PALEOSUOLI CARSICI PRESENTI NELLA FORMAZIONE CALCAREO-DOLOMITICA ALBIANO-CENOMANIANA DEL CARSO TRIESTINO
Nel periodo luglio – ottobre 2013 è stata eseguita una serie di ricerche sui calcari, calcari dolomitici e dolomie appartenenti a quello che è genericamente conosciuto come “complesso dolomitico” del Carso triestino. Si tratta di una formazione costituita da calcari, calcari dolomitici e dolomie grigie, friabili e fetide alla percussione. Queste rocce sono alternate a frequenti brecce calcaree e calcareo-dolomitiche, spesso poligeniche, ed a particolari litotipi riconducibili a paleosuoli carsici. Sono strutture già ben conosciute e diversamente descritte da più autori, rappresentate da una serie di livelli con direzione NW-SE ed immersione SW, incassati in rocce di età attribuibile ad un intervallo tra l’Albiano superiore ed il Cenomaniano inferiore – medio.
Presentano caratteristiche litologiche e morfologiche uniche nel territorio in quanto riferibili ad un lungo episodio di paleocarsismo avvenuto tra la fine dell’Albiano e l’inizio del Cenomaniano.
Scopo dell’indagine è mettere a disposizione degli studiosi il maggior quantitativo possibile di dati per definire alcune proprietà diagnostiche utili all’individuazione dei processi di formazione di questi paleosuoli. In territorio italiano i livelli presentano spessori variabili da qualche decimetro al metro e affiorano dalla località di Col (Monrupino) fino all’area a nord di Duino e Monfalcone, estendendosi qui in direzione W-E con immersione S. In area slovena i livelli proseguono in direzione E-W e NW-SE, con caratteristiche simili e per diversi chilometri, e sono probabilmente identificabili con quelli presenti nella formazione che i geologi sloveni definiscono “formazione di Povir”, attribuita all’Albiano-Cenomaniano medio (Jurkovsek, 1996).
Le aree nelle quali è stata svolta la ricerca comprendono ambienti di fitto bosco e di intensa vegetazione, alternati a vaste zone coperte con abbondante suolo e/o copertura agricola o interessate da attività antropica.
Ne consegue che il rilevamento è particolarmente difficile, così come è difficile individuare le variazioni di spessore e le eteropie laterali di facies di questi livelli, interessati anche da importanti dislocazioni tettoniche.
Per questi motivi il rilevamento è stato al momento limitato allo studio ed all’esame dei campioni di cinque sezioni normali (Col, Sagrado di Sgonico, Sgonico, Ternova, Sales).
Indagini precedenti e correlazioni cronostratigrafiche
Le prime evidenze sui paleosuoli del Carso triestino sono attribuibili a Stache che descrisse le brecce basali e il membro dolomitico con molta precisione con la denominazione di “Obere Dolomitstufe, Dolomitsandsteine und Breccien mit roten Eisenknollenlagen”.
Lo studio geologico, anche se relativo al contiguo territorio sloveno, fu poi perfezionato ed approfondito da Plenicar (1960) al quale seguì il lavoro di Forti e Tommasini (1967).
Si devono al Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università degli Studi di Trieste le prime indagini moderne, condotte soprattutto sui termini albiani della successione calcarea del Carso (Masoli et al., 1969) e sui termini calcareo-dolomitici cenomaniani (Ulcigrai, 1969).
Questi affioramenti di paleosuoli sono stati successivamente studiati da Merlak
(1971, 1972) attraverso lo studio microscopico in dettaglio delle sezioni sottili e l’analisi delle rocce componenti la serie. Conseguentemente all’analisi chimico-mineralogica viene individuata nei paleosuoli carsici in oggetto la presenza costante nella roccia di un residuo insolubile medio del 2% (Merlak, 1977).
Relativamente alle caratteristiche petro-grafiche è necessario riferirsi allo studio di Comin Chiaramonti et al. (1982), che rappresenta la più completa e accurata sintesi sulle caratteristiche chimiche e mineralogiche del residuo insolubile dei calcari e delle dolomie del Carso classico.
I lavori svolti successivamente nell’ambito del Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università di Trieste da Cucchi et al. (1987, 1989) descrivono accuratamente l’intera successione stratigrafica del Carso.
Per quanto riguarda il Carso monfalconese e l’area del Sablici e Lisert i riferimenti si devono a Tentor et al. (1993) che descrivono l’esistenza di litotipi con dicchi sedimentari, brecce dolomitizzate, micro-cavità di origine carsica con riempimenti sideritico-lateritici, tutti attribuibili alla sommità dell’Albiano (Bivio Sablici) ed alla formazione del Cenomaniano inferiore. In questi studi è messa bene in evidenza l’esistenza di fenomeni di alterazione pedogenetica.
Ulteriori studi sono stati condotti lungo il confine sloveno (Tentor et al. 2000).
Riguardo l’età dei livelli di questi paleosuoli carsici va precisato che l’attuale crono-stratigrafia del Carso triestino non è completamente definita per quanto riguarda il passaggio Albiano superiore – Cenomaniano, essendoci dubbi sulla lacuna stratigrafica che escluderebbe il Cenomaniano inferiore dalla successione carbonatica.
Un riferimento certo e recente è costituito da “Brevi note illustrative della Carta geologica del Carso classico” della Regione Friuli-Venezia Giulia, a cura di F. Cucchi e C. Piano, note tratte dal Progetto GEO-CGT-Cartografia Geologica di sintesi in scala 1:10.000 (2013).
Seguendo queste note illustrative, i livelli dei paleosuoli carsici qui descritti si collocherebbero tra la parte superiore dei Calcari di Monte Coste e la parte basale della Formazione di Monrupino.
I primi (più antichi) livelli di paleosuoli, dello spessore medio di qualche decimetro, si individuano nettamente nella parte terminale dei Calcari di Monte Coste, parte cronologicamente corrispondente al tetto dell’Albiano e sono accompagnati da rare brecce calcareo-dolomitiche e calcari lamellari neri.
I livelli successivi sono distribuiti in alternanza con brecce calcaree e calcareo-dolomitiche monogeniche e poligeniche, strati di dolomie grigie friabili e fetide alla percussione e calcari fittamente stratificati, nerastri e compatti.
Secondo alcuni geologi proprio le brecce, qui ben presenti, costituirebbero un marker di collocazione del contatto con le rocce dell’Albiano superiore.
In questa formazione (cenomaniana) affiorano i livelli di paleosuoli carsici più caratteristici, con calcari micritici e microsparitici rossi, gialli, grigi e neri, con cavità e tasche micro-carsiche, alternate a brecce poligeniche di vario colore e ad anomali contatti con dicchi sedimentari, brecce con elementi spigolosi, ecc.
Sono presenti anche fenomeni di cristallizzazione e cementazione ad opera di calcite spatica, difficilmente rilevabili in queste proporzioni in altri livelli stratigrafici del Carso.
Formalmente queste rocce sono omologate come facenti parte della base della “Formazione di Monrupino” e storicamente riconosciute come “Membro Dolomitico” (Cucchi, 1987).
Questo membro è parte integrante della formazione definita in precedenza “Complesso dolomitico cenomaniano” (Merlak, 1977), in cui si evidenziano presenze costanti di idrossidi insolubili e pigmentazioni limonitiche, oltre che di brecce poligeniche ed intraclasti, in alcuni livelli dei calcari e nei calcari dolomitici, presenze non rilevate peraltro nelle dolomie grigie friabili.
Caratteristiche litologiche delle rocce individuate e descritte come “paleosuoli carsici”
I campioni raccolti sono stati sottoposti a taglio lucido per la verifica delle caratteristiche morfologiche, strutturali e di tessitura.
Lo studio morfologico al dettaglio (micro e macro) è quello più valido per mettere in luce la natura e la complessità di un paleosuolo carsico, soprattutto se poligenico, con la possibilità di fornire indicazioni riguardo la sua formazione.
Di ogni campione è stato determinato il peso specifico.
Dai campioni più significativi sono state estratte polveri (poi omogeneizzate) per l’analisi difrattometrica RX, analisi che è stata eseguita da Davide Lenaz del Dipartimento di Matematica e Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Trieste.
L’esame difrattometrico ai raggi X rivela che la parte cristallina delle rocce costituenti i paleosuoli è sostanzialmente costituita da calcari. Solamente per un campione si è rilevata la dolomia come roccia prevalente.
Non risultano tracce evidenti di quarzo.
La colorazione dei singoli frammenti di paleosuoli suggerirebbe che esiste una componente costituita da allumosilicati, ossidi ed idrossidi, non rilevabili dal difrattometro in quanto presenti allo stato amorfo (gel).
Di alcuni di questi paleosuoli è qui riportata la descrizione e la foto della relativa sezione lucida. Per alcuni è riportata la foto in forte ingrandimento per una analisi micro-morfologica utile per l’identificazione del processo responsabile della formazione.
Rimangono da eseguire ulteriori indagini micro-morfologiche approfondite con sezioni sottili e le analisi chimiche in dettaglio dei singoli litotipi, per definire con esattezza il contenuto del residuo insolubile e quindi origini e provenienza dei componenti che hanno contribuito, attraverso più fasi di alterazione, alla mineralizzazione di questi livelli.
Interessante è la frequenza di piccoli dicchi sedimentari presenti nelle strutture di questi paleosuoli. Si tratta di riempimenti costituiti prevalentemente da brecce o da fanghi calcarei di diversa colorazione, dal giallo-beige pastello al rosso scuro-marrone, indici forse di mineralizzazioni caolinitiche o di ossidi ed idrossidi di ferro (l’intensità del rosso è indice del contenuto di ematite, l’intensità del giallo-ocra o beige è indice del contenuto di goethite e/o caolinite). In particolare si osservano, nell’interno dei dicchi, strutture che ricordano una tessitura di tipo plastico e reomorfico.
Caratteristici sono anche i contatti diretti tra litotipi di diversa struttura e composizione, difficilmente riscontrabili in altre formazione del Carso triestino.
Nel caso specifico si tratta comunque di un fenomeno complesso da trattare in quanto le condizioni paleo-ambientali che ne hanno consentito lo sviluppo e l’evoluzione non sono più analizzabili e le strutture presenti e rilevate sul terreno sono scarsamente preservate.
I paleosuoli carsici, come quelli descritti, possono essere classificati nelle categorie dei records speleologici quali speleotemi e riempimenti di grotta, anche se presentano aspetti estremamente specifici di paleocarsismo, di dissoluzione, di apporti di materiali alloctoni e di laterizzazione.
Resta da interpretare l’estensione areale e l’ampiezza del fenomeno sul territorio.
Sicuramente questi livelli hanno influito sullo sviluppo del carsismo superficiale e dell’evoluzione delle cavità e del suolo.
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio Davide Lenaz del Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università degli Studi di Trieste che ha eseguito ed interpretato le analisi difrattometriche RX di otto litotipi di paleosuolo scelti per la presente indagine, e Francesco Princivalle per l’interessamento al lavoro stesso. Ringrazio anche Laila Merlak che mi ha aiutato pazientemente nel lavoro di ricerca sul campo.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
- Brevi note illustrative della Carta geologica del Carso classico della Regione Friuli-Venezia Giulia, 2013 – A cura di F. Cucchi e C. Piano, note tratte dal Progetto GEO-CGT-Cartografia Geologica di sintesi in scala 1:10.000.
- Comin Chiaramonti P., Pirini Raddrizzani C., Stolfa D. & Zucchi Stolfa m.l., 1982 -Contributo alla conoscenza di alcuni termini carbonatici del Carso triestino (Monte Lanaro – CEDAS). Gortania, 4: 5-30.
- Cucchi F., Pirini Radrizzani C., Pugliese n., 1987 – The carbonate stratigraphic se-quence of the Karst of Trieste (Italy). Mem. Soc. Geol. IT., 40: 35-44.
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- Forti F., Tommasini T., 1967 – Una sezione geologica del Carso triestino. Atti e Mem. della Comm. Gr. “E. Boegan”, 6: 43-139.
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- Plenicar m., 1960 – Stratigrafski razvoj krednik plasti na juznem Primorskem in Notranjschem. Geologija, 6: 22-145.
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- Tentor m., Tunis g., Venturini s., 2000 – I depositi infra-cretacei della zona di confine del Carso triestino. Natura Nascosta, 21: 1-28.
- Ulcigrai F., 1969 – Prime osservazioni sui termini calcareo-dolomitici del Carso triestino. Boll. Bibliot. Civ. e Bienn. D’Arte Ant.: 10-17.
Enrico Merlak