Silvio Polli

 

SILVIO POLLI – (1904 – 05.1990)

Pubblicato sul n. 24 di PROGRESSIONE – Anno 1990
Un altro vecchio speleologo ha lasciato la Commissione nel 1990: gli ultimi di maggio infatti è venuto a mancare, all’età di 86 anni, il prof. Silvio Polli, meteorologo e studioso di chiara fama (fu un matematico che si dedicò agli studi di oceanografia, mareografia, fisica terrestre) cui si deve il rilancio – nei primi anni ’50 – degli studi di meteorologia sotterranea iniziati vent’anni prima dal suo mae­stro Francesco Vercelli.
Buon alpinista, nel senso più classico e genu­ino del termine (frequentò e visitò le nostre Alpi sin da giovanissimo, spesso in compagnia di nomi altrettanto illustri quanto il suo), si avvicinò con­cretamente al mondo delle grotte a 46 anni, nel 1950, allorchè a lui si rivolsero alcuni speleologi triestini (dapprima Lucio Pipan del G.T.S., poi Fabio Forti e Tullio Tommasi ni della S.A.G.) desi­derosi di capire qualcosa di più del mondo delle grotte e dei meccanismi meteofisici peculiari del­l’ambiente.
L’argomento lo dovette appassionare note­volmente considerato che – nonostante i numerosi impegni professionali (dapprima all’Istituto Geofisico di Trieste, quindi all’istituto Talassografico di cui divenne presto direttore, insegnamento all’Università, collaborazione con vari sodalizi di cui faceva parte: Collegio Int. dei Consulenti onorari per le Scienze del Mare, Acca­demia di Studi Economici di Trieste, Accademia di Scienze Lettere ed Arti di Udine, Ateneo Veneto, Società Adriatica di Scienze Naturali) e familiari (allevò nell’amore e nel rispetto della natura un figlio e due figlie cui diede nomi mitici legati alle scienze che costituirono il maggior interesse della sua vita: Elio, Gea, Thalassia) – trovò il tempo di dedicarsi alla speleologia. Ebbe cosl modo di impostare ed eseguire vari cicli di ricerche di meteorologia ipogea alla Grotta Gigante (anni 1951/1955), di progettare e allestire – per conto della Commissione Grotte “E. Boegan” di cui fu chiamato a far parte quale socio onorario – e in collaborazione con Fabio Forti e Tullio Tommasini – la Stazione Sperimentale di meteo­rologia ipogea alla Grotta Costantino Doria (1956) nella quale le misurazioni saranno effettuate per oltre un ventennio (1957-1978), di sovrintendere a tutte le ricerche di meteorologia ipogea effettua­te sul Carso nell’arco di tempo che va dal 1950 alla sua morte.
Presente a molti convegni e congressi, nazionali e internazionali, ebbe modo di far cono­scere le sue idee sulla meteorologia ipogea con conferenze, articoli divulgativi e lezioni tenute a corsi nazionali di speleologia. I risultati delle sue ricerche sono stati oggetto di oltre 200 pubblicazioni, di cui una ventina dedicate precipuamente alla meteorologia ipogea ed altrettanti a studi sul clima del Carso e delle sue doline. Elencarli tutti – dal primo lavoro, dedicato alla meteorologia ipogea della Grotta Gigante e presentato al 1° Congresso Internazionale di Speleologia tenutosi a Parigi nel 1953, al più recente, apparso sull’ultimo numero di Atti e Me­morie e rivolto allo studio delle correlazioni fra i parametri meteofisici e la vegetazione dei baratri carsici – porterebbe via troppo spazio.
Riteniamo sufficiente, per sottolineare il suo apporto a que­sto settore della spelologia, ricordare come la sua opera non si sia esaurita con la pubblicazione dei dati raccolti, ma prosegua nel tempo, avendo la stessa innescato un meccanismo di indagine che si autoalimenta con le nuove scoperte ed in cui ogni nuovo dato acquisito invoglia lo studioso a proseguire nelle ricerche.
                                                                                                                 Pino Guidi

 RICORDO DI SILVIO POLLI

 Conobbi il prof. Silvio Polli alla Grotta Gigan­te, verso la fine del 1949. Venne a trovarci accom­pagnato dall’allora segretario della CGEB Stelio Quarantotto (Totto), per vedere se si poteva impo­stare una ricerca di meteorologia ipogea. Assie­me a Tullio Tommasini (Tom) accompagnammo il prof. Polli in una sommaria visita della Grotta e gettammo però le basi per quegli studi e ricerche che ci occuparono per oltre 20 anni.
Ricordo che attraversando il paese di Borgo Grotta Gigante, il prof. Polli, sempre attento a tutto ciò che vedeva e… sentiva, ci disse: “che profumo di stalla”… “che bell’ambiente agreste”. Toni odio sentimmo subito che il prof. Polli era soprattutto un entusiasta della natura e ciò ci piacque. Il curioso è stato che la settimana successiva venne a trovarci anche il prof. Antonio Marussi per stabi­lire un altro programma di ricerche (leggi pendoli), anche lui nell’attraversare il paese espresse le sue opinioni in modo alquanto diverso : “che spuza de merda”. Tom ed io, sorridendo, facemmo men­talmente le dovute differenze e la nostra attività con il prof. Polli è stata indubbiamente più profi­cua, questione di variabile apprezzamento degli odori.
Per lunghi anni siamo andati a trovare il prof. Polli, all’Istituto Talassografico in Viale Romolo Gessi. Lì facevamo studi, progetti, discussioni sui metodi di rilevamento meteorologico, sulla siste­mazione delle varie stazioni sperimentali. Una sera entrando nell’Istituto, Polli stesso venne ad aprire la porta. Entrando gli dissi ‘buona sera professore, fuori nevica!” Lui, imperturbabile mi fece invece una controdomanda: “fiocchi o granu­li?” Ritornai all’aperto, considerai per un attimo il “tipo” della neve e rientrando gli dissi “fiocchi”.
In tutto il lungo periodo delle nostre ricerche sul microclima ipogeo, dal prof. Polli apprendem­mo un monte di cose, una somma di nozioni, di metodologia di rilevamento, di strani adattamenti strumentali, di come si debba trattenere il fiato quando si fanno delle misure con il termometro ad aspirazione e così via. Sotto la sua guida Tom ed io divenimmo in pochi anni dei perfetti “tecnici dei rilevamenti meteorologici in grotta”. Il suo pensie­ro costante era quello che bisognava accumulare una massa enorme di dati perfetti, prima di azzar­dare anche delle semplici ipotesi. Ricordo che dopo molti anni di misure alla Grotta Sperimentale “Costantino Doria”, Polli espresse il dubbio che forse qualche leggera alterazione nelle misure, potevamo procurarla Tom ed io, con il “calore corporale”, dato che il tempo necessario per ese­guire tutte le misure era di circa un’ora. Ordinam­mo allora un termometro in 1/10000 e lo siste­mammo al centro della galleria finale.
Veniva letto ogni qual volta si doveva procedere alle misura in grotta, quando dopo un anno di misure constatò che la nostra presenza in grotta alterava l’ambien­te di circa 3-4/1000°, quantità questa affatto trascurabile, considerato che la precisione degli strumenti che usavamo era di 0,5/10°. Con il prof. Polli si operava in assoluta fiducia, lui approvava sempre le nostre proposte migliorative delle lunghe e talora estenuanti ricer­che che abbiamo fatto per decenni alla Grotta Gigante, alla Grotta Doria, alla Grotta 12, nelle varie doline. Tutte le numerose stazioni termometriche poste nelle varie grotte, venivano in comune accordo posizionate, il prof. Polli aveva cura di indicarci con grande precisione le caratte­ristiche morfologico-climatiche di ogni stazione e così Tom ed io potevamo eseguire le varie misure con attenzioni particolari a seconda dei siti.
E’ noto che nelle ricerche, negli studi sugli ambienti naturali, indifferente se sopra o sotto terra, è indispensabile che i “dati” siano rilevati in modo molto preciso e per ottenere tale precisione ci vuole tanto tempo e molta pazienza. Sono grato per quanto il prof. Polli ci ha aiutato e soprattutto insegnato, per la passione
nelle ricerche che ci ha inculcato e per la severità dei metodi che ci ha imposto. Studiosi della sua serietà e onestà che riescano a trasmettere ai loro
allievi “passione e precisione”, non ce ne sono molti.
Conserverò sempre per il resto della mia vita di studioso, il suo ricordo per quanto ho da Lui appreso ed anche un’ammirazione per la sua facilità di descrivere anche i più complessi fenomeni naturali con parole semplici e comprensibili.
                                                                                                            Fabio Forti

Bibliografia speleologica

Per non appesantire troppo il testo la cospicua bibliografia di Silvio Polli è stata inserita nella sezione “Bibliografie”, a cui si rimanda il cortese lettore.

Pubblicato su Cronache ipogee  12/2011: 10-12 da Rino Semeraro

 Silvio Polli: rimembranza e futuro

Silvio Polli, fisico triestino che la mia generazione speleologica molto bene ricorda, a vent’anni dalla morte meritava meno oblio. Giacché è passato più di un anno dalla ricorrenza (è morto nel giugno del 1990), più che commemorarlo – anche se si suole dire “non è mai troppo tardi” – ho pensato che una rivisitazione del suo impegno scientifico nella speleologia fosse l’opportunità per qualche ragionamento sul futuro. È al futuro, infatti, cui tutti noi dobbiamo protendere, anche traendo ispirazione da grandi personaggi della speleologia del passato. Solo due parole sulla persona. Assai noto dagli anni Cinquanta ai Settanta (dello scorso secolo), soprattutto nell’ambiente speleologico locale, quale principale ideatore e realizzatore delle cosiddette prime “grotte sperimentali” sul Carso triestino, per lo studio della meteorologia ipogea, e autore di numerose pubblicazioni scientifiche sulla materia, svolse la sua carriera come Libero docente di fisica terrestre, matematica e climatologia all’Università di Trieste e Direttore reggente dell’Istituto Talassografico di Trieste (già Istituto Geofìsico del R. Comitato Talassografico) per moltissimi anni.

Alla speleologia, il prof. Silvio Polli si accostò all’inizio degli anni Cinquanta trovando nella Commissione Grotte “Eugenio Boegan” il partner ideale per sviluppare i suoi propositi di avviare studi sistematici di meteorologia in grotta. La Commissione, mettendo inizialmente a disposizione la Grotta Gigante – cavità chiusa e controllata oltre che di grande interesse geofisico — consentì in concreto la creazione della prima “stazione sperimentale ipogea” (come all’epoca si usava dire) italiana del dopoguerra. Fin dall’inizio, oltre alla disponibilità del sito e logistica, pure gli speleologi del sodalizio gli diedero ampia collaborazione e, per un ventennio, nella fattispecie Fabio Forti e Tullio Tommasini divennero i principali rilevatori dei dati strumentali ipogei nonché curatori di tutte le altre “stazioni” in grotta.

L’Italia, dopo il conflitto e con l’arretramento del confine orientale, aveva perduto le grotte classiche della Venezia Giulia, come San Canziano e Postumia, ove furono avviate le prime ricerche di meteorologia ipogea. Francesco Vercelli dell’Istituto Geofisico del R. Comitato Talassografico di Trieste e Giuseppe Crestani del R. Magistrato alle Acque di Padova, che in quelle grotte operarono – fortunatamente avendo mezzi sufficienti a disposizione – furono, com’è noto, i capiscuola e diedero alle stampe i risultati di lunghe e importanti ricerche. La meteorologia ipogea, agli inizi dell’interesse del Polli per la materia, era quella sostanzialmente fondata sulla splendida monografìa del 1938 di Giuseppe Crestani e Franco Anelli sul sistema carsico di Postumia (1): opera che sintetizzava lo stato dell’arte. A Postumia – sistema ideale per vastità e variabilità -, grazie all’aiuto concreto, e congiunto, dell’Amministrazione della RR. Grotte di Postumia e dell’Istituto Italiano di Speleologia, si riuscì studiare a fondo la materia, dai problemi termometrici a quelli barometrici fino al comportamento degli sfiatatoi di grotta, tracciando così princìpi generali e sviluppando un’ampia casistica di fenomeni grazie al gran numero di dati e di osservazioni collezionati.

Silvio Polli, nelle sue ricerche di meteorologia ipogea, applicò un rigoroso metodo scientifico teso alla raccolta sistematica, sul lungo periodo, di un’enorme mole di dati — l’unico modo per considerarli significativi, giacché non provenienti da registrazioni temporizzate ma da rilievi puntuali – abbinando una perfetta calibrazione strumentale non disgiunta da una procedura di rilevamento ferrea. Ben sapeva, Polli, quanto difficile fosse rilevare, in un microclima come quello della grotta dove le variazioni sono minime, un dato affidabile, per di più tenendo conto della presenza dell’operatore (inevitabile) quale possibile elemento perturbante. Senza ripercorrere storia già nota, ricorderò soltanto che le ricerche del Polli riguardarono dapprima la citata Grotta Gigante (2,3,4), poi la Grotta “Costantino Doria” (5,6,7) – splendido esempio di “grotta sperimentale” appositamente resa agibile e attrezzata — e infine la Grotta di Padriciano (8). Poi, per il lettore speleologo che non ha dimestichezza con le Scienze della Terra, ricordo che l’opera del prof. Polli, per quanto concerne le ricerche sul Carso o che ne fanno da cornice, non si limitò alla meteorologia ipogea ma anche allo studio dell’accrescimento delle stalattiti, del clima delle doline, delle sorgenti e, più in generale, a quello climatologico e mareografico della regione.

Ora, tre considerazioni che riguardano il contesto speleologico.

Prima considerazione. Nel 1953, al 1° Congresso Internazionale di Speleologia, a Parigi, la presenza italiana non fu eccezionalmente numerosa ma qualificata; nel campo che ci riguarda, cioè la speleologia cosiddetta “fisica” (tomo 2°, Sezioni 1 e 2), nel volume dedicato, su quarantadue lavori (di cui ventuno francesi, ma giocavano in casa) ci sono tre di triestini, e di questi uno è proprio del Polli sulla meteorologia ipogea della Grotta Gigante. Direi che, nella primissima occasione per la speleologia italiana del dopoguerra, e nello specifico per la speleologia triestina, di presentarsi alla “vetrina” internazionale, l’apporto di Silvio Polli fu importante (per inciso, gli altri due lavori triestini sono di Walter Maucci). Attenzione: una Trieste che non era citata come Italia, bensì ufficialmente come F.T.T. (cioè il Territorio Libero di Trieste), con partecipanti Bruno Boegan, Carlo Finocchiaro e Walter Maucci. Quella era, come ogni triestino dovrebbe ricordare, la realtà della Venezia Giulia del dopoguerra.

Seconda considerazione. Silvio Polli fu uno studioso che prodigò consigli e aiuto concreto a tutti coloro i quali collaborarono con lui o gli si avvicinarono. Senza rimarcare cose note, come la formazione che, grazie a lui, ebbe la coppia Forti e Tommasini, i quali, operando per un ventennio in quel grande “laboratorio d’idee” che furono le “grotte sperimentali”, misero poi a frutto l’insegnamento specifico impostando e realizzando ricerche di meteorologia, e in particolare termometria, negli anni Sessanta, dapprima alle sorgenti carsiche di Bagnoli e poi a quelle del Timavo e di Moschenizze, c’è da dire come nelle stesse “grotte sperimentali” si riuscì portare avanti ulteriori ricerche, dopo l’impegno del Polli, vedi quella meteorologica di Tommasini e Candotti nella Grotta di Padriciano (9), poi nella stessa grotta un’altra specificatamente anemometrica (10), a dimostrazione di una reale continuità di propositi (che però, con rammarico, fu breve). Quando nel 1950 il Gruppo Triestino Speleologi diede il via a un ambizioso programma di studi sulla meteorologia ipogea delle grotte del Carso, rivoltosi al prof. Polli, ebbe da questi un largo aiuto, non solo in suggerimenti, pure in strumenti di ricerca messi disinteressatamente a disposizione. I risultati di queste indagini, che durarono parecchi anni e uniche nel genere poiché conseguite in numerose cavità carsiche che tipologicamente andavano dalle caverne agli abissi e ai grandi pozzi, riuscirono effettivamente fornire un quadro generale dei fenomeni meteo-climatici ipogei e furono presentati in un ponderoso lavoro da Lucio Pipan al 4° Congresso Nazionale di Speleologia che si tenne dal 30 agosto al 2 settembre a Trieste (11). Trieste, città che non era ancora “italiana”, cioè ancora sotto amministrazione del Governo Militare Alleato.

Terza considerazione. L’enorme (non è un preziosismo!) lavoro di raccolta di dati del Polli, nelle “grotte sperimentali”, fu oggetto di ulteriori, successive, elaborazioni. Parlo dell’elaborazione dei dati geotermometrici provenienti dalla Grotta Gigante e dalla Grotta Doria (12): segno che la ricchezza, unica, di misure che furono raccolte e ordinate dal Polli costituiva una sorta di “miniera” per chi approcciava scientificamente questi particolari problemi della speleologia fisica. Ma il caso eclatante fu la completa rielaborazione, una dozzina d’anni dopo la fine dei rilevamenti del Polli, dei dati meteo-fisici della Grotta Doria da parte dello specialista francese Jacques Choppy (13), che — si può dire – costituì, vivo ancora il Polli, un riconoscimento straordinario per il nostro anziano fisico-speleologo. Signorilità d’altri tempi di Silvio Polli: non fu interessato a comparire quale co-autore assieme a Choppy. Tutto ciò a dimostrazione della validità e dell’importanza dell’impianto di ricerca del Polli nelle grotte del Carso che, senza tema di smentita, superò agevolmente le barriere del tempo.

Ora, parliamo invece di aspetti più generali.

Il metodo perseguito dal Polli per lo studio delle grandezze fisiche in “grotte sperimentali almeno per la ristretta fascia di Carso rimasta dopo la Seconda Guerra in Italia, se non fu innovativo, ebbe certamente un forte carattere consolidativo. I risultati, per la speleologia, furono notevoli. Ma ciò – si è constatato — è strettamente legato da una parte alla stabilità dell’associazione speleologica che se ne assume l’onere organizzativo e gestionale mentre da un’altra alla capacità e alla costanza degli operatori che si sono specificatamente formati. Pertanto, non è un caso che proprio nell’ambito della Commissione Grotte “Eugenio Boegan”, degli anni Cinquanta e Sessanta, ciò sia stato possibile. È poi del tutto naturale che misure periodiche e continuative in grotta, più o meno pesantemente attrezzate, siano state l’obiettivo, parallelamente nel periodo o in quello successivo, da parte di vari studiosi e di vari gruppi grotte. Per ovvi motivi, congeniti nella speleologia triestina ma non solo, un tanto non si è rivelato facile o, per lo meno sempre semplice. Tra i diversi tentativi, ricordo la messa in opera di strumentazione nella Grotta Germoni, che purtroppo non è andata oltre l’idea, le misure di oscillazione della falda idrica carsica nella Grotta Lindner, con una campana idropneumatica sperimentale e registrazione via cavo, che fortunatamente hanno consentito l’acquisizione di un ciclo abbastanza significativo di dati, infine l’Abisso di Trebiciano. Nell’Abisso di Trebiciano, dopo la messa in opera della “ferrata Adriatica” che ne consente agevolmente e in sicurezza la percorrenza, sono stati eseguiti vari cicli di misure chimiche e meteorologiche, nonché fisico-idrometriche sulle acque.

Tuttavia, in questo campo, dall’esperienza si estrapolano altre considerazioni generali che sono, inevitabilmente, collegate a quelle precedenti. È fuor discussione che solo un grande impegno, nell’ambito dell’associazionismo speleologico, connesso in maniera più o meno stretta con varie istituzioni o soggetti di ricerca (persone fisiche) che detengano know-how, personale specializzato (aggiungo, “motivato”, quale condizione determinante per il successo) e strumentazione, o disponibilità di risorse economiche per acquistarlo alla bisogna, sta alla base per pianificare ricerche in grotta di tal tipo, che abbiano efficacia. Specie oggi, dove i “sacrifici” fatti dagli operatori in grotta del passato sono difficili da ripetere per le generazioni attuali. Certo, oggi si lavora diversamente: grazie agli acquisitori automatici, che vanno dagli strumenti di registrazione dei parametri fisico-chimici agli stessi campionatori delle acque, si determinano condizioni “di lavoro” che sono nettamente cambiate rispetto i gravami del passato. Gran parte dello sforzo, oggi, va inquadrato nella predisposizione “di base” della grotta (chiusura per scongiurare il vandalismo sugli strumenti, dato che sfortunatamente gira ancora gente che lo farebbe… se mi dicono che tuttora rubano le corde, figurarsi!), poi dei siti dove si devono alloggiare le apparecchiature, infine quella dei sistemi per la calibrazione, magari in loco, degli strumenti, e così via. Ma non sempre ciò è possibile (per costi, ostilità ambientale, ecc,), per cui gli operatori che scendono periodicamente in grotta, con una determinata frequenza, sono spesso immancabilmente necessari. Poi ci sono quelli che credono, una volta piazzato l’acquisitore in grotta, che “funzioni da solo” e che dia sempre valori perfetti anche tirando al massimo sui controlli o “dimenticandolo” fino al limite consentito per lo scarico dei dati: lasciamo perdere, sono pappagalli che ripetono e poi elaborano il dato al computer senza sapere “cosa sia” la grandezza registrata! Da parte del gruppo grotte, poi, è fondamentale che esso non confonda il mezzo con il fine, voglio dire che importante è giungere alla realizzazione dei cicli di misura quindi all’acquisizione dei dati, non certo rendere agibile o attrezzata una cavità come se fosse semi-turistica. È un atteggiamento mentale che non serve a nulla, anche se può far piacere a qualche gruppetto di speleologi, magari anziani e amici, trovare soddisfazione i sabati-domenica a piantare scale fisse e così via, con una bottiglia in fresco all’uscita della grotta (se d’estate), permettendo loro, tangibilmente, di “costruire” un qualcosa che può prospettarsi socialmente utile. Con queste premesse, un futuro nelle “grotte sperimentali”, certo adattato ai tempi come si è visto, ma sulla scia del lavoro di Silvio Polli, indubbiamente c’è. Ci sono grotte, sul Carso ma anche nel resto della regione, che in passato sono state usate per realizzare varie misure, da quelle meteorologiche e fisico-chimiche, come ho già illustrato, a quelle estensiometriche, clinometriche, e così via. Sicuramente la scoperta di nuove grotte solletica gli speleologi (specie se fra loro ci sono ricercatori) a fare nuovi impianti, e ciò è un bene giacché ogni nuovo sito ha una sua specificità e a volte unicità per i fenomeni naturali riscontrati. Sicuramente però, è altrettanto vero che pare razionale, almeno nell’impostazione di ricerche di carattere generale, utilizzare le grotte che sono già attrezzate: meno impegno, meno spese, favorendo – o coronando – gli sforzi (spesso enormi e di più generazioni di speleologi) che già sono stati fatti. In questo caso, è necessario ci sia sensibilità e intelligenza da parte degli speleologi-ricercatori nello scegliere e adattare la ricerca che si vuoi pianificare, nella grotta che fa allo scopo, mentre da parte del gruppo che la gestisce altrettanta intelligenza, e apertura “all’altro”, per far si che il lavoro da lui effettuato, sfoci nella direzione giusta, in altre parole che la “stazione sperimentale” sia utilizzata e non rimanga mero auto-compiacimento del realizzatore. Poiché questo, essere utilizzata il più possibile e da un vasto numero d’interessati qualificati, è l’unico fine. E non ne vedo altri. Fatte queste considerazioni, il lavoro da fare in grotta è ancora tantissimo!

Di grotte chiuse, cioè “custodite”, sul Carso ce ne sono in abbondanza (e in genere nella regione), anzi, sul Carso in sovrabbondanza, direi di più, sul Carso tante ce ne sono che ormai ho perso il conto. In tempi recenti, poi, dato che le grotte nuove in Carso ormai si scavano, i piccoli ingressi, o altro, si prestano bene alla chiusura, per cui non c’è gruppo speleologico che non ne abbia chiusa qualcuna. Incontrovertibilmente, ciò ha impedito devastazioni, non dico da parte degli stessi speleologi ma da estranei, però ha – per così dire – limitato la libera circolazione. Ogni grotta chiusa è, non dico per sempre, ma per lunghissimi anni in perenne esplorazione, anche se questa è conclusa da tempo; ci sono regolamenti, schede, permessi, e fin qui va bene (anche se qualche volta inutili), ma anche arbitrii da parte di chi ha le chiavi che, in alcuni casi perniciosi (fortunatamente pochi) se non impediscono però sottilmente condizionano la loro fruizione, sia in senso esplorativo che scientifico. Del resto, una psicologa mi ha spiegato (vi blocco subito: non sono ancora matto, è semplicemente un’amica) che una sindrome da possesso può aggredire indifferentemente chi possiede nulla come chi possiede tanto (vi risparmio i risvolti sessuali della sindrome), figuriamoci dare “autorità” a chi, magari, non è attrezzato per averla (caso frequente). Persiste, nei gruppi, il piacere dell’autorità (tipico nel volontariato) che può portare, tra le altre cose, a chiusure di grotte, alla resa dei fatti per taluni casi del tutto inutili. Si obietterà che le periodiche lodevoli azioni del tipo “puliamo il buio” sono tangibile dimostrazione dell’inciviltà… e che in grotta per lo più ci vanno gli speleologi. Non vero, è verissimo! Dubito però che un ragazzo che oggi si accosti alla speleologia, e poi – se siamo fortunati – la pratichi, si metta a segare stalattiti, scarburare nei laghetti concrezionati o, seduto in sosta, per passare il tempo bruciare con la fiamma dell’acetilene i troglobi che gli girano attorno: i concetti di conservazione e tutela dell’ambiente sono ormai ben presenti e sviluppati nei corsi di speleologia, anzi, direi rimarcati nelle lezioni, uno dei perni della didattica (tanto più nei “primi livelli”), e poi continuamente ribaditi nella vita sociale del gruppo, come in quella civile in generale grazie al pensiero corrente e diffuso. Se lo fa, il caso è allora “patologico” e non può che essere cacciato, anzi documentato il fatto e con testimonianze idonee, il caso andrebbe portato all’Autorità giudiziaria, il che non è cattiveria ma monito e dovere civico, oltre che assunzione di responsabilità. Si dirà che intanto il danno è fatto: anche questo verissimo. Diciamo allora che in passato si chiudevano alcune grotte, ma con parsimonia, vi va bene? Si tratta, sempre, di fare un’analisi “costi-benefìci” e ragionarci sopra, ponderando caso per caso. Detto ciò, si sarà capito che di grotte, sul Carso e in regione, già custodite, controllate e perfettamente idonee per cicli di misure al loro interno, con la sistemazione di strumentazioni anche sofisticate, ne avanzano. C’è tutto, ci vuoi solo la determinazione di usare queste grotte per fare ricerca. Se ne approfittasse!

Concludo con un ricordo personale. Frequentai pochissimo il prof. Polli; il giorno in cui – quasi quarantanni fa – egli mi accompagnò a una visita “ragionata” della Grotta Doria per spiegarmi le particolarità degli impianti realizzati e con l’occasione discutere sulle misure, ritornati in superficie, io mi offrii di accompagnarlo a casa. Ma Silvio Polli, non proprio più giovanissimo (era del 1904), non volle minimante usufruire dell’automobile: mi disse, molto affabilmente, che si faceva la passeggiatina da Borgo Grotta Gigante in città; e così fece avviandosi, mentre con lo sguardo lo vidi scomparire col passo lesto del “triestino di una volta” dietro la curva del sentiero.