Martina aspirando dall’ingresso della stessa.  La prima prova segnalò la semplice inversione del flusso con il fumo dell’incenso mentre la seconda, un anno dopo, segnalò un fortissimo flusso in uscita: avevamo aperto i rami nuovi della Grotta delle Gallerie.
Iniziammo quindi tutta una serie di prove per trovare il possibile collegamento tra le due grotte (collegamento realizzato in seguito). Anche la grotta dei pipistrelli che non aveva mai dato segni di circolazione di aria, indagata con l’aspiratore rivelò due proseguimenti di cui uno importante che dovrebbe portare alla Martina. In appendice ad alcune prove per determinare il possibile collegamento con la grotta Gualtiero, si stabilì il collegamento anche con la grotta del Tasso.
Non ci si limitò alle grotte della Valle.  Sul Carso, l’Abisso dei Cristalli (3960 VG) è sempre stato oggetto di ricerche per il fenomeno della forte corrente d’aria in uscita la cui origine non era mai stata individuata.  Si decise di applicare il metodo su questa grotta. Non fu facile. Non c’erano ancora i ventilatori a scoppio (2002) per cui Giuliano allestì un telaio con due grossi ventilatori per radiatori automobilistici. Un gruppo elettrogeno, un grosso trasformatore e un raddrizzatore fornirono la corrente necessaria. Ci vollero due uscite per capire, grazie alle sigarette di Elio PADOVAN, che l’aria entrava dalla Grotta dell’Alce (62 VG) che si apre nella dolina vicina. Questa si comporta come una trappola del freddo durante l’inverno e l’aria riscaldandosi in profondità risale attraverso l’Abisso dei Cristalli.  Solo nell’aprile del 2006 (quattro anni dopo), utilizzando il ventilatore più potente, è stato possibile individuare, nel punto meno probabile, dove l’aria è aspirata nella grotta dell’Alce. Sfortunatamente la situazione è improponibile per qualsiasi tentativo di scavo.
Negli anni successivi il metodo è stato applicato con successo su innumerevoli grotte scoprendo nuove gallerie, prosecuzioni in grotte che tutti giudicavano “mute” per quanto riguardava circolazioni di aria trovandone la traccia in mezzo a frane, dietro concrezioni, ecc. Grazie al metodo è stato possibile individuare due nuove prosecuzioni alla Grotta dell’Orto (37 VG) di cui una molto interessante sulla quale abbiamo applicato per la prima volta il comando a distanza tramite teleruttore.  Veramente siamo stati costretti a usare questo sistema perché rimasti solo in due a operare. Il generatore posto all’esterno, il ventilatore con teleruttore sulla strettoia interna e l’interruttore con una piattina a spasso per la grotta. Il sistema si rivelò molto valido perché si riuscivano a rilevare i transitori del flusso d’aria anche di brevissima entità (pochi secondi) provocati dall’inserimento/disinserimento del ventilatore. Essendo i flussi molto deboli, l’andamento era rilevato con il fumo di zampironi o bastoncini d’incenso. L’andamento è illustrato dal grafico seguente. In questo si vede chiaramente (in blu) il picco di flusso all’attivazione del ventilatore seguito dalla stasi del flusso e il picco di rientro all’arresto. La modesta entità del flusso è proporzionale al volume della cavità individuata. Un fenomeno particolarmente interessante invece è stato osservato durante le prime prove con il ventilatore più potente applicato all’ingresso della grotta. Oltre ai flussi dalle gallerie laterali, un forte flusso d’aria usciva dalla frana nel pavimento della caverna principale ma senza nessun ritorno (da dove viene ?).
Dopo le prime prove, fatte per lo più osservando in maniera empirica l’andamento dell’aria, iniziammo a eseguire tutta una serie di misure. La velocità dell’eventuale flusso naturale, la velocità indotta, la sezione della strettoia, il delta di pressione indotto dall’aspirazione e la stagione furono annotati scrupolosamente. La strumentazione a disposizione non era delle più precise e sensibili. Sono stati impiegati due anemometri da barca (dotazione Giuliano), un altimetro digitale e uno tradizionale.   Quando i flussi non erano misurabili dagli strumenti, ci si basava sull’osservazione del filo di fumo da una bacchetta d’incenso o di uno zampirone. In questo modo, nel corso degli anni abbiamo raccolto una quantità enorme di dati e di osservazioni e man mano che li raccoglievamo, ci rendevamo conto di sbagli ed errori. Mentre il delta di pressione misurato all’interno era piuttosto affidabile, le misure di velocità effettuate in prossimità dei ventilatori erano influenzate dalla turbolenza indotta dalla cavitazione delle eliche. Le misure effettuate su strettoie poste all’interno erano invece più affidabili, anche se rendono indispensabile un buon collegamento telefonico per la sincronizzazione e per cogliere i transitori all’inserzione/disinserzione.
Una delle prove più interessanti ha avuto per oggetto la Grotta Lazzaro Jerco (4737 VG). In origine lo scopo era di verificare se c’era un collegamento tra la stessa e la Lazzaretto (6042 VG) distante poche decine di metri. Le prove ci permisero di capire molte cose e di elaborare alcuni grafici significativi.   Bisogna ricordare che la Lazzaro Jerko è quella grotta, oggetto di una lunga serie di campagne di scavo che hanno permesso di raggiungere il corso del Timavo in un ambiente di notevoli dimensioni. Anche la Lazzaretto, fu oggetto di una campagna di scavo perché anch’essa era interessata dall’aria delle piene del Timavo.
Più cicli di aspirazione di 7, 13 e 18 minuti permisero di verificare (dopo 15 min) la stabilizzazione (fine) del flusso, cioè il punto in cui la velocità in uscita raggiungeva il suo minimo e la depressione (misurata in metri di quota) si stabilizzava (limite del motore). Notevolissimo invece il rientro con velocità superiore a quella in uscita. Il grafico di fig. 2 illustra l’andamento di questi parametri e che possiamo suddividere in più fasi:
Fase 1: Avvio aspiratore (rosso): Forte flusso di aria iniziale (blu); la pressione inizia a diminuire segnata come metri di quota (verde).
Fase 2: Graduale diminuzione del flusso col passare del tempo (7 min.); la pressione continua a diminuire.
Fase 3: Cessazione del flusso (tempo trascorso: 15 minuti – l’anemometro segna ancora flusso a causa della turbolenza e della cavitazione delle eliche); la pressione si stabilizza.
Fase 4: Arresto ventilatore: immediata inversione del flusso con velocità superiore a quella misurata in uscita. La pressione aumenta.
Fase 5: graduale diminuzione del flusso ed aumento della pressione (tempo:21 min.).
Fase 6: Arresto del flusso e ritorno della pressione al valore di partenza.  Tempo trascorso circa 30 minuti
Particolare significativo è stato l’assoluta mancanza di aria alla Lazzaretto durante le prove il che indicava l’assenza di qualsiasi collegamento tra le due grotte per lo meno in quella situazione (livello del Timavo?).
Incuriosito dal particolare, Giuliano realizzò una specie di valvola di non ritorno da applicare al telaio di supporto del ventilatore. In questa situazione, ripetemmo le prove. All’arresto del ventilatore, dopo 18 minuti, la chiusura mantenne la grotta in depressione per quasi un’ora indicando la mancanza di qualsiasi apporto significativo di aria da altre origini (cavità chiusa).
Utilizzando l’insieme dei dati raccolti e correlando sezione, velocità di rientro, depressione e tempo, Elio PADOVAN elaborò il possibile volume dell’aria di rientro (640 metri cubi) e il volume della cavità sottostante (120.000 metri cubi).
Un’altra serie di misure effettuate in più riprese alla grotta Gualtiero (Oniria) (5730 VG), permisero di elaborare un altro tipo di grafico significativo. Le misure furono rilevate alla IV strettoia durante due diverse uscite e con due diversi ventilatori. Le misure, fatte lontano dal ventilatore, non sono state influenzate da nessuna turbolenza. Nella fig. 3 possiamo vedere in azzurro il tempo di attivazione del primo ventilatore, mentre in blu, l’andamento del flusso relativo. Per un paio di minuti, il flusso è più forte per poi stabilizzarsi a un valore più basso. All’arresto, il flusso s’inverte con velocità e durata inferiori.
In arancio vediamo l’attivazione di un secondo ventilatore più potente e in rosso il flusso corrispondente con un breve rientro.
I due grafici hanno un andamento assolutamente analogo e fanno ipotizzare una cavità di grandi dimensioni con un secondo ingresso che mantiene il livello del flusso dopo il picco iniziale. Il rientro ridotto è dovuto al volume della parte di grotta conosciuta.
Prove successive hanno permesso di individuare da quale ramo della grotta arriva il flusso continuo, anche se il punto non è stato ancora individuato.
I tre grafici illustrano le tipologie di risposta ottenibili applicando il metodo. Il primo: cavità chiusa di piccole dimensioni. Il secondo: cavità chiusa di grandi dimensioni. Il terzo: una cavità di grandi dimensioni con uno o più ingressi non sufficienti però a saturare il ventilatore. Se la sezione degli altri ingressi è sufficiente ad alimentare il ventilatore, ovviamente manca la fase di rientro.
Nel corso degli anni il metodo è stato applicato, da noi, una settantina di volte su innumerevoli cavità compresa la Grotta Gigante. I risultati maggiori sono stati conseguiti in VALROSANDRA, ma questi saranno oggetto di un’altra storia.
                                                                                 Augusto Diqual