St. Nazaire 23 lug. 1932- Trieste 6 nov. 1990

Inizia l’esplorazione delle grotte con il Club Alpinistico Triestino nell’immediato dopoguerra. Prosegue quindi l’attività con il neocostituito Gruppo Grotte Carlo Debeljak diventando, assieme all’amico fraterno Giorgio Nicon – Jure, uomo di punta del Gruppo e quindi contribuendo con la sua presenza a tutti i successi esplorativi dei primi anni ’50 sul Marguareis, alla Grotta Guglielmo e sul Carso.
Alla costituzione del Soccorso Speleologico, 1966, è chiamato a far parte della squadra triestina del II Gruppo: memorabile rimarrà, per chi era presente, la sua partecipazione alle operazioni di soccorso, nello stesso anno, al Buco del Castello di Roncobello. La sua energia, capacità operativa e resistenza stupirono gli altri volontari presenti e i Vigili del Fuoco che avevano problemi per lo spostamento oltre un rugo di un grosso generatore a nafta necessario per alimentare i martelli pneumatici che dovevano allargare l’ingresso della grotta, spostamento risolto brillantemente da Claudio.
Nel 1970 è in Toscana, all’Antro del Corchia, per partecipare a una delle prime esercitazioni nazionali del Soccorso Speleologico. E quindi l’attività esplorativa sul Carso, suo grande amore, e in giro per il mondo: Jugoslavia, Francia, Spagna, Marocco, Costa Rica. Non scrisse molto, e non tutto quello che ha scritto è stato pubblicato; di lui rimangono, oltre che i rilievi conservati nel Catasto Storico della Commissione Grotte E. Boegan, anche alcune relazioni dattiloscritte, che lette con gli occhi del XXI secolo potrebbero far sorridere qualcuno, ma che erano assolutamente in linea con la pubblicistica speleologica coeva. Quando Almarindo Brena – el Vecio – passò la mano, la presidenza del Debeljak toccò proprio a lui: riconoscimento del prestigio e giusto coronamento di una vita dedicata alla speleologia e al Gruppo.
La morte lo ha colto troppo presto
Bibliografia speleologica
- 1968: L’importanza della grotta A. F. Lindner – 3988 VG – per lo sviluppo delle acque carsiche di base, Atti del X Congr. Naz. di Spel., Roma 1968, vol. I, Chieti 1976: 78-84
- 1983: Prefazione, Ricerche e Scoperte Speleologiche, Anni 1979-1980-1981: 1-3, Trieste 1983
- 1987: Spagna 1986 … per tacer del Congresso, Ricerche e Scoperte Speleologiche, Anni 1984-1985-1986, Trieste 1987: 25-28
Ricordiamo Claudio Skilan a vent’anni dalla sua scomparsa (1990-2010)
Il tempo passa in fretta. Vent’anni fa ci lasciava per sempre Claudio Skilan, una delle grandi anime della speleologia triestina nel dopoguerra, esploratore tecnicamente tra i più forti, preparati, e risoluti, allegoria dello speleologo che con ingegno – non solo con la passione, che pur ebbe e tanta – metodicamente ricerca e scopre le cavità, discende le grotte, le esplora sistematicamente, le rileva, le descrive, e rigorosamente consegna alla comunità speleologica i risultati del suo lavoro: un lavoro solido, onesto e preciso, da vero artigiano, perciò nato da intelligenza e sudore, documentato dai frutti colti e dall’unanime riconoscimento da parte di quella stessa comunità cui aveva destinato le sue fatiche e affidato il suo contributo. E qui bisogna precisare che “quel” tipo di risultato era stato raggiunto poiché si era inquadrato e realizzato il lavoro secondo un criterio speleologico corretto, e concluso non causa l’esaurimento dello sforzo dopo aver egoisticamente appagato la curiosità che nasce, effimera, dalla novità della scoperta, ma per la cognizione di aver invece esaurito, con assennatezza e ragionevole misura dell’impegno, il compito che ci si era dato. Sono queste, però, parole troppo aride – quasi tecniche, direi – per ricordare Claudio Skilan, un uomo che rappresentò un ideale di vita speleologica, destò ammirazione da parte degli speleologi del suo tempo, e fu la storia stessa di quel “Debeljak” che, a Trieste, come gruppo grotte rimane sempre un esempio di coerenza e correttezza, disinteresse e abnegazione, e che resiste al tempo in tale ruolo. Claudio Skilan, per tutti noi “Furlàn”, fu un uomo che diede quarant’anni della propria esistenza alla nostra speleologia, anni d’intensa attività e di profonda applicazione. Poi un male, prima del tempo, se lo portò via, impedendogli di continuare a trasmettere ad altri giovani speleologi ancora, quel senso di energia generosamente profusa e d’inalterabile dedizione alla speleologia, che con innata autorevolezza, con la sua azione e con suo esempio, egli sprigionava. Sono stato colpito – mentre questo 2010 sta per finire – di come la ricorrenza non avesse avuto eco, o scosso gli animi, per lo meno a Trieste. O se non altro posto un momento di sincera riflessione, in questa Trieste speleologica ancor anacronisticamente straripante di gruppi grotte, alcuni verso un immeritato declino, che si dibatte in una crisi evolutiva in cui gli sbocchi sono incerti – e che non s’interroga del perché – o nel migliore dei casi che intravede sì orizzonti ma sfumati e lontani. Anche se questa speleologia triestina è obiettivamente attuale e non manca agli appuntamenti esplorativi (carne al fuoco ce n’è), è per contro una speleologia che ansima negli altri, e alti, spazi, soprattutto in quelli di una speleologia scientifica che trae origine e linfa dall’esplorazione stessa. Vale a dire la speleologia scientifica migliore, fatta sul campo, in grotta e non a tavolino, speleologia con la S maiuscola, quel tipo di speleologia che effettivamente può raggiungere l’afflato internazionale e in quel qualificato contesto distinguersi, una speleologia che però nasce irrimediabilmente dalla base, pur nutrendo la propria cultura dagli strumenti della scienza, oggi ancor più indispensabili di ieri. Sì, che nasce da una base, ma salda, di elevate prerogative e con grandi visioni, dove speleologi autorevoli – pochi purtroppo – come Claudio Skilan ne furono contemporaneamente architetti e muratori. Così, giacché altri non l’hanno fatto attraverso un articolo rispettosamente dovuto, ho voluto ricordarlo io (con un articolo più riflessivo che rievocativo), il grande Claudio Skilan, affinché ai più giovani non rimanesse solo un nome dato alla maggior grotta del Carso. La Grotta Claudio Skilan, che con i suoi 378 metri è la più profonda, mentre con i suoi 6400 metri di sviluppo si pone al secondo posto, preceduta solo dalla Kačna jama / Abisso dei Serpenti (oltre 13 chilometri) e seguita dalle Škocjanske jame / Grotte di San Canziano (5800 metri). Il nome del nostro speleologo, Claudio Skilan, sta perciò in più che meritata compagnia, e ciò grazie al fraterno amico Giorgio Nicon che la grotta la scoprì e al suo “Debeljak” che a lui la intitolò.
Forse, a quasi vent’anni dalla scoperta della grande grotta nella piana a nord di Basovizza tra il Monte Gaia e il Monte Concusso, che porta il suo nome, se si volesse onorare degnamente il nostro Claudio Skilan, sarebbe da prendere in considerazione (come speleologia triestina in generale) il progetto di lanciare uno studio approfondito della medesima. Dato che, per colpe che ormai ricadono dai padri ai figli, in vent’anni non si è riuscito farlo e – quel che è peggio – non sono stati costruiti speleologi, a Trieste, che rimangano sulla scena e che non siano invece meteore, capaci di affrontare simili impegni. Impegni che costano fatica: sacrificio nell’esplorazione, in grotta ogni festa comandata, e studio quotidiano! Una sfida che – oggi – probabilmente non potrebbe che coinvolgere una comunità di speleologi e di specialisti, ormai fuori dalle mura di casa nostra. Ma, ciò sarebbe una lezione di umiltà e di riconoscimento dei propri limiti come delle qualità perdute. Proprio per questa ragione, però, si tratta di una sfida difficile da raccogliere, penosa per certi versi, per alcuni, poi, una competizione da aborrire (più facile crogiolarsi nel quotidiano), destinata a rimanere un gesto e nulla più. Una sfida facile da rintuzzare… basta volgere la testa dall’altra parte e considerarla una provocazione letteraria!
Il contributo di Claudio Skilan alla speleologia è noto, poiché si tratta di storia relativamente recente. Poi, se qualcuno volesse approfondirlo, il mio invito è di rivolgersi ai suoi vecchi amici, del “Debeljak”, che certamente potranno illustrarlo meglio di me, rievocando anche aneddoticamente la sua figura, fatta da decenni di vita in comune, dentro e fuori le grotte, credo anche trasportando nel racconto quel sentimento di calore e confidenza che pervade l’intimità del ricordo, che per me non è possibile avere. Diciamo solo che il suo contributo attraversa per intero l’attività del CAT delle origini, fino al 1954, quando si costituì il Gruppo Grotte Carlo Debeljak e lui ne divenne – come ho già detto – per i decenni a seguire una delle anime più nobili. Un contributo che passa per grandi esplorazioni, quelle ormai molto lontane degli anni Cinquanta, come il raggiunto fondo alla Grotta Guglielmo e i primi abissi del Marguareis, o più recenti come campagne in territori carsici dall’altra parte del globo, come in Costa Rica, ma che si sviluppa soprattutto sul Carso: dai primi grandi scavi, alcuni epici come quello all’Abisso dei Morti, alla sistematica ricerca, scoperta, esplorazione e rilevamento in – letteralmente – centinaia di cavità. Un’attività, col proprio gruppo grotte, sul Carso, come solo alcuni speleologi eletti seppero produrre. Un’attività incanalata verso l’arricchimento del Catasto Grotte, istituzione privata o pubblica indifferentemente fosse (non importava), vista sempre da lui e dal suo “Debeljak” come la costruzione di un edificio comune e mai luogo di tensioni. Oltre al suo notevole contributo dato al progresso della speleologia a Trieste, ricordiamolo meglio com’era. Un vero grottista. Uno speleologo che incuteva fermezza, solidità, rispetto. E a ciò – tra l’altro – contribuiva anche il vigoroso aspetto fisico. Per tanti anni, uno speleologo che fu punto di riferimento di una speleologia triestina che badava al risultato, alla concretezza dell’azione, alla consapevolezza, quasi dogmatica, che bisognava uscire dalla grotta con dati in mano. Con i rilievi che dovevano essere ben eseguiti, con la raccolta di osservazioni sulle caratteristiche generali della cavità che doveva esser realizzata con il massimo dell’impegno, con il lavoro di descrizione delle grotte che doveva esser fatto in modo preciso e dettagliato. Per Claudio Skilan, e per quelli fatti della sua stessa creta, queste erano regole, non sofismi intellettuali che alcuni, stolti (absit iniuria verbo), nella speleologia recente vollero contorcere e mettere in discussione. Regole, radicate nella migliore speleologia triestina e tramandate, più che scritte, da una tradizione che – affondando nel tempo – ben sapeva, con lucidità, cosa era e quale fosse il fine ultimo della speleologia. Un fine che, oggi, non è cambiato.
Me lo ricordo, gli ultimi tempi, quando già stava andando verso la fine, quando c’incrociavamo in città, specie il mattino, nella zona di Ponterosso, quando lui, ormai in pensione, girava spesso da quelle parti, mentre io mi recavo verso uffici e banche. Non mancavamo mai di scambiarci quattro chiacchiere sulla speleologia. Sobriamente, com’era nel suo costume. E così, parlando delle nostre esperienze, mentre qualche gabbiano s’inseguiva sonoramente nel cielo sopra la piazza specchiandosi nell’acqua verdastra del canale dove le barche rollavano nello sciabordio, la sua figura, di rude e puro grottista, che aveva disceso migliaia di pozzi e sbrecciato centinaia di strettoie con punta e mazza, a tratti, soprattutto dall’espressione degli occhi, talvolta si addolciva.
Rino Semeraro
Grotte rilevate da Claudio Skilan presenti in Catasto:
- Pozzo a NW di Trebiciano, 833 VG
- Gr. del carbone, 2689 VG
- Gr. ad Est di Basovizza, 3957 VG
- Gr. Antonio Federico Lindner, 3988 VG
- Pozzo a NE di Fernetti, 4003 VG
- Pozzo ad Est della stazione di Aurisina, 4351 VG
- Pozzo 1° tra Fernetti e Monrupino, 4402 VG
- Pozzo 2° tra Fernetti e Monrupino, 4403 VG
- Pozzo a Nord di Trebiciano, 4516 VG
- Pozzo a NE di Bristie, 4534 VG
Ulteriori notizie su Claudio Skilan si possono trovare in:
- Federazione Speleologica triestina, 1991: Dedicato a Claudio Skilan, Rassegna della Federazione Speleologica Triestina, n. u.1991: 6
- Ferlatti C., 1994: Prefazione, in “La Grotta Claudio Skilan VG 5720 – RE 5070”, Gruppo Grotte C. Debeljak ed, Trieste 1994: 5-6
- Ferlatti C., 1994: Skilanova jama (Grotta Claudio Skilan) – najpomembnejše odkritje tega stoletja na Tržaškem Krasu, Naše Jame, 36: 94-97, Ljubljana 1994
- Ferlatti C., Kladnik B., 1998: Sapore di tenebre. Grotta Claudio Skilan, Zaklad, Ljubljana 1998, pp. 100
- Marini D., 1990: Ad un eroe del mio tempo, Progressione 24: 4-5, Trieste dic. 1990
- Marini D. de Canedolo, 2010: Le grotte del Carso triestino dalla preistoria ai giorni nostri, vol. I, Duino Aurisina, 2010, pp. 168
- Marini D. de Canedolo, 2011: Le grotte del Carso triestino dalla preistoria ai giorni nostri, vol. II, Duino Aurisina, 2011, pp. 182