FANTOZZI E FILINI, HOLLIDAYS IN POLAND

Pubblicato sul n. 12 di PROGRESSIONE – Anno 1984
PROLOGO:
da oltre la vetrata la bionda vichinga (occhi scuri e folta peluria sulle gambe) ha un volto interessante ma impenetrabile; il NO! è secco e incontrattabile da un esile volto latino, giubbotto nero e casco in mano. Abbiamo sbagliato, ma non possiamo certo pagare 17 dollari al giorno a testa per un mese: – Tornare con infito ufficiale nominatifo! – Mesti mediterranei ritornano ad Est sulla moto dell’amico: 1200 Km e 100 pezzi gettati a Milano.
Ritornerò 10 giorni dopo con i requisiti richiesti. Gli adriatici sono noti al mondo per il cranio poco capiente, ma indistruttibile. La voglia di riabbracciare Kristofer e banda era stata così provata inequivocabilmente.
Approdiamo dopo 18 ore di treno (32 complessive di viaggio) a Katovice in Slesia alle 7 del mattino del 26 aprile, e l’entusiasmo dei nostri amici contrasta nettamente con lo scenario, che è ben al di là delle mie peggiori congetture.
Volti raggianti spiccano nettamente sulla gente senza nome, come i bandieroni rossi sulle quinte grigie, nere, seppia, terra bruciata. Pensiline sporche e infinite fermano l’attenzione sugli orologi montati bene al centro, al centro delle facce orologio che aspettano l’autobus.
Il matrimonio di Sandra e Kristofer ci prenderà totalmente tappandoci il naso e gli occhi (per la bocca e le orecchie, ci pensano già) con le sue 36 ore di festeggiamenti NON STOP. Gli ospiti latini catalizzano subito le attenzioni e gli interessi, specie nella vecchia fattoria di Cestochowa dove gli unici stranieri che avevano visitato quella casa erano 3 Russi circa 40 anni prima: se ne erano andati con orologi, argento e tutti i viveri trasportabili.
Zakopane è un’altra storia, ogni casa è un’opera d’arte scolpita nel legno, la stragrande maggioranza degli abitanti sono villeggianti che non possono lasciarsi sfuggire una buona occasione di qualche giorno per sorridere un po’; l’atmosfera ci guadagna, le montagne fanno il resto.
Siamo appena arrivati il 4 maggio ed è subito granito sottile e del colore che i campanili si meritano, nero.
La metà granitica dei Tatra è caratterizzata da vallate ampie e terrazzate a laghetti comunicanti che dalle foreste di abeti conducono in dolce pendio sotto le «Kasalnice» (altari) e Mnich (cappuccini) alti fino a 500 metri; l’ambiente è suggestivo e coinvolgente. Nel grande parco dei Tatra la natura è protetta integralmente, per reggere meglio le turbe oceaniche dei gitanti, convogliati per fortuna solo nelle valli principali.
A Morskie Oko la neve è ancora alta e ci impegniamo subito in pieno stile invernale su uno zoccolo «misto» di 400 m e poi sul Zabi Mnich, 350 m di compatto granito nero appuntito (4° – 5°), anche se nevica l’aderenza è eccezionale e l’uscita è un’ampia veduta sulle valli cecoslovacche. 20 cm di neve fresca ricoprono il lago ed il rifugio il giorno dopo e ripieghiamo in Slesia dove ci attendono altre 20 ore di PARTY con speleologi di tutta la Polonia. Dopo altri 2 giorni passati tra caserme ed uffici (papà Kristof è miracolosamente riuscito a farci prolungare il visto!), ritorniamo ancora in trance a Zakopane. Affittato un appartamentino in una fattoria, ci dedichiamo alle valli calcaree, metà Ovest dei Tatra.
Per 3 giorni arrampichiamo sulle fessure «tecniche» della Raptawicka Turnia (150 m), additati dalla folla della valle e multati per schiamazzi dai guarda-parco irremovibili; l’offerta dell’«americano» rag. Filidi del doppio dell’ammenda (per il caffè) non fa che peggiorare pericolosamente la situazione verso il meritato cartellino rosso.

Le situazioni più interessanti si vivono esplorando le zone di conservazione integrale dove chiunque venga scoperto deve sborsare circa un mese di stipendio polacco (12.000 zl), ma vale veramente la pena di rischiare. Per entrare nel Siedm Progu (-410 m, III grotta polacca) bisogna attraversare una delle zone proibite: Wawòz KrakòW, canjon selvaggio e muschioso di 3 km. La grotta in compenso è una successione esasperante di strettoie estremamente selettive; dopo l’esplosione di un sacco di carburo in faccia a Sergio, decidiamo che è meglio lasciar perdere, e ci vuotiamo nuovamente nel meandro a cielo aperto.
Un’altra valle dell’Eden è Dolina Mietusia, un catino verde protetto da occhi esosi da pareti strapiombanti e foreste di abete rosso.
Pernottiamo in tenda e alle 7 del giorno dopo ci stiamo già guardando stralunati, picchiandoci le tempie con l’indice: Mr. Muskat free-climber locale, sta asserendo che per fare la Kazalnica fsilietusia (la parete calcarea più IN della Polonia), ci vogliono come minimo 40 moschettoni ed altrettanti chiodi! Morale della favola: alle 16 siamo già in cima tutti e tre, avendo portato a termine la prima ripetizione in arrampicata libera della via Pod Komien: 350 m 6+ A°.
Per entrare nelle due grotte più interessanti polacche, ci vuole un permesso speciale della direzione del parco che viene rilasciato a non più di 20 persone all’anno; se non fosse stato per lo spontaneo e squisito interessamento del capo del soccorso speleologico di Zakopane (attività professionalmente organizzata), non ce le saremmo neanche sognate, e guai a spifferare la marachella del Siedm Progu!
Il 21 è la volta del Bandzjoch Kominiarski Wierch, —570 m, visitata con una manovra di soccorso congiunta dai 2 ingressi principali in 15 componenti. Una cavità interessante, caratterizzata da una lunga condotta a pressione in forte pendenza che conduce allo stretto sifone terminale dove, dopo pochi minuti, comincia a scarseggiare l’ossigeno.
Una settimana più tardi, in extremis, risaliamo la Mala Laka con gli strabilianti mezzi fuoristrada del soccorso che ci risparmiano diverse ore di «footing», per giungere all’ingresso della Wielka Sniesna —768 m, prima grotta polacca.
Dopo un primo tratto verticale, ne segue uno sub orizzontale molto suggestivo lungo un torrente sotterraneo con numerosi passaggi su laghetti e cascate: la grotta ha una temperatura accettabile (5 – 70) ed è molto imponente e comoda, senz’altro la più bella che abbiamo visto finora. Arriviamo al sifone terminale in 9, foto ricordo e risalita. Con non chalance cominciamo a raccogliere il materiale; gli altri accettano di buon grado questa spontanea (punti di vista!) suddivisione dei compiti e schizzano all’esterno lasciando ben volentieri ai mediterranei l’«onore» del recupero. Nota curiosa: l’intera gita si era svolta su corde da roccia dinamiche di 12 mm di diametro (!)
In superficie, la pioggia torrenziale e 250 m di corda stivata nello zaino non risollevano certo gli umori dei baldi ragionieri in ferie. Il capo Casimiro col suo zainetto da scampagnata tenta di consolarmi ululandomi che avevamo abbassato il record a 23 ore, con una pacca amichevole vigorosa: scivolo sbilanciato dal sacco e quasi mi fratturo un braccio su una placca umida.
Il morale è sotto le suole degli scarponi.
Ritorna sempre il sole, e dopo una notte tranquilla ritorniamo in Slesia dove gli amici (e le amiche) hanno preparato l’ennesimo Party di saluto. Fra un bicchiere e l’altro Kristofer tenta di convincerci a rimanere ancora una setti mana; la tentazione è forte, ma nulla può mai vincere la misteriosa energia elettromagnetica del Timavo, della mamma e (perchè no?) della signora Pina.
Partecipanti:
rag. Fantozzi Paolo Pezzolato
rag. Filini Sergio Serra
Sergio Serra